Italicum, ora tocca al Parlamento
La Corte costituzionale si è appena pronunciata sulla legge elettorale per la Camera dei deputati – Italicum – voluta con forza dal PD e dal suo segretario premier del governo, sancendo la parziale i…

La Corte costituzionale si è appena pronunciata sulla legge elettorale per la Camera dei deputati – Italicum – voluta con forza dal PD e dal suo segretario premier del governo, sancendo la parziale illegittimità costituzionale della legge. Al momento non sono ancora disponibili le motivazioni che hanno guidato la Corte nella sua decisione, dovendosi questa nota limitare alle scarne informazioni contenute nel “comunicato” della Corte in esito al giudizio sull’Italicum.
La sentenza riguardava, come è noto, una legge pensata per la sola Camera dei deputati, atteso che l’indirizzo assegnato alla revisione costituzionale (Renzi/Boschi) avrebbe dovuto conseguire il superamento del bicameralismo, non risultando necessaria in tale ottica l’adozione di una legge elettorale per l’elezione di un organo di cui si prevedeva la soppressione.
Come ora sappiamo, la realtà si è dimostrata più dura di quella che la maggioranza parlamentare Pd e il presidente del Consiglio avevano immaginato, con gli effetti ora chiari che le ragioni alla base della tanto caldeggiata nuova legge elettorale hanno costituito argomento non secondario nella stessa motivazione del corpo referendario che ha sostenuto le ragioni del No.
La sentenza della Corte interviene ora a colmare questo vuoto normativo rispondendo, in modo più o meno dichiarato alle aspettative del sistema politico-partitico (non più bipartitico ma non più neanche multipartitico ‘esasperato’, come lo era stato fino ai primi anni ’90) che avevano guardato fin qui alla Corte costituzionale ai fini dell’adozione di un sistema elettorale, al contempo, coerente con i principi costituzionali (sovranità popolare e principio di eguaglianza del voto) e idoneo ad assicurare il corretto svolgimento dei principi della democrazia costituzionale, di rappresentanza politica e di governabilità.
È rispetto a tale profilo che, in modo inevitabile, la discussione politica e la dottrina costituzionale avranno modo di svilupparsi appena saranno disponibili le motivazioni che hanno portato il giudice delle leggi ad adottare una sentenza al contempo piuttosto coraggiosa quando si considerino le tesi di chi sosteneva le ragioni tecniche della inammissibilità della questione di costituzionalità della legge (rappresentate innanzi alla Corte dall’avvocatura generale dello Stato nonché dalle altre parti processuali che avevano chiesto alla Corte di promuovere innanzi a se stessa la questione di legittimità costituzionale del procedimento di formazione della legge elettorale), ma inevitabilmente difettosa e carente con riguardo alle aspettative argomentative fondate sul principio di eguaglianza del voto e pertanto sulla forte dubbiosità costituzionale dovuta alla disproporzionalità del voto in ragione dell’assegnazione del premio di maggioranza alla forza politica che raggiunge il 40% dei voti.
La Corte, infatti, ha deciso di non fare propri i dubbi di lettimità costituzionale sollevati con riguardo all’assegnazione del premio elettorale al primo turno (comunque debordante per chi scrive), limitandosi – in modo più che convincente (quando si consideri che la mancanza di una soglia minima da superare per aggiudicarsi il premio costituiva un punto su cui si era incentrata la censura di incostituzionalità del porcellum) – ad accogliere i ricorsi di costituzionalità relativi al turno di ballottaggio e alle relative disposizioni della legge elettorale promossi da alcuni Tribunali (Torino, Perugia, Trieste e Genova).
Rispetto ai mumerosi, ulteriori, motivi di illegittimità costituzionale argomentati innanzi ai Tribunali e da questi sollevati alla Corte Costituzionale, la decisione della Corte ha ritenuto di accogliere la questione relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere il proprio collegio di elezione. Rispetto alle motivazioni argomentate nella sentenza 1/2014, di censura del porcellum, con riguardo alle pluricandidature, per la Corte, può ritenersi comunque fatto salvo «il criterio residuale del sorteggio» (previsto nell’ultimo periodo dell’articolo 85 del d.p.r numero 361 del 1957). Ne segue, così, che se rimane intonsa la possibilità di candidarsi in più collegi elettorali, qualora l’elezione avvenga in più di uno di essi, occorrerà procedere al sorteggio al fine di stabilire per quale optare. Il ricorso al sorteggio diviene in tal modo il criterio obbligato per l’assegnazione del collegio parlamentare.
Il “comunicato” della Corte si conclude in modo piuttosto stringato assumendo che «all’esito della sentenza la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione».
Naturalmente, occorrerà attendere le motivazioni della Corte per potersi esprimere compiutamente sulla ragionevolezza di una simile applicazione “immediata”, potendosi al momento cogliere in tale affermazione i termini di una preoccupazione della Corte volta ad assicurare che la sentenza non produca possibili vuoti normativi in materia elettorale, da tempo risalente concepite come leggi costituzionalmente necessarie.
Da qui, tuttavia, ad immaginare un’applicazione automatica al Senato della legislazione elettorale della Camera (ora ridefinita dalla Corte) senza un previo passaggio parlamentare appare piuttosto arduo, a fronte della evidente disomogeneità dei due sistemi elettorali.
Il sistema politico-partitico che aveva immaginato di delegare alla Corte una questione piuttosto “calda” dovrà farsene una ragione e rimboccarsi le maniche mettendo mani alla elaborazione di una legge elettorale per il Senato, che avrà comunque il vantaggio di poter escludere quanto già la Corte ha censurato come misura non conforme alla Costituzione.
*costituzionalista