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I Grande Aracri e il business lucano delle slot

POTENZA La “gallina dalle uova d’oro” e’ ancora quella delle slot illegali, con almeno tremila “macchinette” piazzate dai clan calabresi e lucani in tutta Italia, che fruttavano annualmente un…

Pubblicato il: 30/03/2017 – 7:09
I Grande Aracri e il business lucano delle slot

POTENZA La “gallina dalle uova d’oro” e’ ancora quella delle slot illegali, con almeno tremila “macchinette” piazzate dai clan calabresi e lucani in tutta Italia, che fruttavano annualmente un ricavo stimato in 200 mila euro l’anno per ogni apparecchio: il sistema era protetto pero’ da una sofisticatissima rete di server e cloud stranieri, e con un meccanismo di accesso realizzato da hacker, italiani ed europei, di altissimo livello, scoperto dalla Procura di Potenza nell’ambito dell’operazione “‘Ndrangames”, che ha portato a 19 ordinanze di custodia cautelare. I particolari dell’operazione sono stati illustrati oggi, a Potenza, nel corso di una conferenza stampa, a cui ha partecipato il procuratore della Repubblica del capoluogo lucano, Luigi Gay, il procuratore aggiunto Francesco Basentini, il comandante del reparto operativo dei Carabinieri, il maggiore Antonio Milone, il comandante provinciale di Potenza dei Carabinieri, il colonnello Daniele Scardecchia, e il tenente Armando Barbaruolo, del nucleo investigativo dei Carabinieri. Il gip ha disposto una misura di custodia cautelare in carcere, undici arresti domiciliari, sette obblighi di dimora, e il sequestro preventivo di sette società. Gli indagati sono complessivamente 200. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono di associazione per delinquere transnazionale pluriaggravata, e raccolta dei proventi illeciti del gioco illegale on line attraverso strumenti informatici e telematici. Le indagini si sono svolte tra il 2012 e il 2015, con un coordinamento investigativo con le Dda di Catanzaro e Bologna. Il punto di partenza riguarda le attività illecite del clan di ‘ndrangheta che fa capo a Nicolino Grande Aracri – tra gli indagati – di Cutro, e i collegamenti con il clan lucano Martorano-Stefanutti. Le slot erano prive delle autorizzazioni dell’Aams (l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato) e sullo schermo riportavano semplici giochi dimostrativi: accedendo però al sistema criptato attraverso una card in possesso del gestore del locale pubblico, i giocatori entravano nel sistema vero e proprio, criptato e sostenuto da server stranieri, in Olanda, Grecia e negli Stati Uniti, architettato da hacker che potevano anche disattivarlo da un controllo remoto, per eludere i controlli delle forze dell’ordine e cancellare la cronologia delle operazioni. Le slot sono state scoperte in Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli, Toscana, Emilia-Romagna, Umbria, Lazio, Marche, Sardegna, Campania, Abruzzo, Molise, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia. Secondo le stime degli investigatori, il guadagno annuo ammonterebbe a circa 593 milioni di euro. I clan avevano anche cercato “agganci” in tutto il Paese per ripulire tale massa di denaro sporco. 

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