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Fusione dei Comuni alla “calabrese”

Siamo alle solite. Nella giornata di ieri il consiglio regionale ha consumato un atto di assurda democrazia e di interpretazione, quantomeno sui generis, delle leggi in relazione al tempo, nel caso d…

Pubblicato il: 05/05/2017 – 10:01
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Fusione dei Comuni alla “calabrese”

Siamo alle solite. Nella giornata di ieri il consiglio regionale ha consumato un atto di assurda democrazia e di interpretazione, quantomeno sui generis, delle leggi in relazione al tempo, nel caso di specie riguardo alle decisioni amministrative perfezionate dai Comuni interessati. A quegli atti che rappresentano i presupposti indispensabili perché la procedura di fusione possa avere inizio.

LA LEGGE-PROVVEDIMENTO Si è approvata la legge-provvedimento propedeutica alla istituzione del nuovo Comune dei Casali del Manco con annessione del Comune di Spezzano Piccolo, i cui cittadini votanti non vi avevano aderito. Una chiara violazione dei diritti di partecipazione democratica che rende l’assunto, ancorché non propriamente legislativo, affetto da illegittimità costituzionale.
Il tutto è avvenuto in tutta fretta e nel disordine interpretativo assoluto, solo perché occorreva fare subito per evitare che nei due dei Comuni coinvolti si procedesse all’elezione del rispettivo sindaco. Un atto di alta democrazia elettiva che non sarebbe stato, comunque, impeditivo del prosieguo dell’iter intrapreso, che ben poteva concludersi con qualche giorno di ritardo ma con le idee più chiare e le rappresentanze istituzionali al completo, funzionali ad assicurare la totale rappresentatività sociale nella exit strategy. E qui, un grave episodio di violenza democratica, concretizzatosi nell’impedire manifestamente ai cittadini di Trenta e di Spezzano Piccolo – così è stato palesemente riferito in aula dai sostenitori della «tempestività» dell’azione legislativa e della irragionevolezza – di eleggere il prossimo 11 giugno i loro primi cittadini. Un evento, questo, che sarebbe stato indispensabile per Spezzano Piccolo – che a tutt’oggi ne è privo – per (co)partecipare, ancorché in termini «consulenziali», ai lavori che dovranno essere portati avanti dal nominando commissario, strumentali a dare concretezza alle procedure necessarie per la costituzione del nuovo ente.

L’ITER LEGISLATIVO E UNA INTERPRETAZIONE CHE NON CI STA Si diceva dell’interpretazione sui generis della disciplina regionale sulle fusioni in rapporto agli atti di impulso dei cinque Comuni, che – si sottolinea – essere stati perfezionati dai medesimi nel 2014.
Essa è da considerarsi tale, ad essere buoni, tenuto conto del principio secondo cui i rapporti istituzionali (il «contratto» stipulato tra amministratori e amministrati) nati sotto l’egida di una legge non vengono automaticamente a produrre gli effetti voluti se disciplinati diversamente da una nuova legge, specie se relazionati a valutazioni collettive (referendum popolari) che si rendono meno garanti della rappresentatività sociale per cancellazione dei quorum preesistenti
È quanto accaduto tra la formazione del consenso municipale e la normativa regionale riferibile al referendum consultivo, cui ogni fusione dei Comuni è subordinata.
Al riguardo, si è verificato di tutto e di più.
Con la legge regionale 1 marzo 2016 n. 9 si è:
– eliminato il quorum, ovverosia la necessità che si pervenisse ad un giudizio favorevole o contrario con il conseguimento della maggioranza degli aventi diritto e con la maggioranza dei voti espressi;
– tirato dal cappello l’inimmaginabile, ovverosia che la proposta referendaria era da ritenersi accolta prescindendo dalla maggioranza dei voti degli iscritti alle liste elettorali. Nella sostanza, si dava per approvata la proposta referendaria con il conseguimento della maggioranza dei voti complessivi dell’intero bacino elettorale.
Un errore marchiano nei confronti del quale si è rivoltato il mondo, in quanto oggettivamente ritenuto imposto nell’assoluta violenza della democrazia e dell’autonomia che la Costituzione riconosce ai Comuni. I più piccoli dei quali messi nel pericolo di essere così annessi agli altri Comuni solo perché meno abitati.
Insomma un assurdo, al quale il legislatore è stato costretto a dare riparo – a questo punto non riuscendoci affatto – con l’approvazione della legge regionale successiva del 27 dicembre 2016 n. 43 che ha soppresso la frase «complessivi dell’intero bacino complessivo» al fine – così come a suo tempo dichiarato in aula e riferito nelle relazioni di accompagno – di evitare forzate annessioni di quei Comuni ove si fosse registrato il dissenso dei rispettivi cittadini.
Sennonché, è accaduto l’esatto contrario di quanto palesemente rappresentativo della ratio legislativa che ha portato il legislatore regionale a riparare alle stupidaggini scritte nel marzo 2016, che avrebbe meritato un attento ricorso all’interpretazione logica in tal senso che avrebbe, certamente, impedito al consiglio regionale di scrivere una così brutta pagina istituzionale.

ALLA CONFUSIONE LEGISLATIVA È SEGUITA LA NATURALE INCERTEZZA ISTITUZIONALE A fronte di tutto questo cosa è accaduto? Si è verificato che uno dei cinque Comuni – tutti puntuali nel deliberare l’attivazione della procedura di fusione oltre tre anni fa, e quindi sotto l’egida di una legge che assicurava il perfezionamento della decisione finale con il voto favorevole della maggioranza degli aventi diritto – si vede forzatamente annesso al nuovo ente a seguito della maggioranza conseguita tra i votanti dell’intero bacino territoriale. Quel rapporto che si era opportunamente cancellato nel dicembre 2016 ad opera della legge regionale n. 43.
Come dire, in un’assemblea degli azionisti di una Spa, anziché pretendere il voto della maggioranza delle azioni, si decide con il consenso dei presenti. Una regola ragionevole mantenuta persino nelle assemblee condominiali in ragione dei c.d. millesimi.
Dove sono andate a finire le regole che hanno indotto a suo tempo i consigli comunali a decidere con la certezza di rimettere il definitivo giudizio sul da farsi alla maggioranza degli elettori iscritti nelle liste comunali?
Sono cambiate le regole della rappresentazione democratica, e non poco, tali da necessitare che i medesimi Consigli comunali confermassero il loro intento con un successivo atto, uniformandosi così alle novellate leggi.

NON CURATI NEPPURE GLI ATTI AMMINISTRATIVI Insomma, tutti siamo d’accordo nel fare le fusioni dei Comuni – lo scrivo dal 2004 – il problema è come farle.
In Calabria, da ultimo, si fa peggio che altrove. Lo dimostra la legge che peggio di così neppure in Uganda, per dirla alla Gaber.
Una sottovalutazione del tema che si riscontra altresì dal tenore dei provvedimenti amministrativi, del tipo quelli riguardanti la fusione di Corigliano e Rossano, anche essi deliberanti ante legem regionale dell’1 marzo 2016, che fanno riferimento alla fusione riguardante “Villa Brutia” che è tutt’altra cosa dall’Alto Ionio, dal momento che afferiva alla primitiva scelta di denominazione della fusione dei Casali del Manco. Come dire al copiare (male) non c’è limite in Calabria!

I MOTIVI E I RIFERIMENTI D’AULA NON PROPRIAMENTE ADEGUATI La fusione è cosa seria e così va trattata, soprattutto elaborando preventivamente studi di fattibilità esaustivi e non lasciandosi attrarre dalle sirene dei contributi statali ad hoc, cui pare – stante alle dichiarazioni di aula regionale – si sia fatto esclusivo riferimento nel caso dei Casali del Manco. In Consiglio regionale, si è fatto impropriamente riferimento a quattro fattispecie di fusioni risalenti, intervenute nelle regioni di Piemonte (Cassano Spinola dal 2018), Emilia Romagna (Valsamoggia), Toscana (Abetone Cutignano) e Marche (Colli al Metauro). Si è fatto ciò senza contare quella «rifiutata», in presenza di un no, dei Comuni romagnoli di Mondaino, Montegridolfo e Saludecio e senza sottolineare che le anzidette quattro erano tutte provviste di nutriti studi di fattibilità e tutte perfezionate in presenza di leggi regionali costanti nel tempo e ben specificative della metodologia di valutazione della maggioranza occorrente, conosciute sin dai relativi atti d’imp ulso comunali. Quindi, in Italia, tranne i Casali del Manco, nessun Comune istituito con leggi che cambiano le regole durante la partita (che i calabresi continuano a perdere)! Così facendo, non arriviamo da alcuna parte, ove mai registreremo qualche doloroso passo indietro.

 *docente Unical












 

 

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