REGGIO CALABRIA Estorsioni, danneggiamenti, infiltrazioni in appalti pubblici e privati, ma anche strutture e cariche di nuovo conio in grado di sostituire e superare quelle che inchieste e processi svelano. Dall’attività di controllo del territorio alle dinamiche interne, l’indagine che oggi ha portato al fermo di 116 persone è una radiografia ad ampio raggio dell’ala operativa e militare della ‘ndrangheta. Quella convinta di poter sostituire lo Stato sul territorio, come afferma intercettato Rocco Morabito, uno dei figli del boss Peppe Tiradritto. Da tempo in carcere perché finito in manette in una precedente inchiesta, il rampollo dello storico boss, non esita a dire assicurare ad uno degli affiliati: «Lo Stato qua sono io – afferma intercettato –. La mafia originale… non quella scadente». Una sicumera destinata a essere cancellata dalla nuova operazione della Dda, che ha colpito – e duramente – anche il suo clan. «Grazie ad un lavoro certosino del Ros – spiega il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho – sono state riprese e valorizzate diverse indagini del passato che ci hanno permesso di far luce sulla struttura di diversi clan operanti su un territorio molto vasto e strategico per la ‘ndrangheta».
VECCHIO E NUOVO Un’organizzazione – conferma l’inchiesta – unitaria e segreta, articolata su più livelli e provvista di organismi di vertice, per questo in grado di reagire a inchieste e processi che la mettono a nudo con continue evoluzioni, ma senza rinunciare alle sue più antiche “istituzioni”. È il caso dei “tribunali di ‘ndrangheta”, antica “istituzione” dei clan di cui si trovano tracce anche negli antichi codici dell’Ottocento, oggi come allora chiamati a giudicare quegli affiliati sospettati di violazioni delle regole del sodalizio criminale e a sanare conflitti e faide fra ‘ndrine diverse.
a. c.
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