La segretaria di Matacena: «Semplice esecutrice delle direttive dei coniugi»
REGGIO CALABRIA «Voi non avete arrestato otto persone, ne avete arrestate sette e una l’avete liberata. Per me è stata una liberazione». Dopo ore di deposizione, sbotta così Mariagrazia Fiordelisi, s…

REGGIO CALABRIA «Voi non avete arrestato otto persone, ne avete arrestate sette e una l’avete liberata. Per me è stata una liberazione». Dopo ore di deposizione, sbotta così Mariagrazia Fiordelisi, storica segretaria dell’ex parlamentare del Pdl, oggi latitante, Amedeo Matacena, e della moglie, Chiara Rizzo, nel corso dell’interrogatorio cui ha deciso di sottoporsi al processo Breakfast, che la vede imputata insieme a Lady Matacena, al braccio operativo del marito Martino Politi e all’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola.
LA RABBIA DI FIORDELISI Tutti quanti sono accusati di aver a vario titolo aiutato Matacena a sfuggire all’esecuzione di una condanna definitiva per mafia e ad occultare il suo immenso patrimonio, agevolando in questo modo i clan di Reggio Calabria. Ma Fiordelisi non ci sta. «Io facevo solo quello che mi veniva detto di fare, anzi mi veniva scritto, soprattutto per mail, perché in ufficio ero da sola» ripete più volte interrogata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Ed è arrabbiata. Con il procuratore «per niente simpatico» che non l’avrebbe sentita, con i giudici che hanno creduto alle accuse, con la stampa che non le avrebbe chiesto mai la sua versione dei fatti. Con Lady Matacena e il marito che l’avrebbero messa nei guai invece no.
ALL SERVICE Eppure, nel corso della sua deposizione, non è sembrata particolarmente soddisfatta del suo incarico. «Io mi occupavo della gestione delle società che avevano acquistato le navi Lady Chiara e Sir Athos e delle necessità personali della signora Rizzo, persino il cane mi è toccato a volte portare fuori». Lei – ripete – si limitava a seguire le indicazioni, a tradurre i documenti dall’inglese e a sottoporre le varie questioni ai coniugi. «Se si trattava di soldi parlavo con la signora Rizzo, in caso di tubi che si rompevano con Matacena». In altri casi, con entrambi. Per loro, gestiva i contatti con altre società, fiduciarie, avvocati, commercialisti, professionisti, banche. Ma delle loro eventuali manovre – lascia intendere – sarebbe stata completamente all’oscuro.
IL FANTASMA DI PACE «Sono tre anni che aspetto di dire queste cose» tuona l’imputata visibilmente nervosa, che finisce per evocare persino il fantasma del colonnello Pace, il quale – sostiene – «mi ha chiamata non so quante volte quel giorno per chiedermi “signora, aiutateci a capire queste carte”». Ma il colonnello è morto in seguito ad un suicidio che ai familiari è apparso da subito misterioso e in aula ci vuole tutta la pazienza del pm Lombardo per tirare fuori informazioni collocabili in un quadro coerente dalle aggressive risposte di Fiordelisi.
LA GALASSIA MATACENA Lei, racconta, non sa bene come mai i coniugi Matacena l’abbiano assunta. «Avevo risposto ad un’inserzione strana, che stava lì da un sacco di tempo, quando mi hanno chiamata ho supposto che la mia risposta fosse arrivata in mano a loro». E per loro ha iniziato a gestire la complicata situazione finanziaria derivata dall’acquisto delle due nuove motonavi che sarebbe stata alla base della crisi della holding Matacena. Solo per questo – sottolinea – sarebbe venuta indirettamente a conoscenza del perimetro del gruppo, con la sua infinita galassia di società attive e inattive, sparse per diversi angoli del globo, in parte appoggiate a fiduciarie, come la Sirefid, e gestite a livello fiscale, commerciale e contabile grazie a studi come Dixcart con sede a Madeira ed Sg Group con sede in Lussemburgo. Un universo in cui, spiega, c’era il progetto di mettere ordine con una ristrutturazione affidato a Cofimo, uno studio legale e commerciale del Principato di Monaco che fa capo ad Enrico Feraboli. Ma l’operazione – dice – sarebbe rimasta a metà, perché i professionisti di Cofimo si sarebbero improvvisamente dileguati.
AMMINISTRATRICE A TITOLO GRATUITO Quello che Fiordelisi non riesce del tutto a spiegare è come mai sia passata da una semplice attività gestionale ad amministrare una delle società del gruppo. «Nel settembre 2011 divento amministratrice della A&A. Era una settimana prima del licenziamento. La signora Rizzo era in pieno disastro finanziario, era stata costretta persino a lasciare l’appartamento che aveva affittato dopo aver lasciato quello che aveva messo a garanzia del mutuo per l’acquisto delle navi. I coniugi mi hanno chiesto di fare l’amministratrice perché non avevano la possibilità di pagare una persona di fiducia. Si trattava solo di mettere in liquidazione la A&A». Ma anche – aggiunge in seguito – la Dixcar, i rapporti con gli avvocati, le altre società. «Non potevo mollare – sostiene – perché la A&A era legata a tutte le altre società gestite da Cofimo».
IN TRAPPOLA? In questo modo, anche dopo il licenziamento, sarebbe rimasta incastrata, anche perché – afferma – avrebbe dovuto lottare un anno per ottenere dal precedente amministratore e dal commercialista tutta la documentazione riguardante la A&A. «Non potevo neanche dimettermi» afferma. Ma su quel periodo e sulle altre attività che Fiordelisi ha portato avanti per i coniugi Matacena, il procuratore aggiunto pretende di sapere di più. Per questo, la segretaria dei due proprio nel periodo in cui per gli inquirenti si è realizzata la fusione inversa che ha permesso a Matacena di occultare il proprio patrimonio dovrà tornare sul banco dei testimoni. L’appuntamento è per il 13 settembre.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it