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«Cercasi classe dirigente»

C’era una volta la scuola di partito. Non che ora non vi siano scuole di formazione politica. Anzi, a guardarsi in giro, ve ne sono pure troppe.Davanti alla complessità dei problemi la classe polit…

Pubblicato il: 17/01/2018 – 10:04
«Cercasi classe dirigente»

C’era una volta la scuola di partito. Non che ora non vi siano scuole di formazione politica. Anzi, a guardarsi in giro, ve ne sono pure troppe.
Davanti alla complessità dei problemi la classe politica avverte, in effetti, che c’è una grave carenza di «elaborazione politica». E così fioriscono scuole di partito, fondazioni, think tank, pensatoi, accademie, ecc.. In qualche caso si tratta di esperienze robuste, in molti casi sono espressione diretta di leader o esponenti politici, che ne fanno un utilizzo solo strumentale.
Quando i partiti era solidi e non “liquidi” o, se vogliamo, leaderistici, la scuola di partito era il luogo in cui si formava la classe dirigente del Paese. E, prima ancora, era il luogo dell’elaborazione politica.
Per fare qualche esempio, intorno alla storica scuola delle Frattocchie si sono formate intere generazioni di comunisti. Era la scuola che ha forgiato la classe dirigente del partito. La scuola che faceva studiare, diventare funzionari di partito e poi – e soltanto poi – dirigenti politici. La scuola che ha concorso a portare il partito ad esercitare la nota «egemonia culturale» nel Paese.
Politici non si nasce. Si diventa. E si diventa dopo tanto studio ed elaborazione. Solo studio ed elaborazione portano a leggere correttamente i fenomeni storici, economici e sociali, e, quindi, a fare in maniera credibile diagnosi e proposte politiche.
L’ENA di Parigi ha formato Presidenti della Repubblica e premier. Lo stesso ha fatto l’Eton College di Londra. Nel nostro Paese Università e Bankitalia sono tra le istituzioni pubbliche più solide e credibili, e lo dimostrano i frequenti travasi cui ricorre la politica.
Negli anni che vanno dal 50’ al 60’ del secolo scorso, la sinistra di base della DC ha studiato alla Cattolica di Milano. La Normale di Pisa ha fatto Presidenti della Repubblica e premi Nobel. E quanta classe dirigente è venuta fuori dalla Bocconi, e da altre istituzioni formative espressione del mondo industriale (Confindustria e Cavalieri del Lavoro)!
In una parola, la politica è competenza. È la competenza di chi – ripeto – sa leggere i fenomeni storici, economici e sociali, e, quindi, è nelle condizioni di fare diagnosi e proposte politiche.
Leonardo Sciascia, in “Una storia semplice”, racconta dell’incontro del procuratore della Repubblica col suo vecchio professore d’italiano. Rivolgendosi al professore, il procuratore dice: «L’italiano: ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui, procuratore della Repubblica…». Risponde il professore: «L’italiano non è l’italiano: è il ragionare». E poi aggiunge: «Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto».
Purtroppo, la nostra politica sconta, in generale, la mancanza di una classe dirigente all’altezza della complessità dei fenomeni.
Se chi governa (o chi aspira a governare), lo fa con i sondaggi alla mano, è evidente che non ha bisogno di una classe dirigente capace di elaborare, strutturare e proporre un “pensiero lungo”. Ha bisogno di un esercito di gregari e di sondaggisti, che gli dica quali sono gli umori, le paure, i bisogni (non reali, ma percepiti) della gente di qui fino al momento delle elezioni. E poi, ancora, ne avrà bisogno al momento del governo per indirizzare le vele dove soffia il vento ed evitare così di perdere i consensi ottenuti.
Questa non è politica: è mercato. Il mercato rincorre il consumatore. A tante cose si attaglia il mercato, ma non alla politica. La politica è altro.
La politica è lungimirante. Se è autorevole, sa proporre soluzioni anche dolorose e impopolari nel breve periodo, ma capaci nel lungo periodo di sciogliere i nodi e di risolvere i problemi della società.
È sufficiente dedicare un’oretta al giorno di attenzione al “dibattito” che ci offre l’attuale campagna elettorale in Italia, per accorgersi che è solo un festival sottotitolato “a chi la spara più grossa”. Eppure, il Presidente della Repubblica, nel tradizionale messaggio di fine anno, ha richiamato la politica al dovere di formulare «proposte realistiche e concrete». Parole pesanti. Di uno che viene dalla Democrazia Cristiana, un partito nel quale la politica si “pensava”, e non si “agitava” ai quattro venti.
Ci siamo mai chiesti veramente perché la sinistra è in affanno, e non solo in Italia? È in affanno, e in alcuni casi del tutto emarginata, perché non è stata in grado di proporre un’alternativa culturale, prima ancora che politica, al mainstream, al pensiero dominante, al pensiero unico, al mercatismo. E quando è andata al governo, piuttosto che governare i mutamenti “da sinistra”, ha scimmiottato la destra, non riuscendo ad offrire una propria autonoma e valida lettura culturale alle novità della storia. E la gente, cominciando a non capire la differenza, ha buttato tutto in aria. E rischia ora di rovesciare il tavolo, affidando al populismo la propria rabbia. Buona fortuna a tutti!
Senza classe dirigente all’altezza della complessità dei problemi è a rischio la competitività del Paese.
Per andare alle nostre latitudini, è importante sottolineare che il Dipartimento di Giurisprudenza ed Economia (la vecchia “Facoltà” di Giurisprudenza) dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria ha ottenuto un finanziamento speciale di 5 milioni di euro da destinare alla ricerca, alla didattica, all’offerta formativa, al potenziamento della struttura amministrativa e delle infrastrutture. Unico nel Mezzogiorno, il Dipartimento della Mediterranea ha superato la dura selezione dell’ANVUR (Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca), ottenendo i galloni di “Dipartimento di eccellenza”, che gli hanno meritato il prestigioso riconoscimento economico. L’Università si conferma come “valore territoriale” importante, leva di sviluppo. E ne parlo per sottolineare che, se la Mediterranea è riuscita a “competere” vittoriosamente nell’ambito del sistema universitario, lo si deve, oltre che al lavoro dei tanti che hanno speso le proprie energie negli anni, alla sua classe dirigente. Classe dirigente che si è dimostrata all’altezza dei problemi e delle sfide. Che ha dimostrato di saper attirare risorse al territorio. In un momento in cui i giovani fuggono dal Sud, la Mediterranea si offre come una ragione per restare. Un luogo dove fare un’esperienza di studio e di formazione d’eccellenza.
Mi spiace molto – devo dirlo – solo quando leggo che le risorse rimangono al palo per l’incapacità di attrarle al nostro territorio, o peggio, quando, finanziate, tornano al mittente. Perché? È domanda che esige risposte concrete e credibili: i cittadini hanno bisogno di capire. E, in tempi elettorali, di capire rapidamente.

*Docente Università Mediterranea di Reggio Calabria

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