«Una martellata nelle mani e vediamo se va a rubare ancora»
COSENZA «Inizia a mutilarlo, una martellata nelle mani… proprio ferma… proprio in quella maniera “Ta”! (simula il rumore della martellata ndr)… a schiacciare la mano, vediamo se va a rubare ancora… s…

COSENZA «Inizia a mutilarlo, una martellata nelle mani… proprio ferma… proprio in quella maniera “Ta”! (simula il rumore della martellata ndr)… a schiacciare la mano, vediamo se va a rubare ancora… sei andato là… e inizi a schiacciarli…e risolve il problema… “non dimenticartelo però, che la prossima volta te la taglio la mano”…punto». È questo il tono di una delle tante intercettazioni effettuate dai carabinieri del Nucleo operativo di Corigliano nell’ambito dell’inchiesta “Tribunale” (qui e qui i dettagli).
A parlare sono gli uomini che commentano la gestione dei problemi della cittadina ionica. Si palesa la necessità di un più incisivo controllo del territorio da parte del consorzio criminale. Estorsioni, rapine, quote da pagare con cadenza annuale per poter esercitare liberamente la propria impresa. Tutto questo è contenuto nelle carte dell’operazione condotta dalla procura di Castrovillari nell’ambito della quale, nonostante il periodo oggetto di indagine sia di qualche anno fa, sono state disposte sei misure cautelari in carcere, quattro ai domiciliari e due con obbligo di firma alla polizia giudiziaria.
L’ORGANIZZAZIONE Se Filippo Solimano, re di Spagna, venne chiamato il “Legislatore” data la sua intuizione nello scrivere di legge, lo stesso potrebbe dirsi di Filippo Solimando di Corigliano Calabro. A differenza del quasi omonimo spagnolo però per il coriglianese ad emergere sarebbero anche le attitudini giudicanti. Nelle carte dell’inchiesta la sua figura è delineata come quella di colui che avrebbe avuto il compito di aver «organizzato, promosso e diretto l’associazione a delinquere, impartendo direttive ed assumendo le decisione in ordine alle attività da compiere per avere il controllo nel territorio del comune di Corigliano Calabro». Le regole da non tradire sono quelle del gruppo che controlla Corigliano “Vecchia” (o paese, ndr) e a non sgarrare devono essere soprattutto quelli dello “Scalo”, cosa che però succede – secondo gli inquirenti – quando viene messa a segno una rapina nell’abitazione di un parente di Solimando. Ad aiutare il “giudice” ci sono anche Giovanni Arturi, Natale Gencarelli, Luigi Sabino e Vincenzo Sabino. Oltre a questo, nell’ordinanza si specifica come per loro il compito fosse anche quello di dirigere la guardiania imposta a fini estorsivi. Per Giuseppe Sammarco l’attività designata è quella di «risolvere i problemi legati alla commissione di delitti contro il patrimonio non preventivamente autorizzati». Franco La Via e Antonio Palummo si occupavano di estorsioni di piccola rilevanza, il resto della banda invece delle rapine.
I PESTAGGI «Bussavano alla mia porta, ho aperto e tre ragazzi hanno iniziato a picchiarmi. Due mi hanno bloccato e un terzo mi tirava dei fendenti. Nel mentre mi accoltellavano non proferivano parola e facevano tutto in fretta». La denuncia fatta da Loris Schiavelli è meticolosamente appuntata dai carabinieri. Il ragazzo, a pochi giorni da un altro pestaggio, riceve a casa la visita di tre uomini che identifica in Giuseppe De Patto, Alfonso Scarcella e Davide Lagano. «Appena è arrivata la mia matrigna – continua la denuncia – mi ha portato con la sua macchina in ospedale». L’uomo racconta ai militari della stazione di Corigliano che le botte sarebbero state la conseguenza di una rapina fatta insieme ad altri suoi tra amici nell’abitazione di un parente di Filippo Solimando.
LE ESTORSIONI Nel corso della conferenza stampa sia il procuratore Facciolla che il titolare dell’indagine Iannotta hanno riferito come l’attenzione per l’economia del paese da parte dei criminali fosse riferibile anche a piccoli agricoltori. Dal quadro indiziario emergerebbe che nel corso degli anni gli imprenditori che si rifiutarono di stare alle regole venissero “processati” dal grand jury di Corigliano. Non c’erano mezzi termini o alternative. Riportano gli inquirenti come, su ordine di Solimando ,Antonio Palummo e Giuseppe Sammarro si recarono ad un impianto di rifornimento energetico dicendo al proprietario: «So che hai appaltato lavori in provincia di Firenze, noi abbiamo una ditta di Prato che da tempo non riesce a lavorare, vedi se gli puoi dare una mano così lavori tranquillo pure tu». Atteggiamenti simili sarebbero stati riservati anche a chi vinceva gli appalti in città. Tra i capi di imputazione sono riportati gli atteggiamenti nei confronti della società che si aggiudicò i lavori di rifunzionalizzazione del castello di Corigliano. Salgono e scendono gli scooter dallo storico castello, viene riferito ai dipendenti che se «il titolare non si fosse fatto trovare nel giorno stabilito i lavori potevano ritenersi conclusi». Non mancavano i casi in cui la quota da estorcere fosse inferiore anche ai 500 euro.
Michele Presta
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