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«Meglio sotto scorta che incatenato alla ‘ndrangheta»

LAMEZIA TERME «Meglio vivere sotto scorta che vivere la propria vita legata alle catene della mafia». È il messaggio lanciato dall’imprenditore Rocco Mangiardi, testimone di giustizia, agli studenti…

Pubblicato il: 21/03/2018 – 16:50
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«Meglio sotto scorta che incatenato alla ‘ndrangheta»

LAMEZIA TERME «Meglio vivere sotto scorta che vivere la propria vita legata alle catene della mafia». È il messaggio lanciato dall’imprenditore Rocco Mangiardi, testimone di giustizia, agli studenti dell’Istituto tecnico economico “De Fazio” di Lamezia Terme nel corso della presentazione del suo libro “Poesie d’amore, di fede e di ciarpame” (Calabria edizioni). «Penso – ha detto Mangiardi ai ragazzi che alla fine dell’incontro gli hanno posto alcune domande – che questa sia l’unica vita che abbiamo e ritengo che debba essere vissuta al meglio, senza vergogna e non da turisti. Ed io, insieme a tante altre persone, la nostra vita la stiamo vivendo».
Mangiardi ha poi raccontato la sua esperienza, di come sia cambiata la sua vita dal 2006, da quando, cioè, ha detto no al pizzo e ha denunciato i suoi estorsori, e «con la mia famiglia stiamo vivendo il periodo più bello della nostra vita». Quindi ha sollecitato i ragazzi a non arrendersi «perché – quando uno denuncia, denuncia per tutti e non salva solo se stesso, ma può anche salvare la vita dei cattivi. Se io avessi dato quei 1.200 euro al mese che mi avevano chiesto, avrei tolto lavoro perché non è vero che la ‘ndrangheta dà lavoro. Inoltre, avrei permesso loro di uccidere una persona ogni due anni. Avrei anche potuto scegliere di andar via, ma non l’ho fatto: ho denunciato perché non sono io a dover andar via, ma devono essere loro ad andar via. Ho deciso: io resto qui. Non rassegnatevi. Lo Stato non c’è dove non ci sono i cittadini».
«Anche acquistare uno spinello – ha aggiunto – significa aiutare economicamente la ‘ndrangheta: lo spinello va pagato e la somma viene utilizzata per fare del male alle persone per bene, non va certamente alla Caritas». Poi, nel ricordare figure come don Pino Puglisi e don Peppino Diano che «vivevano il Vangelo», l’imprenditore con un po’ di amarezza ha ricordato quel periodo in cui partì la sua denuncia. «Allora – ha detto – avremmo dovuto fare una denuncia collettiva. Ci siamo chiusi in una stanza, ma da quella stanza sono uscito solo io. Se avessimo denunciato tutti, saremmo stati più forti e certamente non ci avrebbero ucciso».

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