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Allo Stato il patrimonio del “re della montagna”

La Corte di Cassazione ha confermato definitivamente la confisca di tutti beni che il Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della Procura, ha disposto nei confronti di Rocco Musolino dopo la s…

Pubblicato il: 12/04/2018 – 21:42
Allo Stato il patrimonio del “re della montagna”

REGGIO CALABRIA Sebbene di lui abbiano parlato decine di pentiti e le sue gesta vengano cantate persino nelle ballate di ‘ndrangheta, don Rocco Musolino è riuscito a morire da incensurato nel suo letto. Tuttavia nessuno dei suoi eredi potrà godere del patrimonio da lui accumulato in una vita da “Gran criminale”. La Corte di Cassazione ha confermato definitivamente la confisca di tutti i suoi beni che la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della procura, ha disposto nei confronti di don Rocco Musolino (foto) dopo la sua morte. Il regno del “re della montagna” è finito con lui.
NODO GIURIDICO SUPERATO «Si trattava – sottolinea il procuratore vicario Gaetano Paci – di una questione giuridica particolarmente complessa perché di fatto è una confisca in danno degli eredi, ma il lavoro attento dei nostri giudici ha portato a provvedimenti che hanno passato integri il vaglio della Cassazione. Il lavoro della magistratura giudicante reggina, sia in primo grado, sia in appello è stato encomiabile. Soprattutto – fa notare il magistrato – alla luce delle risicate forze (solo 6 giudici fra primo e secondo grado) su cui la sezione Misure di prevenzione possa contare. Grazie a loro, che l’immenso patrimonio di un soggetto come don Rocco Musolino sia cosa di mafia è cosa giudicata, che già fa giurisprudenza. Ma soprattutto è un messaggio dall’importantissimo valore simbolico. Perché a Reggio Calabria e nel Reggino, il “re della montagna” è stato sempre il simbolo dell’assoluta impunità»
CROLLA IL SIMBOLO DELL’IMPUNITÀ «Il percorso esistenziale e criminale di quest’uomo – spiega il ancora Paci – lo ha trasformato in un simbolo di intoccabilità, in ragione non solo dei legami con ambienti di ‘ndrangheta, ma anche istituzionali. Magistratura inclusa». Indicato da più di un pentito come appartenente a un’importante loggia massonica, ex vicesindaco di Santo Stefano d’Aspromonte, don Rocco Musolino era in rapporti con personaggi del calibro del notaio Marrapodi e dell’onorevole Lodovico Ligato, ex potentissimo presidente delle Ferrovie dello Stato, ritenuto vicino al clan De Stefano, i cui castelli societari che negli anni Settanta rastrellano appalti e commesse e per questo ucciso. E poi medici, amministratori giudiziari, commercialisti, politici. Ma – hanno svelato i pentiti – proprio in virtù dei suoi contatti istituzionali, il “re della montagna” era anche l’uomo cui rivolgersi per “aggiustare processi”.
IL RE DELLA MONTAGNA E DELLE LOGGE «Personaggi come il Musolino Rocco, proprio perché presenti a un tempo nel vertice malavitoso ed in quello della massoneria coperta – si leggeva nei provvedimenti di prima istanza – hanno pilotato per decenni l’evoluzione criminale nella provincia reggina, avendo carisma necessario per affiancare Serraino Francesco in redditizie attività commerciali e prepotenti scalate delinquenziali e ancora per saldare stabili contiguità con uomini delle istituzioni attraverso i canali privilegiati che “fratelli” come il Marrapodi potevano loro impunemente assicurare». Un capitale sociale di rapporti, relazioni, cointeressenze e favori che per i giudici è servito al re della montagna per accumulare il suo immenso patrimonio. Esattamente quello che oggi passa allo Stato perché illecito.
PATRIMONIO STERMINATO Villette, fabbricati, magazzini, appartamenti in Calabria come a Roma, centinaia e centinaia di ettari di terreni agricoli ma anche conti correnti, polizze, depositi titoli, per un valore pari a “150 milioni di euro” approssimato per difetto. «Passa definitivamente nelle mani dello Stato un patrimonio immenso, soprattutto immobiliare, che va – sintetizza Paci – dalla città all’Aspromonte». Un risultato storico per la magistratura reggina, che ha braccato per tutta la sua vita il “re della montagna”, ma lo ha sempre visto sfuggire alle maglie dei processi.
L RE SENZA CONDANNE Coinvolto in procedimenti penali fin dai tempi di “Olimpia” – che lo ha visto condannato in primo grado e assolto in secondo – don Rocco Musolino è morto senza che nessuna condanna in via definitiva fosse mai riuscito a raggiungerlo. Sebbene le sue gesta siano state cantate persino nelle ballate di ‘ndrangheta – in primis quella composta per lui dal suo autista Stefano Morena, genero del boss Araniti – e i pentiti abbiano parlato di lui fin dagli anni Novanta, quando il “re della montagna” è morto nel suo letto, l’unica cosa che risultasse a suo carico era un rinvio a giudizio per esercizio abusivo del credito. Eppure in tanti, soprattutto dall’interno del mondo delle ‘ndrine, avevano spiegato in dettaglio quanto importante fosse stato il suo ruolo e quanto esteso il potere del “re della montagna”, rimasto tale nonostante la morte dei suoi “co-reggenti” – Francesco Serraino e Francesco Gioffrè – gli altri “saggi” che comandavano incontrastati tutto l’Aspromonte, dal versante jonico a quello tirrenico, e senza il cui consenso nessuna decisione importante poteva essere assunta – e il riassetto seguito alla seconda guerra di ‘ndrangheta.
STORIA DI UN “SAGGIO” SANGUINARIO Espressione delle ‘ndrine storiche che poco tolleravano l’atteggiamento rampante ed espansionista degli arcoti, all’epoca vincitori assoluti della prima guerra fra ‘ndrine e protagonisti della scena criminale reggina e non solo, Musolino è riuscito a sopravvivere anche all’accusa di aver permesso l’omicidio di Giorgio De Stefano, fratello di don Paolino, freddato in un agguato in contrada Acqua del Gallo, dove era previsto un summit – ha rivelato il pentito Giacomo Ubaldo Lauro – per «stabilire la spartizione dei lavori subentrati con la fine della prima guerra di mafia, in poche parole, dopo la morte di Antonio Macrì e Domenico Tripodo, bisognava verificare le alleanze e gli interessi dei locali usciti vincitori. I suddetti lavori consistevano nella realizzazione del quinto centro siderurgico di Gioia Tauro, del raddoppio del binario Villa San Giovanni-Reggio Calabria, la Liquilchimica e le grandi officine meccaniche delle ferrovie». Un omicidio eccellente consumato sul territorio di don Rocco, che il re della montagna non ha pagato – secondo quanto racconta il pentito Paolo Iannò – grazie alla decisione di sacrificare il cognato, Giuseppe Surace, la cui testa sarebbe stata consegnata ai De Stefano a testimonianza dell’avvenuta esecuzione ordinata dallo stesso Musolino.
NUOVE INDAGINI DAL 2008 Anche per questo – secondo gli inquirenti – don Rocco negli anni si è guadagnato il ruolo di “saggio” che gli ha consentito di avere rapporti con i più potenti clan della provincia di Reggio: dai Serraino ai Nirta, dai Libri ai Condello, passando per gli Italiano, i De Stefano, i Tegano, gli Araniti, gli Imerti e gli Alvaro, dei quali è diventato «interlocutore illustre e privilegiato e sovente punto di riferimento per la risoluzione di delicate questioni». Tutti elementi messi insieme con precisione certosina dagli uomini dei Carabinieri e della Dia, che hanno ricostruito dal punto di vista criminale e patrimoniale la fortuna di Musolino, dimostrando inequivocabilmente come il suo impero non potesse che essere frutto di attività illecite. A dare slancio alle nuove indagini sul “re della montagna” è stato il tentato omicidio di cui è stato vittima nel 2008, quando è stato raggiunto da diversi colpi di arma da fuoco mentre era in auto in compagnia dell’autista. Sebbene l’inchiesta non sia mai arrivata ad individuare i responsabili di quell’attentato, nel corso delle indagini sono stati acquisiti elementi importanti. A partire da una conversazione fra il “re della montagna” e Mico Alvaro, durante la quale si ascolta Musolino dire al boss «l’importante è che lo sappia tu».
IMPRESA MAFIOSA E BEN “AMMANICATA” Un dettaglio che rivela molto della struttura e dei rapporti più segreti della ndrangheta reggina ma spiega anche come mai i giudici non abbiano potuto che considerare quella di Musolino come un’impresa mafiosa fin dalla nascita. «I dati acquisiti – si leggeva nel provvedimento del Tribunale – consentono, dunque, di affermare che l’intera storia imprenditoriale del Musolino, si è svolta grazie ai rapporti stabili e reciprocamente vantaggiosi dallo stesso cercati e abilmente coltivati con la locale criminalità organizzata, dando luogo ad una forma di contiguità stabile, pregnante ed altamente allarmante, che da un lato, ha determinato la fortuna imprenditoriale del Musolino, dall’altro ha consentito alla ‘ndrangheta di esercitare il controllo sulle attività economiche della zona e di lucrare attraverso le stesse».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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