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«Le (preoccupanti) teorie di Casaleggio sul Parlamento»

di Nicodemo Oliverio*

Pubblicato il: 25/07/2018 – 22:25
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«Le (preoccupanti) teorie di Casaleggio sul Parlamento»
Le affermazioni di Davide Casaleggio sull’inutilità del Parlamento nell’ormai prossimo, a suo giudizio, avvento della democrazia digitale rappresentano un doppio campanello d’ allarme: da un lato perché si pronostica la fine della democrazia rappresentativa e dell’idea di delega e dall’altro perché dimostra qual è l’ispirazione del M5S, una democrazia che viene progressivamente svuotata del suo valore cancellando le Assemblee elettive. Con il passare degli anni, e con l’esigenza di avere provvedimenti legislativi approvati con una certa celerità, è venuta ad affermarsi la necessità di accelerare i tempi del processo legislativo. Siamo ormai da alcuni decenni in una situazione piuttosto grave, tenuto conto che il Parlamento di fatto legifera sempre di meno, in quanto il potere legislativo, sostanzialmente, viene esercitato dal governo, mediante decreti legge, spesso con i voti di fiducia. Sicuramente non è un caso se nel 2016 venne chiamato il corpo elettorale ad esprimersi mediante referendum, su una riforma costituzionale di particolare importanza, che lasciava alla sola Camera la funzione legislativa. Questo proprio per rendere più celere il processo legislativo e per interrompere la cosiddetta “navetta” fra le due Camere, che ormai da troppo tempo era ed è la causa di una lentezza veramente esasperante nell’approvazione delle norme di legge. Quasi contemporaneamente era venuta a crearsi nel nostro paese una sempre maggiore debolezza del sistema dei partiti, ridotti ormai ad un ruolo sempre più secondario, sempre meno influente nell’esercizio della formazione della volontà del legislatore. Questo era già di per sé un campanello di allarme, perché non può esistere una democrazia funzionante senza il ruolo di cerniera tra gli eletti e gli elettori. Certo la qualità di una legislatura non è indicata dalla quantità delle leggi e dei provvedimenti approvati, ma una eccessiva contrazione della legislazione, una sola legge approvata fino ad oggi, collegata al numero delle votazioni finora registrate, circa 200 dall’inizio della legislatura, rappresenta una cartina di tornasole non positiva per tutto l’assetto istituzionale. Ma queste considerazioni non bastano certo a decretare il superamento della democrazia parlamentare e certo non possono fare da sostegno alle suggestioni di una personalità che, di fatto, siede nel ponte di comando del primo partito italiano nonché partner maggioritario del governo in carica e quindi “pesa” molto più di un intellettuale nella determinazione dei processi istituzionali e delle scelte concrete. La sede del potere legislativo, nella visione di Casaleggio, a quanto si può capire, risiederebbe nel popolo, depositario della cosiddetta “volontà generale”, esercitata comodamente tramite un click, magari dal divano di casa. La questione posta secondo questi termini apre la porta a due temi fondamentali: il primo relativo al popolo. Forse si crede che la riflessione di Casaleggio sia stata fatta in ragione di una fiducia totale nel popolo e nelle sue decisioni. In effetti però, a mio parere, si configura, paradossalmente, l’esatto contrario: e cioè la poca fiducia nel popolo, nelle sue scelte libere, nella capacità di mandare attraverso elezioni uomini liberi e competenti nell’agorà pubblica, e per questo la delega (che viene attaccata anche dal refrain circa la fine della libertà del parlamentare tramite l’introduzione del vincolo di mandato) deve di fatto essere tolta al libero confronto delle idee, deve cessare proprio come istituto di intermediazione fra le esigenze dell’individuo e quelle della società, fra quelle del singolo e quelle dello Stato. Di seguito a ciò emerge la seconda questione: se viene ad esaurirsi il ruolo legislativo delle Assemblee, dove risiede questo potere, chi lo esprime, chi garantisce il percorso di legittimazione legislativa? Qui sta forse il “non detto” più preoccupante di quanto affermato da Casaleggio. Mi sembra che a tutto ciò si sia sottesa una filosofia che di fatto muta la “ragione sociale” della democrazia e cioè la fusione fra legislativo ed esecutivo. Se il Parlamento non serve più, chi sottopone le leggi ai cittadini che da casa le vogliono votare? Chi le mette in pratica e si fa garante della correttezza anche formale del processo legislativo? Chi le attua sul territorio? Ritengo particolarmente importante ricordare il ruolo insostituibile che ha il parlamento in una democrazia. Un parlamento necessariamente ed indiscutibilmente eletto dai cittadini elettori, in rappresentanza della società e delle sue diverse articolazioni sociali e culturali; un parlamento che tiene insieme una nazione, che rappresenta e dà voce ai bisogni e alle esigenze del corpo elettorale e dei cittadini tutti anche – anzi soprattutto – se esprimono interessi e opinioni diverse; un parlamento che si confronti con le altre democrazie elettive, che è parte attiva di una unione democratica qual è l’ Europa. Non a caso già sul finire degli anni ‘70 si insediò il parlamento europeo, eletto in rappresentanza dei cittadini di tutti i popoli che compongono l’unione. Non vorrei che dichiarare l’irrilevanza delle assemblee elettive e legislative fosse il primo passo per dire che forse anche il popolo che vota da casa deve essere guidato da un Esecutivo, che di fatto assorbe il legislativo e forse, un domani, anche il giudiziario e che, praticamente, al di là delle formulazioni ufficiali, orienta e applica le leggi. In tal caso saremmo approdati molto lontano dalla democrazia, in terre dove i valori fondanti non solo della nostra Costituzione ma dei paesi liberi del mondo intero non troverebbero cittadinanza. E contro questoesito, come democratici, non possiamo che ergere la nostra coscienza e il nostro impegno civico e politico.

*ex parlamentare Pd

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