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«Matacena a Polsi con l'élite della 'ndrangheta»

Nuova aggravente per l’ex moglie del deputato e per l’ex ministro Scajola. Il procuratore aggiunto Lombardo chiede di sentire tre collaboratori di giustizia per ricostruire il “mondo” del latitante

Pubblicato il: 14/01/2019 – 19:20
«Matacena a Polsi con l'élite della 'ndrangheta»

REGGIO CALABRIA Chi ha aiutato Amedeo Matacena a sottrarsi alla cattura non ha agevolato la fuga di uno dei tanti politici in combutta con le mafie. L’ex parlamentare di Forza Italia era uomo della «cupola» della ‘ndrangheta, in grado di accedere a summit di mafia di massimo livello e espressione di ambienti massonici riservati, in cui sono maturati i rapporti che ne hanno consentito la fuga. Sono questi gli elementi che hanno indotto il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo a modificare uno dei capi di imputazione contestati all’ex moglie di Matacena, Chiara Rizzo, e all’ex ministro dell’Interno e attuale sindaco di Imperia, Claudio Scajola, entrambi accusati di aver aiutato l’ex politico a dribblare la condanna definitiva per concorso esterno, formulando una nuova aggravante. Tutelando l’operatività di Matacena – ha affermato oggi in aula Lombardo – Rizzo e Scajola non hanno fatto che salvaguardare le «potenzialità operative del sodalizio mafioso in campo nazionale e internazionale» di cui Matacena è espressione e di questo devono rispondere.
NUOVI TESTIMONI Così il procuratore ha spiegato al giudice, chiedendo l’audizione di quattro nuovi testimoni che possano spiegare in dettaglio il ruolo, i compiti e il peso che l’ex parlamentare di Forza Italia oggi latitante ha avuto. Si tratta dei collaboratori Cosimo Virgiglio, Pasquale Nucera e Giuseppe Lombardo “Cavallino”, nonché del sostituto commissario Giuseppe Gandolfo della Dia, che fin dal principio ha lavorato sulla pista che ha portato a Matacena.
I PENTITI Nessuno dei pentiti ha iniziato a collaborare con la giustizia da poco. Tutti quanti già da tempo hanno reso importanti dichiarazioni, che hanno contribuito alla condanna di capi e gregari dei clan più importanti di Reggio Calabria e provincia. Ma è dal combinato disposto delle loro conoscenze che emerge il ruolo che Matacena ha avuto a partire dall’inizio degli anni Novanta, quando – ha dichiarato già nel lontano ’96 il pentito Nucera – l’ex parlamentare azzurro ha partecipato ad un riservatissimo summit di ‘ndrangheta. Era il 28 settembre del 1991, a Polsi – ha spiegato in passato il pentito erano presenti gli esponenti dell’élite della ‘ndrangheta reggina, ma anche rappresentanti delle famiglie calabresi impiantate in Canada, Australia e Francia, Rocco Zito per Cosa nostra americana, i camorristi napoletani, ma anche un “colletto bianco delle mafie”, Giovanni Di Stefano.
L’AVVOCATO DEL DIAVOLO Personaggio misterioso, conosciuto anche come “l’avvocato del diavolo” per aver assunto (senza avere uno straccio di titolo) la difesa di diversi criminali di guerra, Di Stefano era un uomo di potere. Legato ai traffici di scorie e di armi nei Balcani, perno delle forniture militari ai paesi sottoposti a embargo, legato a finanzieri serbi e a soggetti vicini all’ex Presidente serbo Milosevic, nonché amico del criminale di guerra Zeljiko Razjatovic, meglio conosciuto come Comandante Arkan, Di Stefano è organico a quel grumo di potere che negli anni Novanta ha costruito una nuova strategia della tensione per insediare un governo amico. È stato lui a comunicare ai massimi vertici delle mafie lì riuniti «che bisognava appoggiare il nuovo “partito degli uomini” che doveva sostituire la D.C. in quanto questo ultimo partito non garantiva gli appoggi e le protezioni del passato». E Matacena «il pelato» – così lo ha definito nei suoi vecchi verbali – a suo dire era presente.
«CI INTERESSA O NO?» Un dato imprescindibile per inquadrare l’intera vicenda a detta del procuratore aggiunto Lombardo, che oggi in aula ha tuonato «Questo dato iniziale rileva in questo processo oppure no, visto che siamo chiamati a capire per quale ragione, nel momento in cui la sentenza contro Matacena passa in giudicato, alcune persone si muovono per agevolarne la latitanza?». D’altra parte – ha sottolineato – Nucera non è l’unico ad indicare Matacena come elemento di vertice. Per il pentito Giuseppe Lombardo “cavallino” Matacena è «un appartenente alla cupola della ‘ndrangheta. E il pentito ci dice che anche la ‘ndrangheta non è orizzontale ma verticistica, al cui livello più alto è posta una cupola con dentro Matacena per il suo ruolo di politico. Questo lo apprende da Pasquale Condello “il Supremo” e noi non possiamo far finta che questi temi non esistano».
IL MONDO DI MATACENA Ma se le dichiarazioni dei pentiti Nucera e Lombardo servono per inquadrare Matacena, quelle del collaboratore Virgiglio svelano i confini del mondo che lo ha protetto. «Virgiglio indica elementi utili in questa sede perché riferibili ai fratelli Pizza ed agli ambienti massonici da lui frequentati e dice: “Guardate che all’interno di quel mondo ho visto anche l’onorevole Scajola”. È vero? Non lo deve dire Virgiglio, ma deve essere verificato da un approfondimento istruttorio che ancora non c’è stato. È indispensabile capire il motivo per il quale uno come Scajola si sia mosso con quella decisione, così come le intercettazioni hanno dimostrato, a favore di Amedeo Matacena». E proprio Virgiglio potrebbe spiegare «qual è l’interesse a proteggere un latitante come Matacena». Tutte dichiarazioni che la Dia ha lavorato per riscontrare e su cui – ha chiesto Lombardo – il sostituto commissario Giuseppe Gandolfo può riferire.
INSURREZIONE DELLE DIFESE Richieste respinte con veemenza dalle difese che hanno tentato di bollare come «vaghe e indeterminate» le nuove contestazioni, dall’altra hanno sostenuto che si tratti «fatto nuovo» probabilmente basato su vicende che dovrebbero essere «doverosamente oggetto di diversa inchiesta da parte della Procura della Repubblica di Reggio Calabria e che sarebbe dovuto transitare attraverso un’udienza preliminare». Accuse respinte al mittente da Lombardo, che ha spiegato come « la modifica del pubblico ministero non evidenzia una diversità del fatto. E prova ne sia che non è stato contestato tutto il capo C (la procurata inosservanza di pena, ndr), ma ha precisato che la stessa era limitata solo ad una circostanza aggravante».
RICHIESTA DI ABBREVIATO CONDIZIONATO PER RIZZO Di certo, le nuove accuse sembrano preoccupare quanto meno la difesa di Rizzo, che tramite il suo avvocato Bonaventura Candido ha chiesto che la propria assistita acceda all’abbreviato condizionato all’acquisizione di tutti gli atti di cui già il Tribunale dispone e quella dell’acquisizione di ulteriori tre documenti. Richiesta non ammissibile per il procuratore e che potrebbe addirittura finire all’attenzione della Corte Costituzionale «che non si è ancora misurata sullo specifico argomento che riguarda la contestazione della circostanza aggravante che proviene dall’attività istruttoria in corso di svolgimento. Ed allora, in questo momento, il rito abbreviato non può essere ammesso». Tutte questioni che entro il 28 gennaio prossimo il collegio sarà chiamato ad affrontare.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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