Si legge in: 7 minuti
Cambia colore:
Scioglimento annullato anche a Marina di Gioiosa, confermato a Cassano
Il Tar del Lazio accoglie il ricorso dell’ex sindaco Vestito. Che da domani tornerà alla guida dell’ente già azzerato per infiltrazioni della ‘ndrangheta. I giudici: «Fatti travisati, condizionamento…
Pubblicato il: 22/02/2019 – 12:35
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo

ROMA Il Tar del Lazio dà ragione a Domenico Vestito: annullato lo scioglimento del Comune di Marina di Gioiosa, in provincia di Reggio Calabria. Il Tribunale amministrativo ha accolto il ricorso dell’ex sindaco che, già a partire dai prossimi giorni, potrebbe tornare a svolgere le funzioni di primo cittadino fino alle prossime amministrative, in programma per il mese di maggio. È il secondo annullamento nel giro di poche ore. Stamattina il Tar ha accolto anche il ricorso dell’ex sindaco di Lamezia Paolo Mascaro e dei suoi assessori.
LE MOTIVAZIONI DEL TAR Il consiglio comunale di Marina di Gioiosa era stato sciolto, tramite decreto del presidente della Repubblica, il 24 novembre 2017. La sentenza del Tar (presidente Ivo Correale, estensore Lucia Maria Brancatelli) ha però ribaltato il giudizio del ministero dell’Interno, che aveva rilevato «la presenza di legami di parentela e di affinità ovvero di frequentazione tra sottoscrittori delle due liste di candidati presentatesi alle consultazioni elettorali». Secondo il Tar, tuttavia, «tale evenienza non viene correlata, neppure in termini ipotetici, alla possibilità di tali soggetti controindicati di condizionare l’operato degli amministratori locali. Anzi, sul punto, la relazione prefettizia, richiamando i risultati della commissione di accesso, osserva come “dalla disamina delle informazioni acquisite dalle forze di polizia sugli amministratori locali attuali nulla è risultato”».
Il Viminale, in particolare, aveva riscontrato negativamente la figura di un assessore, per via della sua presunta incompatibilità con la sua attività professionale e della partecipazione a una partita di calcetto in memoria di un soggetto ritenuto “vicino” a una delle cosche della zona. Circostanze che, per i giudici, «non appaiono rilevanti, riguardando contestazioni relative allo svolgimento legittimo dell’attività professionale dell’amministratore e una situazione di carattere episodico (la partecipazione a un “memorial” in ricordo di un soggetto il cui padre era esponente della criminalità mafiosa), priva di significatività ai fini della possibile esistenza, anche solo in termini sintomatici, di contatti fra il predetto ex amministratore e consorterie di stampo mafioso, in assenza di ulteriori elementi».
«Quanto alla parentela tra uno dei consiglieri eletti e un soggetto legato a una cosca locale – scrive il Tar –, negli atti a supporto del provvedimento di scioglimento non si dà conto di alcun elemento indiziario a suo carico, ma anzi si sottolinea come lo stesso si sia dimesso nel 2015; parte ricorrente, inoltre, ha allegato agli atti del giudizio documentazione comprovante come questo soggetto, tra l’altro dimessosi nel 2015, non abbia mai esercitato funzioni esecutive e abbia svolto un’attività del tutto marginale nell’ambito dei lavori consiliari».
Gli altri rilievi sullo svolgimento della fase elettorale ricordati nella proposta di scioglimento «non presentano carattere sintomatico, né sono stati considerati rilevanti nella relazione prefettizia». Nessun addebito nemmeno in relazione ai legami di parentela dei componenti della burocrazia comunale, visto che «tale evenienza non è corroborata da evidenze significative in ordine a possibili condizionamenti della loro attività nella gestione amministrativa dell’ente».
GLI APPALTI Singolare, poi, la vicenda relativa a un appalto sospetto del 2016, definita «emblematica» dal ministero. Si tratta della gara per i lavori di consolidamento del lungomare. Il Comune, secondo il Viminale, avrebbe omesso di acquisire le informazioni antimafia nei confronti delle ditte subappaltatrici. Tra esse, sarebbero state presenti anche ditte “controindicate”. Tuttavia, secondo il Tar, «non si riscontrano comportamenti omissivi negligenti ascrivibili agli uffici comunali, che non potevano intervenire in altro modo prima della conoscenza del provvedimento interdittivo».
Il paradosso è che nella stessa relazione degli ispettori era presente, sottolineano i giudici, un «giudizio sostanzialmente positivo sulla gestione degli appalti pubblici da parte dell’ente comunale». «Analoghi travisamenti in fatto» vengono riscontrati, inoltre, in relazione alle concessioni per la gestione di stabilimenti balneari. A Vestito e agli altri amministratori venivano contestati due casi di ritardata notifica di provvedimenti di revoca delle concessioni, a seguito dell’emanazione di altrettante interdittive antimafia. «Dalla documentazione complessivamente presentata in giudizio, tuttavia – è scritto nella sentenza –, emerge un quadro fattuale caratterizzato dalla presenza di un notevole ritardo nel riscontro delle richieste di informazioni antimafia da parte della prefettura reggina; di contro, il Comune risulta essersi attivato celermente, appena avuto notizia delle interdittive».
IL BENE CONFISCATO Il ministero aveva rilevato altre criticità in merito alla gestione di un bene confiscato, che, dopo la consegna al Comune, sarebbe stato ancora in possesso dell’ex proprietario. Secondo il Tar, invece, la circostanza, riportata nella proposta ministeriale «omette di tenere in considerazione che il fondo in questione, come si evince dalla lettura degli atti prefettizi, non poteva essere recintato né intercluso totalmente, servendo da passaggio obbligato per l’accesso ad un altro terreno comunale. Emerge, poi, dalla lettura degli atti della commissione di indagine che il sindaco aveva posto in essere le attività necessarie per destinare alla locale stazione dell’Arma dei carabinieri uno dei due immobili confiscati al proprietario del fondo, non ottenendo tuttavia un riscontro alla sua richiesta».
Il ministero aveva anche stigmatizzato le politiche per l’occupazione del suolo pubblico, di cui avrebbero beneficiato anche esponenti della malavita. «Dalla lettura degli atti della commissione di indagine, emerge tuttavia – è il passaggio della sentenza – che in questo settore era presente in realtà, da numerosi anni, una totale inerzia riconducibile alle amministrazioni comunali precedenti, non colmata neppure nel periodo in cui l’ente era stato sottoposto ad altro commissariamento. Nel gravame, parte ricorrente ha avuto modo di dimostrare come, a fronte di precedente situazione di sostanziale paralisi, la nuova amministrazione non era restata inerte ma aveva introdotto numerose iniziative di risanamento del settore». In sostanza, per i giudici, la situazione censurata dal ministero sarebbe ascrivibile alle precedenti amministrazioni, «sicché non appare corretto ricavare da questo elemento un indice attuale sintomatico della “debolezza” e della capacità di condizionamento degli amministratori locali odierni ricorrenti».
Per il Tar, tra l’altro, «non può essere trascurato» che la stessa commissione di indagine «ha avuto modo di esprimere un sostanziale apprezzamento per l’operato degli amministratori locali, giungendo ad affermare che “l’attività di competenza della giunta e del consiglio comunale, letta attraverso le rispettive delibere acquisite, è apparsa invero, dinamica e propulsiva”».
Quasi scontata, dunque, la conclusione del tribunale, che, dopo aver tenuto conto «dei ravvisati vizi di travisamento dei fatti e di illogicità nella valutazione dei presupposti», non ha ritenuto possibile ricavare la sussistenza di elementi «concreti, univoci e rilevanti» idonei a configurare «la compromissione del buon andamento o dell’imparzialità dell’amministrazioni comunale e la presenza del condizionamento da parte della malavita organizzata».
RIGETTATO RICORSO PER CASSANO Esito diverso per il ricorso relativo allo scioglimento del Comune di Cassano allo Jonio. L’ex sindaco Giovanni Papasso, assieme agli altri ex amministratori, hanno presentato appello al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar del Lazio, che ha rigettato il ricorso contro lo scioglimento del Consiglio.
«Sin da subito – si legge in una nota firmata da Papasso –, abbiamo ritenuto che le tesi sostenute dal Tar nel suo pronunciamento sono effimere, sbrigative ed erranti sul piano giuridico. La sentenza del Tar, se analizzata attentamente e correttamente, testimonia che l’organo decisionale non è entrato, nella maniera più assoluta, nel merito del ricorso, con il quale si evidenziava, in maniera puntigliosa, la verità in merito a tutti i punti e le questioni sollevati dalla commissione di accesso e che, conseguenzialmente, hanno determinato la dissoluzione del consiglio comunale. Il Tar del Lazio non ha, altresì, nemmeno esaminato tutta la massiccia documentazione che i ricorrenti avevano presentato e che testimoniava, palesemente, tutto il certosino lavoro fatto dall’amministrazione uscente per l’affermazione della legalità e per impedire qualsiasi forma di ingerenza della criminalità nell’attività dell’ente».
p. bel.
Argomenti
Categorie collegate
Ultime dal Corriere della Calabria
Edizioni provinciali