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Le verità (ancora nascoste) del pentito che lavorava per i Servizi

Serpa parla nel processo ‘Ndrangheta stragista. «Potrei dire altro, ma ho paura. Esistono “sommersi” con un potere maggiore di Paolo De Stefano»

Pubblicato il: 27/06/2019 – 12:00
Le verità (ancora nascoste) del pentito che lavorava per i Servizi

di Alessia Candito
REGGIO CALABRIA Sa. Tanto, forse troppo perché si possa rivelare in un’aula di tribunale, per poi tornare alla propria vita. Ma ad anni di distanza dall’interruzione della sua collaborazione, Carmelo Stefano Serpa sembra aprire uno spiraglio ad una nuova stagione di rivelazioni. «Devo essere certo di non correre rischi e pericoli. Se mi si dovesse assicurare questo – dice in aula al processo “’Ndrangheta stragista” – io sono disponibile a scoperchiare tutte le botti che ancora tengo chiuse».
TESSERE MANCANTI E in quelle botti potrebbero esserci informazioni fondamentali non solo per l’esito di diversi processi già arrivati di fronte a un giudice o inchieste in corso, ma per ricostruire pezzi di storia negata della Repubblica. In parte, già lo ha fatto. Le prime informazioni ai magistrati le ha date nel 1979, quando a Bologna, Reggio Emilia e Brescia ha parlato dell’omicidio di Alceste Campanile e della strage di Piazza della Loggia. «Ma non si trattava di una collaborazione vera e propria. Ho solo fornito delle informazioni di cui ero a conoscenza». C’è voluto l’incontro con una donna, la sua attuale moglie, per convincerlo a cambiare vita e a parlare con i magistrati. «Era il ’96 e il mio rapporto era con il dottore Boemi».
RAPPORTO PARTICOLARE Nato e cresciuto ad Archi, la culla della ‘ndrangheta che conta, con i De Stefano che l’hanno sempre comandata, Serpa, sebbene mai formalmente affiliato, ha avuto sempre un legame ombelicale. «Ero nel posto sbagliato al momento sbagliato» e «a 8 anni» ha iniziato la sua “educazione criminale”. «Non avevo la mentalità del mafioso o del delinquente – si difende – ma è andata com’è andata e a 13 anni mi sono ritrovato in un centro di rieducazione, dove ho conosciuto tanta gente e mi sono dovuto difendere da tante cose». Uscito da lì, Serpa era un uomo a disposizione dei De Stefano e di tutti gli arcoti.
RECLUTAMENTO VOLONTARIO «Soprattutto con Giorgio De Stefano, con cui avevo a parlare quasi tutte le sere. Lui voleva arrivare a mio zio, voleva sapere qualcosa che lui si rifiutava di dirgli. Io – spiega – alla fine mi sono rivolto a De Stefano per chiedergli cosa volesse e mi sono attivato per farglielo sapere». E di cose, Stefano Malara, ne sapeva. «Era nei servizi e lo ero anche io».
ALLA CORTE DEGLI SPIONI Ma il rapporto fra barbe finte e ‘ndrangheta di cui è stato protagonista e testimone non era quello fra controllore e controllato. Al massimo, fra soci che si fidano poco l’uno dell’altro. «Io sono la prova vivente che i rapporti fra ‘ndrangheta e servizi ci sono stati e probabilmente ci sono ancora. Nel tempo – afferma Serpa – le cose sono cambiate, i servizi hanno cooptato persone molto più acculturate, formate e sveglie».
NOMI PERICOLOSI Chi siano non lo sa o forse non lo dice. Quando lui era della partita il suo contatto non era l’ufficio centrale, ma singoli agenti, difficili da identificare e agganciare. «Non avevo nessun ruolo specifico. Mi chiedevano di andare di qua e di là, di ascoltare, controllare e riferire». Ma anche lui, in questo modo ha avuto accesso ad informazioni importanti. «So perché me lo hanno detto loro che c’erano altre persone con cui stavano parlando e con cui erano in rapporti», afferma. Tuttavia, i nomi ha paura di farli.
LA BOTTE DEGLI 007 «Sono nomi di appartenenti alla ‘ndrangheta, alla politica, alle forze dell’ordine». E in varia misura, lo preoccupano tutti. «Quelli della ‘ndrangheta, non più di tanto. I politici, mi preoccupa quello che potrebbero fare, mi preoccupano tantissimo quelli dei servizi». Potrebbe rivelarli, tornare a collaborare la giustizia, riprendere il filo delle rivelazioni, interrotto quando è andato via per paura, sbattendo la porta, senza che nessuno si affannasse più di tanto a cercarlo. «Ma solo su presupposti precisi e con garanzie precise».
LA ‘NDRANGHETA SOMMERSA Del resto, ci sono minacce e poteri – sostiene – che i magistrati nemmeno immaginano. «Probabilmente – dice al procuratore aggiunto – lei e quelli che fanno il suo lavoro in Calabria non conoscete ancora la ‘ndrangheta sommersa. Ci sono soggetti che hanno un potere anche maggiore di quello di Paolo De Stefano e nella loro vita non hanno mai preso neanche una multa». In realtà, proprio Lombardo da tempo, fin dall’inchiesta “Bellu Lavuru” che ne ha svelato le prime tracce, Lombardo segue la pista della ‘ndrangheta che non appare, ma governa. E forse proprio per questo Serpa potrebbe sceglierlo come interlocutore affidabile.
I RAPPORTI CON IL MINISTERO Di certo, Serpa già ha dato prova di avere cose da dire. Non solo sui rapporti fra la ‘ndrangheta e i servizi, ma anche con altri ambienti istituzionali. «I Piromalli – racconta – erano quelli più addentrati nel ministero di Grazia e Giustizia, poi probabilmente hanno girato le loro conoscenze ad altri» e «negli anni Novanta i Molè, i Gioffrè, i Facchineri avevano tanti in quell’ambiente. Non intendo – chiarisce – semplicemente i vertici del dipartimento in sè, ma anche chi gravitava attorno, come direttori di penitenziario, o funzionari che all’interno del ministero avevano funzioni non di primo livello, mansioni stupide ma si potevano permettere tante cose».
«LI HO FATTI ARRESTARE IO» Un dato già emerso nel corso di “’Ndrangheta stragista” come di altri procedimenti, ma mai con tale chiarezza. Del resto, Serpa ne è stato testimone diretto. «Io sono stato detenuto nelle carceri di Reggio Calabria. Lei si ricorderà, dottore – dice, rivolgendosi a Lombardo – sono stati arrestati direttore, comandanti e agenti di custodia e anche il dottor Giacomo Foti che era magistrato di sorveglianza. Quell’inchiesta sono stato io a farla aprire».
TRASFERIMENTI A RICHIESTA GRAZIE AI PIROMALLI Questo però è stato dopo. Prima, Carmelo Stefano Serpa è stato uno di quelli che ha beneficiato dei rapporti fra clan e ambienti istituzionali «Semplicemente dicendo ai Piromalli di avere bisogno di un trasferimento, l’ho ottenuto. E questo è successo per due o tre volte». In un’altra occasione invece, «per ottenere la semilibertà avevo bisogno di un lavoro e sono stati i De Stefano a procurarmelo. Ho lavorato per nove mesi nello studio dell’avvocato Aldo Abenavoli».
L’INFERMIERE SERPA Bastava – dice – far arrivare la richiesta tramite qualche detenuto “di famiglia”. E da impiegato nell’infermeria del carcere, di persone Serpa ne vedeva tante. E di favori ne faceva tanti. «Ero capace, quindi io mi sono occupato di sistemare le cartelle cliniche di diverse persone perché venissero scarcerati. Per questo ho avuto modo di conoscere molti detenuti di livello. Anche Luciano Leggio».
GLI INCONTRI DI LEGGIO Ormai a tutti noto come Liggio, lo storico boss che ha imposto il potere dei corleonesi a Palermo e costruito le fortune della mafia siciliana a Milano, nell’83 era detenuto nel carcere di Reggio Calabria. Ed anche lui è passato per l’infermeria. «È stato 7-8 giorni. Lì ha avuto una serie di incontri. Ha incontrato tutti in infermeria. Paolo De Stefano, Imerti, tutti». E non è l’unica cosa che Serpa potrebbe raccontare. Ma a precisa domanda del presidente torna a dire: «Nessun problema a farlo, ma solo quando ci saranno le necessarie garanzie». (a.candito@corrierecal.it)

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