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Il Plan Condor e i desaparecidos italiani, "firma" calabrese su una sentenza storica
Il magistrato calabrese Francesco Mollace ha sostenuto l’accusa nel processo d’appello a Roma. Ventiquattro ergastoli hanno ribaltato la pronuncia di primo grado sulla «più grande repressione
Pubblicato il: 09/07/2019 – 15:27
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di Alessia Candito
Ventiquattro ergastoli, 19 assoluzioni ribaltate e trasformate in un “fine pena mai”, ma soprattutto giustizia per i 43 familiari di vittime della repressione, che spesso non hanno avuto neanche un corpo da piangere. È una sentenza che ricostruisce una pagina di storia negata all’America Latina quella emessa ieri dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma contro i responsabili del “Plan Condor” in America Latina, ribaltando buona parte delle assoluzioni del primo grado.
GLI ERGASTOLI Accogliendo le richieste del procuratore capo Francesco Mollace e della sostituto pg Tiziana Cugini all’ergastolo sono stati condannati Juan Carlos Blanco, José Gavazzo Pereira, José Ricardo Arab Fernández, Jorge Alberto Silveira Quesada, Ernesto Avelino Ramas Pereira, Gilberto Valentín Vázquez Bisio, Ricardo José Medina Blanco, Luis Alfredo Maurente Mata, José Felipe Sande Lima, Ernesto Soca, Pedro Antonio Mato Narbondo, Jorge Tróccoli Fernández y Juan Carlos Larcebeau Aguirregaray. Molti di loro sono già in carcere per gli stessi crimini nei rispettivi Paesi, ma uno di loro no. Alla giustizia è sempre riuscito a sfuggire.
ERGASTOLO ANCHE PER TROCCOLI Si tratta di Nestor Troccoli, italouruguayano negli anni Settanta ufficiale ai vertici dell’S2, il servizio di intelligence della Marina militare uruguaiana che torturava i sequestrati del Fusna, uno dei peggiori centri di detenzione all’epoca in funzione in America Latina. I pochi sopravvissuti lo hanno identificato come uno dei capi della repressione tanto in Uruguay come in Argentina, dove era fra i più stretti collaboratori di Alfredo Astiz, il militare conosciuto come “l’Angelo biondo” o” l’Angelo della Morte”, resosi responsabile e condannato in Argentina per tutti gli omicidi e le torture avvenute nel centro di detenzione Esma, e in Italia per la “desapariciòn” di tre italoargentini, fra cui la calabrese Angela Maria Aieta, originaria di Fuscaldo.
FINE DELL’IMPUNITÀ A differenza di Astiz, fino ad oggi Troccoli è sempre sfuggito alle inchieste della magistratura uruguayana per i crimini commessi durante la dittatura. In Uruguay non esiste il processo in contumacia e per sfuggire alle accuse, gli bastato trasferirsi in Italia quando per lui è stato chiesto il giudizio. Poi è arrivata l’inchiesta della procura di Roma, aperta grazie alle denunce dei familiari di origine italiana delle vittime della repressione. E anche per Troccoli è arrivato l’ergastolo per gli omicidi, le sistematiche torture, i sequestri e gli stupri sistematici su cui si basava il plan Condor.
IL PLAN CONDOR E LE VITTIME ITALIANE Un piano di repressione sistematica del dissenso e dell’opposizione, che non ha conosciuto né limiti geografici, né di governi, ma per tutto il Cono Sud ha portato alla morte, alla tortura, alla desaparicion di migliaia di persone. Un programma di annichilimento e sterminio che ha riguardato anche l’Italia e la Calabria. Tra le vittime, quelle di origine italiana erano migliaia. Per le pochissime di cui è stato possibile identificare con precisione i responsabili è arrivato il processo e per molti la condanna. Ad invocarla erano stati il sostituto procuratore generale Tiziana Cugini e il procuratore generale Francesco Mollace, approdato a Roma dopo una lunga carriera a Reggio Calabria.
«RESTITUITE GIUSTIZIA A QUEI POPOLI» «Voi – aveva chiesto Mollace nel corso della sua requisitoria – dovete porre rimedio e colmare questo gap che c’è tra la storia reale, che è descritta dentro al processo e quella che è derivata da una sentenza, che certamente ha parte di merito, ha grande merito, ha tracciato una linea, ma non ha fatto giustizia, né per le vittime, né soprattutto ha fatto giustizia per l’ansia di libertà che invade quei popoli che pensavano di affacciarsi alla democrazia e sono stati, in ragione di questo progetto, annichiliti, ciò dire distrutti». In quegli anni, ha spiegato il magistrato «la più grande repressione dei marxisti avvenne nell’America Latina e avvenne non per diktat di un gruppo limitato di persone che comunque viene perseguito ancora oggi come in Italia in altri posti del mondo, venne perseguito in ragione di un progetto complessivo che ha visto un’intera area del pianeta coinvolta, il Cono del Sud. Quelle libertà e quella democrazia, che non era solo dei Socialisti e dei Marxisti e dei Comunisti, era dei Sindacalisti, di giovani, di studenti, di donne che per la prima volta anche in quelle aree rivendicavano diritti. Poi la libertà venne annientata e venne annientata in ragione di un progetto che era nato come tale». Un diktat internazionale costato la vita a migliaia di persone e una vita sotto dittatura ad intere generazioni costrette a vivere nel terrore e a piangere morti. Per alcuni di loro, ieri è arrivata una seppur tardiva risposta si giustizia. (a.candito@corrierecal.it)
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