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«C’è tanto ancora da fare per il Sud»
di Franco Scrima*
Pubblicato il: 29/07/2019 – 10:50
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Durante uno dei soliti riti estivi con gli amici per degustare uno “shakerato al caffè” (prelibatezza di un bar di Montepaone Lido, sulla costa jonica catanzarese) chiacchierando di politica, mi è stato chiesto quale notizia mi avesse colpito positivamente quel giorno. La risposta è stata d’un fiato: l’intervista che Dario Franceschini ha rilasciato a Maria Teresa Meli del Corriere della Sera con la quale ha auspicato un potenziale asse Pd-Cinquestelle.
Cito a memoria: Franceschini ha affermato che esiste qualcosa di più importante dell’interesse di un singolo partito. E spiegava che nella prima Repubblica c’era l’arco costituzionale che raggruppava forze diverse tra loro, di maggioranza e di opposizione. C’era la Democrazia cristiana e c’era il Partito comunista che insieme avevano dato vita al cosiddetto “Arco costituzionale”. Unite, le due forze di governo avevano isolato il Movimento sociale italiano e l’estrema destra.
Quella citazione Franceschini l’ha fatta auspicando che si potesse lavorare oggi per costruire un arco di forze progressiste pronte a difendere i valori umani e costituzionali «che Salvini calpesta e violenta tutti i giorni».
La menzione ha suscitato l’interesse dei miei amici e, come sempre, ha dato vita ad una discussione i cui contenuti hanno evidenziato la necessità di una intesa del tipo ricordato da Franceschini che, superati gli ostacoli, come bene sa fare la politica, desse al Paese una coalizione che lasciasse fuori dall’agone di governo la Lega. Quella Lega del “Senatur” che nacque per assicurare l’autonomia della “Padania” e che è riuscita a trasformarsi, superando i riti dell’acqua nelle adunate di Pontida, fino a diventare un partito nazionale. Ma che di nazionale dimostra di avere ben poco per come è deducibile dai fatti connessi alla richiesta di “autonomia differenziata” per la Lombardia e il Veneto, le due regioni roccaforti leghiste.
Nulla è dovuto, invece, per il resto del Paese, specie per la porzione geografica che si trova al di sotto della famigerata nuova “linea Maginot”, in quelle aree, per intenderci, nelle quali a parere dei leghisti risiedono «delinquenti e morti di fame», dove abitano i “terroni” che fino a qualche anno fa puzzavano perché non avevano il sapone per lavarsi, che dovevano essere lasciati fuori dall’Europa e dall’Euro perché territori che Garibaldi aveva sottratto maldestramente all’Africa.
È pur vero che quei territori hanno dimenticato in fretta l’ostilità e le maldicenze così da riservare alla Lega suffragi importanti. È sufficiente ricordare il bottino di oltre 65mila preferenze accumulato da Massimo Casanova che Salvini ha voluto come suo “proconsole” candidandolo alle Europee nelle sei regioni meridionali.
Forse sarebbe il caso che il Mezzogiorno si riprendesse per intero l’orgoglio, se non anche l’alterigia propria dei meridionali e dicesse al Governo di Roma che prima di concedere autonomie di qualunque tipo, prima di parlare di TAV, di Scuola “differenziata” e di quant’altro possa passare per la testa dei leghisti, dovrebbero essere assicurate pari condizioni di benessere per le regioni del Sud. Avviene così la trasformazione dell’Italia in un unico paese, garantendo quell’unità sostanziale per come è prevista dalla Costituzione.
Il Sud pretende condizioni reali di sviluppo che possono eludere ulteriori squilibri territoriali; che accorcino le distanze esistenti tra il Nord e il Sud. Ma così non è. Solo qualche giorno fa il presidente del Consiglio Conte ha dato il suo placet al completamento del Tav.
Si dice che sia stato un modo per bilanciare l’eventuale no sull’autonomia differenziata. Comunque sia, si tratta di investire capitali consistenti ancora una volta al Nord.
Suscita ilarità l’idea del presidente del Veneto secondo cui l’autonomia differenziata può essere chiesta da tutte le regioni. Che cosa ha inteso dire? Che anche le regioni del Mezzogiorno possono aspirare a tanto? E per fare cosa? Per spezzettare la povertà e ripartirla tra la sua gente? Al Sud manca tutto perché la maggior parte delle risorse è sempre stata ripartita tra le regioni del Nord. Da queste parti sono rimaste solo le scorie per come è dimostrato dalle condizioni in cui versa la rete ferroviaria; quella stradale; per la mancanza di industrie; di porti; di infrastrutture.
Le condizioni della Sanità sono da terzo mondo; manca il lavoro e quel poco disponibile è sottopagato. Di quale autonomia, di grazia, si potrebbe parlare? Regioni come la Sicilia, la Calabria, la Basilicata, la Puglia, la Campania rappresentano un granellino di sabbia rispetto al deserto del nord. Se le grandi opere, dalla “ricostruzione” post bellica in avanti, hanno riguardato prevalentemente il Nord, come avrebbero potuto progredire le popolazioni del Mezzogiorno?
Cosa può mai interessare a Zaia ed a Fontana del Sud? Per loro l’unico, reale, motivo di lotta è garantire il benessere della propria gente, considerato peraltro che i presidenti delle regioni del Mezzogiorno dimostrano di sentirsi soddisfatti di gestire l’effimero considerato nella sua caducità e illusorietà.
Per loro il resto sembra essere transitorio, si esaurisce quando si chiude la campagna elettorale. Il dopo, come la maggior parte delle cose umane, si dimentica!
Diverso sarebbe se il Governo decidesse di insediare un organo terzo, sul tipo di quello che disciplina l’informazione: un’autorità garante anche per le infrastrutture da cui dipende il benessere sociale; che intervenga tutte le volte che si appalesi il sospetto che si sta per eludere il principio dell’eguaglianza. Sarebbe un passo importante lungo il percorso che pure dovrà essere affrontato per eliminare gli effetti discriminatori di cui soffrono le regioni del Mezzogiorno che, nell’immaginario collettivo, continuano a rappresentare l’altra Italia.
*giornalista
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