di Antonio Cantisani
CATANZARO La legge non migliora il decreto, tutt’altro, anzi, semmai, rafforza la lesione delle prerogative della Regione e la violazione del principio di leale collaborazione tra istituzioni. Sono queste le motivazioni per le quali il presidente Oliverio e la Giunta hanno deciso, lo scorso 22 luglio, di impugnare alla Corte Costituzionale la legge 60/2019 che ha convertito il “Decreto Calabria”, dopo aver già proposto ricorso contro il provvedimento approvato a fine aprile su input (anzi, su “pressione”…) della ministro Giulia Grillo. «Molte delle modifiche apportate in sede di conversione – si legge infatti nella delibera dell’esecutivo calabrese – non modificano sostanzialmente le norme del decreto, con conseguente trasferimento delle questioni già poste sulle norme oggetti di conversione, ma la Regione, in via prudenziale, intende impugnare anche le norme oggetto di conversione». In particolare, la Giunta regionale sostiene che «gli articoli 1,2,3,4,5,6,8,9,14 e 15» della legge 60, «dando come presupposta l’esistenza di un Piano di rientro, violano gli articoli 5, 117, 120 e 121 della Costituzione, in quanto il Piano di rientro della Regione Calabria, prorogato da ultimo con Dca 119/16, è scaduto il 31 dicembre 2018» e «quindi l’intervento statale, assunto in materia di legislazione concorrente, è privo di presupposto legittimante» e violano anche alcune norme contenute in leggi nazionali «e il principio di leale collaborazione».
Nel mirino della Regione anche l’articolo 6 della legge di conversione “Decreto Calabria”, relativo agli acquisti di beni e servizi, demandati a organi non regionali, e relativo all’edilizia sanitaria: secondo il ricorrente, questa norma «sostanzialmente abroga l’articolo 1 comma 1 della legge regionale 26/07 (che istituisce la Stazione unica appaltante regionale), emanata dalla Regione in esercizio della propria competenza legislativa concorrente, e il principio di leale collaborazione nella parte in cui, senza previa intesa in sede di Conferenza Stato Regioni, provvede in materia di gestione delle risorse ex articolo 20 legge 67/88, e destina risorse senza idonea copertura, per non essere stata ancora effettuata la ripartizione delle stesse». A parere della Regione, inoltre, alcuni articoli della legge sulla sanità calabrese violano anche l’articolo 81 della Costituzione sul principio dell’equilibrio tra entrate e spese, «garantendo un copertura incerta al decreto, e violano sempre principio di leale collaborazione» e violano ancora gli articoli 97 e 119 della Costituzione «nella parte in cui sottraggono alla disponibilità della Regione i fondi di cui al decreto legge 135/18 e demandano a un decreto ministeriale da emanare senza termine temporale alcuno l’ammontare della quota vincolata a tal fine». Di conseguenza – evidenzia la Giunta regionale nel ricorso alla Corte costituzionale – il “Decreto Calabria” sulla sanità «anche per come convertito presenta profili di lesività in pregiudizio della sfera di attribuzioni legislative, finanziarie e amministrative della Regione Calabria, intervenendo in maniera significativa su materie di preminente interesse della Regione Calabria oggetto di potestà legislativa concorrente», e le norme contenute nel decreto convertito risultano «afflitte dalla lamentata violazione» di vari articoli della Costituzione e «del principio di leale collaborazione che – conclude l’esecutivo Oliverio – deve ineludibilmente sovraintendere ai rapporti tra organi costituzionali, quindi anche tra lo Stato e la Regione». (redazione@corrierecal.it)
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