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Cinque anni in mano agli aguzzini. «Paga o ti taglio la testa e la faccio a carne macinata»

L’incubo di un commerciante dopo un prestito chiesto a un conoscente di Isola Capo Rizzuto. Dopo la morte dell’uomo si mettono in mezzo parenti che, secondo la Dda di Catanzaro, hanno legami con le c…

Pubblicato il: 06/05/2020 – 17:46
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Cinque anni in mano agli aguzzini. «Paga o ti taglio la testa e la faccio a carne macinata»
di Alessia Truzzolillo ISOLA CAPO RIZZUTO «Provvedi al pagamento altrimenti ti taglio la testa e te la faccio a carne macinata». È solo una delle minacce che un commerciante di Cropani ha ricevuto nel corso degli anni perché schiacciato dal peso dell’usura nella quale lo avevano irretito Luigi Raso, 61 anni, e i figli Vittorio, 36 anni, e Tommaso, 22. Vessazioni che partono dal 2014 e lacerano la vita dell’uomo fino a novembre 2019, quando, esausto decide di rivolgersi ai carabinieri della Stazione di Cropani. Ne scaturisce un’indagine i cui fascicoli finiscono presto sulla scrivania della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, vista la capacità intimidatoria dei Raso, gravitanti tra le cosche di ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto. Mercoledì i Carabinieri della Compagnia di Sellia Marina hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare, con l’accusa di usura ed estorsione, ai domiciliari, per Vittorio e Tommaso Raso, e una in carcere per Luigi Raso (che si trova già detenuto perché coinvolto nel procedimento antimafia “Malapianta” con accuse associazione finalizzata al traffico di droga, aggravata dal metodo mafioso). IL DEBITO Tutto ha inizio con un incidente stradale. L’ex moglie del commerciante di Cropani viene coinvolta in un incidente che negli anni 2010-2011 manda all’aria le finanze della famiglia e l’uomo si trova costretto a chiedere un prestito di 4mila euro a una persona di sua conoscenza di Isola Capo Rizzuto. L’intesa è quella «di una successiva quantificazione degli interessi», riassumono nella richiesta di misure cautelari i pm Domenico Guarascio e Paolo Sirleo. Nei mesi successivi, il commerciante riesce a restituire le 4mila euro senza versare alcuna quota relativa agli interessi, anche perché nel frattempo il creditore era morto. Il commerciante verrà avvicinato, qualche tempo dopo, da Luigi Raso, cugino del defunto, affermando che, secondo le ultime volontà del parente, l’uomo doveva restituire interessi per 20mila euro. La vittima tenta una resistenza ma finisce poi col concedere l’estinzione del debito con versamento di 150 euro al mese, che diventeranno poi 250. «La consegna dei ratei mensili avveniva presso l’esercizio commerciale dei Raso in Isola Capo Rizzuto, gestito dai figli del Raso, Tommaso e Francesco (Vittorio), e, successivamente in distinti posti di Botricello», annotano gli investigatori. MODALITÀ MAFIOSE In una occasione Luigi Raso fa in modo di mostrare al commerciante «una pistola che occultava all’interno del borsello avvisandolo che se non avesse sistemato la propria posizione debitoria lo avrebbe sparato». A luglio 2019 è Vittorio Raso che minaccia la vittima di pagare «altrimenti ti taglio la testa e te la faccio e carne macinata». Le intercettazioni dei carabinieri fanno da architrave alla denuncia del commerciante. A dicembre 2019 Tommaso Raso manifesta il proprio malcontento, visto che la vittima non pagava e non si era presentata a un appuntamento concordato: «Eh, ti sto dicendo che noi abbiamo preso un impegno, tu ogni volta stai facendo come vuoi tu, me lo dici chiaro chiaro come il discorso, è inutile che qua tiriamo la corda… eh, non lo so boh… comunque oi Mimmo, io non lo so che ti devo dire più. Qua la situazione tira tira e la corda si spezza, meglio che te lo dico”. Le minacce proseguono a ritmo serrato nei giorni successivi sia da parte di Tommaso Raso: “Hai tempo fino a domani mattina, poi ti faccio vedere se sono di parola o meno, tu l’ultima tu non ce l’hai domani poi puoi pure morire Mì, te lo dico io… fino a domani ai tempi Mì… hai tempo fino a domani… l’ultimo tempo tuo è domani … poi fatti il conto che il tempo tuo finisce domani e puoi andare dove cazzo vuoi», sia da parte di Vittorio Raso: «È inutile che ci vediamo …. ci dobbiamo dire sempre le stesse cose? …. se tu sei in queste condizioni, io non lo so cosa devo fare, non so a chi mi devo rivolgere non lo so …. a prescindere dal fatto di tutto questo, è possibile che tu non sei riuscito in 10 mesi a raccogliere 100 euro … tu ti sei preso troppa confidenza e sei menefreghista te lo dico io. Io mi sono sempre comportato bene con te e questo è stato l’errore che ho fatto io». La Dda di Catanzaro contempla nei reati l’aggravante della modalità mafiosa visto il gravitare dei Raso tra le cosche isolitane e visti anche i metodi usati e la paura e incapacità della vittima nel reagire per anni alle richieste dei Raso, timoroso per la sua incolumità, conoscendo i legami dei Raso con la famiglia Pullano (tra cui Giuseppe Pullano condannato nell’ambito del processo Jonny). Il gip Antonio Battaglia, però, non ravvisa nelle accuse l’aggravante mafiosa perché “al di là della percezione sensoriale, del tutto personale della persona offesa, non ben si comprende in che modo gli indagati si sarebbero avvalsi della forza intimidatrice al fine di esercitare sulla vittima una particolare coartazione propria delle associazioni mafiose». Allo stesso tempo, il gip dispone il carcere per Luigi Raso, misura imposta «dalla presenza di un curriculum criminale particolarmente allarmante (allo stato, peraltro, risulta detenuto per procedimento in corso), indicativo di una proclività al crimine non arginabile se non con la misura inframuraria». Lo stesso Raso che del decreto di fermo di Malapianta la Dda descrive «quale referente territoriale di una cellula criminale operativa su Isola Capo Rizzuto (Kr), partecipava al sodalizio garantendone l’operatività grazie a periodici approvvigionamenti di narcotico». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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