MILANO Puntavano ad accedere ai fondi per le imprese messi a punto dal Governo per sostenere il sistema imprenditoriale durante l’emergenza Covid. C’era anche il contributo a fondo perduto previsto nel decreto dall’8 aprile tra gli obiettivi della maxi frode fiscale sgominata dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Milano su disposizione della Dda milanese.
I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Milano hanno eseguito, con il supporto dello Scico (Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata), su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Milano, nell’ambito di complesse indagini nel settore della criminalità organizzata, un provvedimento emesso dal gip del Tribunale di Milano, nei confronti di più soggetti a vario titolo coinvolti nella realizzazione di una serie di reati all’interno di un’associazione per delinquere, finalizzata alla frode fiscale, aggravata dalla previsione di cui all’art. 416 bis 1 del codice penale e dalla disponibilità di armi, all’auto-riciclaggio, all’intestazione fittizia di beni e valori ed alla bancarotta fraudolenta.
ARRESTI E SEQUESTRI In particolare, il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Milano ha eseguito misure cautelari personali nei confronti di 8 soggetti, di cui 4 in carcere e 4 agli arresti domiciliari e reali su beni mobili, complessi aziendali e disponibilità liquide e finanziarie fino ad un ammontare complessivo di oltre 7,5 milioni di euro.
I circa 200 militari impiegati hanno effettuato, altresì, in Lombardia, Veneto, Toscana, Umbria, Lazio, Calabria e Sicilia, 34 perquisizioni locali e domiciliari nonché la notifica dell’avviso della conclusione delle indagini nei confronti di 27 indagati, con il supporto dei Reparti del Corpo territorialmente competenti.
I provvedimenti odierni rappresentano l’epilogo di una complessa attività investigativa coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Milano, che ha consentito di disarticolare un sodalizio criminale composto da più soggetti, alcuni dei quali contigui al clan Greco di San Mauro Marchesato, costituente una ‘ndrina distaccata della locale di ‘ndrangheta di Cutro (Crotone), operante anche sul territorio lombardo.
LE SOCIETA’ CARTIERE PER FRODARE L’IVA Le indagini di polizia giudiziaria, avviate per accertare infiltrazioni della ‘ndrangheta nel tessuto economico legale, condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Milano, hanno consentito di disvelare una complessa frode all’Iva nel settore del commercio dell’acciaio, attuata avvalendosi di una fitta rete di società “cartiere” e “filtro”, formalmente rappresentate da soggetti “prestanome”.
In particolare è emersa l’esistenza di diverse imprese, italiane ed estere, apparentemente prive di reciproci legami societari, utilizzate per il compimento di una imponente frode Iva, realizzata mediante l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, costituendo fittiziamente il plafond Iva previsto per i cosiddetti “esportatori abituali”, manipolando artificiosamente le liquidazioni periodiche dell’imposta sul valore aggiunto.
In tale contesto le investigazioni hanno consentito di rilevare l’esistenza di diverse imprese, tutte di fatto gestite, tramite prestanomi, da soggetti che alcuni collaboratori di giustizia (oltre a sentenze definitive) hanno indicato quali affiliati alla ‘ndrangheta e, in particolare, al clan di San Mauro Marchesato che fa capo a Lino Greco, federato al noto locale di Cutro
facente capo a Grande Aracri, ponendo in essere condotte di auto-riciclaggio di proventi illeciti accumulati per oltre mezzo milione di euro, avvalendosi di canali bancari e conti correnti accesi in Bulgaria ed Inghilterra.
DENARO RICICLATO E INVIATO IN CINA All’interno di questo rodato meccanismo fraudolento ed avvalendosi dello stesso, i medesimi soggetti hanno parallelamente riciclato ulteriori risorse di provenienza illecita avvalendosi della collaborazione di un soggetto cinese residente in Toscana, concorrente nel reato, a sua volta interessato a riciclare importanti somme di denaro “in contante” e ad inviarle in Cina.
In particolare hanno provveduto a bonificare circa mezzo milione di euro dai conti correnti di alcune società inserite nello schema di frode e diretti ad istituti di credito siti in Cina, messi a disposizione dallo stesso soggetto cinese, anch’egli attinto da misura restrittiva.
Tale operazione ha consentito, da un lato, agli indagati italiani di drenare denaro dai conti correnti delle società oggetto di investigazione e, dall’altro, al soggetto cinese di trasferire nel proprio Paese d’origine le riserve di denaro contante di cui disponeva illecitamente e che non avrebbe potuto inviare attraverso i canali legali.
Infine la più recente attività investigativa ha consentito di rilevare come il principale indagato, indicato dai collaboratori come inserito nella cosca di ‘ndrangheta, abbia presentato richiesta ed ottenuto, da un lato, per tre delle società inserite nello schema di frode, i contributi a fondo perduto previsti dall’art. 25 del Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34, attestando un volume di affari non veritiero in quanto generato dall’emissione di false fatture relativamente all’anno precedente e, dall’altro, tentato di beneficiare, con esito infruttuoso, di finanziamenti serviti dalla garanzia pubblica del Fondo Centrale di Garanzia delle PMI, di cui all’art. 13 del Decreto legge 8 aprile 2020, n. 23, finalizzati a sostenere il sistema imprenditoriale nella particolare congiuntura economica determinata dall’emergenza sanitaria connessa alla diffusione del Covid-19.
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