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La sim card «riservata» del boss e il pacco "sbagliato" fatali per il latitante nascosto in Portogallo

L’inchiesta Rinascita Scott racconta i retroscena dell’arresto di Francesco Di Marte. Le indagini partite da una telefonata del boss Razionale alla moglie e la caccia a tre utenze telefoniche top s…

Pubblicato il: 08/08/2020 – 14:01
La sim card «riservata» del boss e il pacco "sbagliato" fatali per il latitante nascosto in Portogallo

di Pablo Petrasso
CATANZARO Polizia portoghese e Ros dei carabinieri hanno arrestato Francesco Di Marte, 57 anni, nell’ottobre del 2016. Il latitante, ritenuto contiguo alla cosca Pesce di Rosarno, era sfuggito alla cattura – disposta nell’inchiesta “Santa Fe” – più di un anno prima. Considerato uno dei narcos del clan, Di Marte avrebbe commissionato l’importazione di ingenti carichi di cocaina dal Sudamerica (Colombia, Brasile e Argentina) diretti – secondo le ipotesi di accusa della Dda di Reggio Calabria – ai porti di Gioia Tauro, Vado Ligure, Livorno e Valencia.
L’inchiesta Rinascita Scott racconta come gli investigatori siano arrivati a individuare il fuggitivo. E si incarica di tracciare linee di connessione che diventano sempre più marcate tra le cosche vibonesi, i clan reggini e il Portogallo. La storia inizia da una telefonata di Saverio Razionale, boss di San Gregorio d’Ippona che ha da tempo trasferito il proprio business a Roma (e puntava anche Milano, come vi abbiamo raccontato in questo servizio del dicembre 2019).

L’utenza telefonica «sconosciuta»

Razionale chiama sua moglie da un’utenza telefonica «sino a quel momento sconosciuta». La prima a stupirsene, quando risponde a quel “numero privato”, è la consorte; il boss le spiega che il suo telefono è senza credito e la invita a ricaricarlo. La scoperta attiva i riscontri dei carabinieri: quell’utenza, assieme ad altre due, è stata attivata il 14 luglio 2016 ed è intestata a una cooperativa di Venezia. Per gli investigatori è una traccia: ipotizzano che «le tre utenze possano «fare parte di un circuito telefonico chiuso impiegato per colloqui riservati».
Il lavoro di tracciamento dà un primo riscontro il 29 agosto 2016. Uno dei telefoni “gemelli” (non quello di Razionale) viene monitorato all’aeroporto di Milano Malpensa. Gli esperti del Ros incrociano l’ora di accensione dello smartphone con gli aerei in transito. E individuano un aereo in arrivo da Malaga: su quel volo figura una coppia che condurrà gli investigatori fino a Lamezia Terme, dove termina il loro viaggio.

Giuseppe Di Marte

L’indagine diventa più profonda: il titolare di una delle tre utenze si chiama Giuseppe Di Marte, è il figlio del latitante Francesco (anche lui arrestato e poi estradato nel 2019) ed è in rapporti con il figlio di Antonio Anello, «appartenente al più stretto entourage di Saverio Razionale». È adesso chiaro quale sia «l’anello di congiunzione tra il circuito chiuso di utenze individuato» e il boss di San Gregorio d’Ippona.

La terza scheda

Manca un tassello: la terza scheda telefonica. Il Ros scopre che il suo utilizzatore è «un uomo dal marcato accento romano in contatto stabile – solo attraverso questa sim card – con Giuseppe Di Marte». Le due utenze, appuntano i magistrati della Dda di Catanzaro, «eseguivano solo un traffico ‘citofonico’ al chiaro scopo di eludere un qualsiasi controllo da parte delle forze dell’ordine» e «utilizzavano un linguaggio criptico per evitare, in caso di ascolto da parte di terze persone, di far intendere quale fosse il vero oggetto del dialogo». I carabinieri seguono gli spostamenti dell’utenza telefonica tra Roma e Ravenna, incrociano i dati con le rilevazioni degli apparati Telepass e tirano fuori il nome di un anziano residente a Roma.
È lui a chiedere spesso a Di Marte notizie della “ragazza”. Quei riferimenti e i modi usati nel corso dei dialoghi, «lasciavano trasparire che si potesse trattare di una persona che si stesse nascondendo in una località che i due avrebbero dovuto raggiungere». La conferma sarebbe in una telefonata dell’8 ottobre 2016 «conseguente all’arresto in Portogallo del latitante». Un colloquio in cui Giuseppe Di Marte, per far capire al proprio interlocutore «che il padre era stato arrestato, affermava “… se la sono portata la ragazza! Sì, sto andando a vedere che è successo. Mi hanno chiamato questa mattina, se la sono portata via”».

Il pacco spedito da Milano a Portimao

L’inchiesta si snoda tra la Calabria, Roma e Milano. E gli investigatori ipotizzano un ruolo del “compare” romano «come corriere di soldi». Tutte le utenze di Di Marte sono monitorate, i suoi spostamenti controllati. I militari del Ros di Milano lo seguono mentre, con due buste in mano, entra negli uffici Western Union-Dhl e vi rimane per mezz’ora. Gli accertamenti permettono di stabilire che Giuseppe Di Marte ha effettuato «la spedizione di due pacchi destinati a Portimao (Portogallo)» e ha indicato il destinatario come Domenico Pellegrino. Gli inquirenti decidono di seguire la traccia di quella spedizione dalle «modalità innaturali» e attivano la polizia portoghese.

Francesco Di Marte

Bingo: i colleghi, «in serata», arrestano il latitante Francesco Di Marte mentre ritira i pacchi inviati dal figlio. L’uomo è su un’auto con targa tedesca e in compagnia di una donna straniera.
A Milano, il giorno dopo, Giuseppe Di Marte capisce tutto. Spiega alla sua fidanzata che la «situazione» è «troppo tranquilla». Poi aggiunge «che il padre era stato tratto in arresto il giorno successivo alla spedizione intorno alle 19. Infine, aggiungeva che il giorno precedente aveva inviato un messaggio al padre e questi non gli aveva risposto, ma tuttavia era tranquillo perché pensava che avesse dimenticato il telefono a casa». La fidanzata si altera e dice «che tutto era successo per “…un pacco di merda…”. E di rimando, il Di Marte attribuiva l’avvenuta spedizione ad una specifica pretesa del padre, aggiungendo che ‘…ha la testa dura…’».

Beccato con 10mila euro

L’arresto in Portogallo arriva come una mazzata ma non ferma le comunicazioni tra Di Marte e il suo contatto a Roma. I due hanno ancora affari in corso. Al secondo viene chiesto di «effettuare una commissione» assieme a tale “Toto”, che gli avrebbe dovuto consegnare un «regalo» da portare successivamente a Milano, base operativa del giovane Di Marte. L’incontro avviene alla stazione Termini sotto gli occhi attenti dei carabinieri. “Toto”, che viene identificato in Antonio Anello, consegna il “regalo”. Saranno ancora i carabinieri a scoprire di cosa si tratti, quando fermano l’uomo e lo trovano in possesso della somma di 10mila euro in contanti divisa in banconote da 500 euro. L’uomo cerca di smarcarci dicendo ai militari che il denaro gli è stato consegnato da “Toto” al quale tempo prima lo aveva prestato.

«Getta il telefono»

Il giorno dopo, secondo gli inquirenti, contatterà Di Marte da una cabina telefonica. Accade per la prima volta da quanto gli inquirenti seguono i due. Ha la voce alterata ma riconoscibile e il messaggio è chiarissimo: «Getta il telefono, la ragazza non può venire! Le due sim spariscono, smettono di comunicare tra loro. Nel frattempo un latitante è stato assicurato alla giustizia. Si era trasferito in Portogallo per sfuggire alla Dda di Reggio Calabria. E non è questo l’unico passaggio portoghese dell’inchiesta Rinascita Scott. (p.petrasso@corrierecal.it)

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