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Negli insediamenti della Piana di Gioia Tauro, cronaca di una “zona rossa” annunciata

Il Covid è arrivato al campo container e alla tendopoli mentre la stagione agrumicola è alle porte. Un epilogo che molti avevano cercato di evitare scontrandosi con l’immobilismo delle Istituzioni….

Pubblicato il: 23/10/2020 – 7:34
Negli insediamenti della Piana di Gioia Tauro, cronaca di una “zona rossa” annunciata

di Francesco Donnici
ROSARNO «La pandemia di Covid-19, che ha reso ancor più critiche le condizioni di vita dei lavoratori, ha messo in luce la centralità del loro apporto per la tenuta dell’intero comparto agricolo, ma a questa constatazione non hanno fatto seguito azioni volte a tutelare la salute dei braccianti e promuovere la dignità del lavoro. Le misure adottate per contenere e prevenire il contagio presso gli insediamenti precari, infatti, si sono dimostrate del tutto parziali e poco incisive».
Questo è un estratto delle conclusioni del settimo rapporto di Medici per i diritti umani (Medu) sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro pubblicato lo scorso luglio.
Già verso la fine della prima ondata, le realtà operative nella Piana tiravano le somme di una tragedia sfiorata e ammonivano le Istituzioni, governative e regionali, per quanto non era (ed è) stato fatto. La Regione si è limitata ad intervenire finanziando (con fondi europei Fami) le attività di clinica mobile delle organizzazioni umanitarie presenti nella Piana di Gioia Tauro (appunto Medu) e nella Sibaritide (Intersos), per un periodo di tempo limitato e senza prevedere nessuna azione diretta da parte delle istituzioni sanitarie del territorio. Interventi temporanei e settoriali seguiti da un rimbalzo di competenze e responsabilità tra Governo ed Enti locali che hanno portato ad un nulla di fatto.
Anche per questo, sempre a luglio, erano state sottoscritte delle raccomandazioni ai soggetti preposti volte ad evitare quello che si sta invece verificando in questi giorni. Prima il campo container di Rosarno, poi la tendopoli di San Ferdinando, sono diventati “zona rossa” provocando nei residenti ulteriore frustrazione indotta dall’impossibilità di spostarsi, che per la maggior parte di loro, senza contratti e tutele, significa impossibilità di percepire un reddito.  Nei giorni scorsi, la tendopoli ha vissuto attimi di tensione, nel silenzio perdurante delle Istituzioni e di una politica che – a parte qualche sporadico intervento compreso nel solito gioco delle parti – percepisce come un mondo a sé stante quello creatosi tra le campagne e le zone industriali della Piana.
«Continuiamo a chiedere, per tutte le “zone rosse”, che venga istituito un reddito di quarantena onde evitare che qualsiasi persona impossibilitata a lavorare venga resa ancora più vulnerabile da questa pandemia. Una simile misura sarebbe utile per la popolazione di tutta Italia, ma soprattutto per chi non è tutelato da un contratto di lavoro». Queste le parole di Ilaria Zambelli, operatrice Medu (e coordinatrice del progetto Terragiusta, contro lo sfruttamento dei lavoratori migranti in agricoltura) con la quale il Corriere della Calabria ha provato a ricostruire la situazione negli insediamenti di Rosarno e San Ferdinando e gli scenari futuri tra pandemia e crisi del settore agricolo.

L’area quarantena allestita alla tendopoli

LA SITUAZIONE NELLE “ZONE ROSSE”  L’area del campo container della terza zona industriale di Rosarno, in località Contrada “Testa dell’Acqua”, è stata chiusa lo scorso 13 ottobre, quando Jole Santelli firmava la sua ultima ordinanza (numero 72) per la prevenzione e la gestione dell’emergenza Covid. La misura si era resa necessaria a fronte dell’accertata presenza prima di tre, poi di altri 15 positivi su 80 testati.
A mediare la situazione e supportare l’Asp nell’attività di screening sui soggetti sono stati, tra gli altri, proprio gli operatori di Medu, su espressa richiesta delle autorità. «I positivi – spiega sempre Ilaria Zambelli – sono stati isolati in alcune tende posizionate in una zona a circa 200 metri dal campo. Noi abbiamo iniziato ad individuare le persone che potessero avere appuntamenti in commissariato per il rinnovo dei documenti o diritto alla malattia in modo tale da poter garantire loro una copertura in questo periodo».
Nell’insediamento si è mantenuto l’ordine nonostante l’insofferenza di molti. «Stiamo parlando di lavoratori, la maggior parte dei quali è costretta a lavorare senza contratto oppure a “grigio”, non riuscendo ad avere dichiarata la quantità minima di giornate – di fatto effettuate – per poter avere accesso all’indennità». Il 20 ottobre, con l’ordinanza numero 78, dato atto del protrarsi dell’attività di screening operata dall’Asp, la Regione ha deliberato la necessità di «confermare le azioni tendenti a circoscrivere il focolaio e ad impedire la diffusione dei contagi nelle zone limitrofe e circostanti» prorogando la “zona rossa” nell’insediamento fino alle ore 20 del 26 ottobre.
Simile la sorte toccata all’area della tendopoli di San Ferdinando, il cui “superamento” era iniziato lo scorso luglio. In questo caso la “zona rossa” è stata istituita il 17 ottobre senza indicazione espressa della durata, a fronte della presenza accertata di 14 positivi – su 30 tamponi effettuati – che andavano ad aggiungersi ai tre già accertati nei giorni precedenti.
Area quarantena allestita in prossimità del campo container

Come aveva spiegato il segretario Cgil della Piana, Celeste Logiacco, in occasione dell’allestimento dell’area quarantena, il rischio era che i ragazzi potessero non accogliere bene la decisione e per questo andavano accompagnati nella transizione verso la “chiusura”. «La preoccupazione è che si disperdano prima dell’annuncio ufficiale come accaduto nel campo container o che salga la tensione. La pandemia ha aggravato le criticità del territorio e serve fare rete per superarle».
I due insediamenti si sono riempiti in seguito alla demolizione della baraccopoli di San Ferdinando del marzo 2019. Da quando sono state istituite le “zone rosse” è diventato più difficile censire gli effettivi presenti, ma secondo gli ultimi numeri dovrebbero oggi trovarsi circa 150 persone nel sito di Rosarno e 266 alla tendopoli (di cui registrati sono solo 146). Nonostante la tendopoli sia un insediamento formale, sotto la tutela del Viminale, la situazione è stata gestita peggio rispetto al campo container, portando alle tensioni dei giorni scorsi. «Non sono state messe a disposizione strutture né per la quarantena, né per l’isolamento dei positivi. – spiega sempre Medu –  In tendopoli i positivi sono stati separati all’interno della stessa area in apposite tende, quindi non c’è un’effettiva separazione fisica». Motivo che potrebbe aver influito in maniera negativa su animi già abbastanza tesi in quanto «nel periodo in cui verrà mantenuta la “zona rossa” non potranno andare a lavorare». Un’escalation di tensione che è somma di diversi fattori: «Chi non aveva la residenza non ha potuto avere accesso ai buoni spesa. Chi non aveva abbastanza giornate dichiarate non ha ricevuto alcuna indennità e ora non sono state messe a disposizione idonee strutture per la quarantena dei positivi che, seppure asintomatici, in questo momento con l’arrivo dell’inverno potrebbero vedere un peggioramento delle loro condizioni di salute». Rischi che non possono essere assorbiti dal sistema sanitario calabrese, dove le terapie intensive sono ormai prossime all’esaurimento: «Altra richiesta che avevamo già avanzato e che continuiamo a ribadire è che i positivi degli insediamenti della Piana di Gioia Tauro vengano allocati in apposite strutture per la quarantena così da evitare il diffondersi del contagio. Se dovessero essere ospedalizzati si potrebbe creare un problema per la sanità pubblica. Per questo sarebbe opportuno pensare ad alberghi Covid come già fatto in altre regioni».
PAROLA D’ORDINE: “DEGHETTIZZARE” Su quanto accaduto alla tendopoli e sull’emergenza di questo periodo è intervenuto, durante un webinar sul tema della “tratta di esseri umani”, anche il prefetto di Reggio Calabria, Massimo Mariani: «Se si riesce a garantire l’ospitalità di queste persone sul territorio in condizioni dignitose ne traggono vantaggio anche l’ordine e la sicurezza pubblica. Quanto successo a San Ferdinando non è un caso a sé, perché si è verificato anche in diverse città d’Europa dove persone già in difficoltà vengono sottoposte dalla pandemia a difficoltà ulteriori».
La parola d’ordine è “deghettizzare”: «Il superamento di questi insediamenti – spiega sempre Mariani – conviene a tutto il territorio» così da poter concentrare poi l’attenzione sul problema del lavoro agricolo: «Lo sfruttamento nasce da diversi fattori, anche dalla grande distribuzione e dal prezzo che viene dato a questi prodotti. È nell’interesse della Calabria superare questo sistema per renderlo conveniente sia sotto l’aspetto economico che sotto l’aspetto umano».
RIPARTE LA STAGIONE AGRUMICOLA Nel frattempo si avvicina il periodo della raccolta degli agrumi quindi una rinnovata richiesta di braccianti che attrarrà molte altre persone nella Piana. «Temiamo una dispersione all’interno del territorio perché chi arriverà andrà in edifici o casolari abbandonati rendendo molto difficile il monitoraggio dei numeri e della situazione epidemica».
Tra le possibili mete anche il ghetto di Contrada Russo a Taurianova, scomparso dalle cronache e, nonostante il dibattito acceso intorno all’area durante il lockdown, – quando un ragazzo di 31 anni perse la vita in seguito a un’aggressione – ancora oggi abitato da un numero imprecisato di persone che continuano a fare a meno di luce ed acqua.
Dati che interessano relativamente i “padroni”, come dimostrato anche durante la prima ondata. «Gestire la pandemia in queste zone significa anche aiutare a creare le condizioni affinché il raccolto non vada perso». Secondo Medu, occorrerebbe «creare un protocollo di intervento che possa tutelare perlomeno i negativi e permettere loro di andare a lavorare così che la raccolta possa essere effettuata come gli altri anni». Le regolarizzazioni volute dal ministro Bellanova, non hanno influito sulla situazione, anche perché la “sanatoria a tempo” prevista nell’articolo 103 del Decreto Rilancio, nella Piana è arrivata quando il periodo di raccolta si stava già avviando alla conclusione e le aziende non avevano interesse a regolarizzare i braccianti. «In quel periodo molti si erano spostati già su altri territori come la Puglia, la Basilicata o il Piemonte dove c’era richiesta per la raccolta delle fragole».
Immagine dal VII rapporto Medu “La pandemia di Rosarno”. Progetto Terragiusta

Oltre alla richiesta di un reddito di quarantena ed apposite strutture per isolare e prestare le opportune cure ai positivi, Medu rilancia le raccomandazioni più volte rimaste senza alcuna risposta da parte del Governo centrale, della Regione e della prefettura di Reggio Calabria. Tra quelle espressamente rivolte alle Istituzioni spiccano la più volte richiamata necessità di uno «smantellamento graduale dei ghetti e l’istituzione di buone pratiche che favoriscano l’inserimento abitativo dei braccianti nei centri urbani della Piana» ma anche gli «investimenti di sistema per il rilancio del settore agricolo nel Mezzogiorno d’Italia ed in particolare in Calabria, ad esempio attraverso incentivi alle aziende che garantiscano una produzione di qualità ed etica, rispettosa dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente». (redazione@corrierecal.it)

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