A proiettare un’immagine negativa di sé è lo stesso protagonista della vicenda che ha presentato il suo biglietto da visita in modo goffo, come se fossimo ancora negli anni ‘70. Il neo commissario ad acta per la sanità, Giuseppe Zuccatelli da Ferrara, in un vecchio, ma non tanto, filmato presenta, al suo esordio, un autoritratto imbarazzante laddove spiega che le mascherine non servono. Era marzo 2020. Poi mette una pezza che è peggiore del buco, dicendo: «In relazione alle notizie stampe diffuse, si precisa quanto segue: “Le mie affermazioni errate, estrapolate impropriamente da una conversazione privata, risalgono al primo periodo della diffusione del contagio”». Se prima era apparso inopportuno, con la rettifica è diventato inadeguato.
Quand’anche non fosse incorso in questo scivolone la sua candidatura sarebbe stata ugualmente deplorevole al di là delle sue capacità professionali, tutte da dimostrare. E qui cessano le sue colpe e subentrano quelle del ministro Speranza che non s’è sforzato di fare una cosa diversa dalla avvilente routine, pescando nella greppia del partito. Ma Speranza ha fatto il politicante, qual è.
In buona sostanza è mancata, perché non ricercata, la professionalità sganciata dalla politica. Rispetto alla nomina di Cotticelli, dentro la stessa logica di occupazione militare, è il caso di dire, del potere, questa nomina sembrava più laica. Ma non è un’attenuante. Purtroppo il sistema è malato e i politici non vogliono, non possono e non sanno percorre altre strade. Inutile giraci attorno. In questo caso Speranza avrebbe potuto e dovuto riflettere perché l’amicizia di Zuccatelli con Bersani non era un lasciapassare sufficiente per non creare scandalo. Da questo punto di vista Cotticelli sembrava dare maggiori garanzie perché poi il generale s’è dimostrato un inetto per il ruolo sanitario che doveva svolgere.
Ma se anche Zuccatelli dovesse dimostrare di saper e poter reggere dignitosamente il suo ufficio, il danno di immagine ormai è stato fatto e non ci sarà nulla e nessuno che potrà modificarlo. Per l’opinione pubblica resta una pastetta. A “vogghia mi fai ricci e cannola”.
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