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Zona rossa, la tempesta perfetta sull’economia calabrese

Le norme imposte per contenere i contagi colpiscono al cuore il sistema produttivo calabrese che stava cercando di recuperare terreno dopo il primo lockdown. Così il bilancio del 2020 per imprese e…

Pubblicato il: 13/11/2020 – 7:12
Zona rossa, la tempesta perfetta sull’economia calabrese

di Roberto De Santo
CATANZARO È difficile quantificare nell’immediato quanto questo nuovo lockdown imposto dall’entrata in zona rossa della Calabria possa pesare sulla già provata economia calabrese. Molto dipenderà ovviamente dalla durata. Ma di certo il fermo di interi settori fino al 3 dicembre – disposto dal governo Conte – ha gelato sul nascere i timidi germogli di ripresa che si intravedevano dopo le devastazioni conseguenti al blocco delle attività e della mobilità della primavera scorsa.
Le regole imposte per contenere l’impennata di contagi che ha investito la Calabria – più della prima ondata – colpiscono al cuore comparti nevralgici del sistema economico regionale: commercio al dettaglio, ristorazione, turismo e diversi servizi essenziali che garantiscono occupazione e risorse diffuse su tutto il territorio calabrese. Ma c’è anche da considerare l’effetto domino che questa nuova chiusura sta generando su intere filiere collegate direttamente o indirettamente ai segmenti produttivi finiti in lockdown. Senza contare la riduzione dei redditi e conseguentemente dei consumi di migliaia di lavoratori e il taglio – ennesimo – degli investimenti privati generati dal terrore ormai diffuso tra gli imprenditori preoccupati dal perdurare di un’epidemia che potrebbe comportare fermi produttivi ad intermittenza proprio a causa di nuove chiusure.
Dunque una “tempesta perfetta” – generata dalla concomitante recrudescenza dell’epidemia su tutto il territorio, dall’incapacità di contenere rapidamente i contagi dell’evanescente sistema sanitario locale e dalla debolezza di un tessuto produttivo fortemente provato dalla crisi economica scaturita dalla prima emergenza sanitaria – che si sta abbattendo su un territorio strutturalmente in ritardo di sviluppo e che mette così in serio pericolo la sopravvivenza di molte imprese calabresi. Gli effetti si faranno sentire pesantemente su tutti i parametri economici che delineeranno il 2020.

Secondo le stime dell’ufficio studi della Cgia di Mestre, la Calabria chiuderà l’anno facendo un balzo indietro di oltre tre decenni – esattamente 32 anni – in termini di ricchezza prodotta a valori reali concatenati: passando da 31,6 miliardi del 2019 a 27,720 di quest’anno. Appunto il Prodotto interno lordo che registrava la Calabria nel 1988. Segnando così una flessione in dodici mesi pari ad oltre 9 punti percentuali (-9,1%). Secondo questi calcoli, ogni calabrese perderà in media 1.270 euro del valore aggiunto rispetto al 2019. Tradotto in percentuali significa un -8,6%.

Un quadro che ovviamente si sta ripercuotendo anche sull’occupazione. Elaborando i dati di Prometeia e dell’Istat, gli analisti hanno valutato che la Calabria registrerà il record in termini percentuali in Italia di posti di lavoro bruciati sull’altare della crisi economica generata dalla pandemia: -5,1% (la media italiana è pari al 2%). Un dato che in numeri assoluti si traduce in 28mila occupati in meno in un anno.
Anche la Svimez aveva fornito alcuni dati previsionali che descrivevano «una recessione senza precedenti» per tutto il Paese. Per la Calabria, gli analisti indicavano una flessione del Pil pari al 6,4%, una diminuzione dei redditi per i calabresi del 2,9% nonché una conseguente riduzione dei consumi (-9,4%). Ma queste previsioni non tenevano ancora conto degli effetti della seconda ondata che certamente peggiorerà il quadro generale dell’economia calabrese rinviando ancora più in là la ripresa.

Ma è la stessa nota di aggiornamento congiunturale stilata da Bankitalia a dare la misura delle perdite già subite dal sistema Calabria nel suo complesso a causa dell’emergenza sanitaria e della conseguente crisi economica. Passando in rassegna il quadro d’insieme emerge, da questo report, il crollo del fatturato delle imprese nei primi nove mesi dell’anno soprattutto nel settore dei servizi privati, così come degli investimenti messi in piedi dalle aziende e un forte ricorso all’indebitamento dell’intero sistema produttivo. Con ripercussioni decisamente rilevanti sull’occupazione e sul livello di ricchezza prodotta dalla Calabria. Un conto salatissimo che si traduce, secondo gli analisti di Bankitalia, in un deterioramento di tutti gli indici economici calabresi. Il livello di occupati è sceso – nel secondo trimestre del 2020 – al 39,8% contro il 44,1% del 2019. Una caduta frenata solo dal ricorso massiccio agli ammortizzatori sociali da parte delle imprese. Le ore autorizzate di Cassa integrazione guadagni e fondi di solidarietà sono passate da 2.660 dei primi 9 mesi del 2019 a 37.523 dello stesso periodo di quest’anno. Un’impennata mostruosa che tradotta in termini percentuali significa un +1310,6%.

Ma è la mancanza di liquidità del sistema produttivo ad aver affogato molte imprese. Il ricorso a prestiti bancari – dopo molti anni di sostanziale uniformità del dato – è cresciuto del 2,6% rispetto all’anno precedente con un’impennata soprattutto nel settore dei servizi (+4,7). Ed intere filiere sono state investite in pieno dallo tsunami generato dal fermo delle attività. È stato travolto, per esempio, il settore turistico che nei primi 8 mesi dell’anno ha perso oltre la metà delle presenze e degli arrivi di turisti: rispettivamente -54,3% e -51,6%. Azzerato quasi completamente il flusso di stranieri che hanno registrato una flessione del 90,4% di presenze e dell’87,5% di arrivi. Anche se a risentire degli effetti della pandemia sono stati praticate tutti i principali settori attivi in Calabria.
Secondo il sondaggio realizzato da Bankitalia, oltre due terzi delle aziende calabresi hanno segnalato un calo del fatturato. Accentuato soprattutto nel settore dei servizi privati non finanziari: oltre tre quarti delle imprese hanno subito una contrazione superiore al 15% in un anno. Ed è andato in terreno negativo anche l’export – per quanto sia un parametro relativo per l’economia calabrese (data la minima incidenza sul Pil regionale) – che ha segnato una flessione del 3,8%.
Segnali decisamente negativi che da agosto stavano registrando però qualche accenno di ripresa. Un rimbalzo – ancora troppo piccolo per invertire la marcia – ora interrotto bruscamente dal nuovo blocco di molte attività produttive e della circolazione delle persone. Ma a pesare decisamente sull’andamento economico attuale e futuro c’è «il clima di incertezza» generato dalla ripresa massiccia di contagi in Calabria. Ne è convinto assertore Vittorio Daniele docente di Politica Economica all’Università Magna Graecia di Catanzaro, dove insegna anche Economia dello sviluppo.

Vittorio Daniele docente di Politica Economica all’Università Magna Graecia di Catanzaro

Professore l’emergenza Coronavirus in Calabria e il conseguente blocco delle attività imposto da Governo rischiano di compromettere i timidi segnali di ripresa. Come contenerne gli effetti sull’economia?
«Sembra banale sottolinearlo, ma l’andamento dell’economia dipende da quello della pandemia. Ciò significa che le previsioni economiche sono, oggi più che mai, aleatorie. Il rischio del contagio genera, di per sé, incertezza e condiziona i comportamenti, e ciò ha ricadute economiche. Dall’evoluzione dei contagi dipendono, poi, le misure sanitarie adottate dalle istituzioni. Nei mesi estivi, il Pil italiano è cresciuto del 16%, dopo la forte caduta del primo semestre dell’anno. Anche la Calabria, come le altre regioni del Sud, grazie al turismo ha registrato una ripresa. Le misure di contenimento dell’epidemia, soprattutto nelle regioni dichiarate “zone rosse” come la Calabria, avranno certamente un impatto depressivo, la cui entità dipenderà dalla loro durata. È realistico che queste misure, pur rimodulate, si protrarranno nei prossimi mesi. Ciò, inevitabilmente, richiederà un rifinanziamento dei provvedimenti già adottati per sostenere i comparti economici direttamente interessati dal blocco; provvedimenti che, in qualche misura, andranno estesi anche a quei comparti che, pur attivi, stanno subendo le conseguenze dovute al calo dei consumi e degli investimenti».
Due provvedimenti Ristori e Ristori bis sono stati varati dall’esecutivo Conte, ritiene che possano essere sufficienti per “salvare” l’economia calabrese?
«La questione riguarda l’economia italiana nel suo complesso. Il decreto Ristori bis, che ha rideterminato i contributi a fondo perduto per un ampio numero di categorie e prorogato il bonus affitti, va certamente nella giusta direzione. Così come sono utili le moratorie sui finanziamenti e le misure di sostegno al credito. Rilevante poi, soprattutto per una regione come la nostra, in cui l’edilizia ha un peso notevole, il superbonus del 110% sulle riqualificazioni energetiche degli edifici. Non bisogna dimenticare, però, che in Calabria c’è un’ampia platea di lavoratori irregolari e stagionali i cui redditi vanno sostenuti. È da osservare che le misure di politica economica adottate in Italia, pur significative, sono inferiori rispetto a quelle di altri paesi. L’incremento di spesa pubblica per il sostegno al reddito, all’occupazione e per spese sanitarie, nella prima fase della pandemia (fino a giugno) è stato, in Italia, pari al 3,4% del Pil a fronte dell’8% della Germania e del Regno Unito. Ma c’è anche da dire che, per l’Italia, il margine di manovra fiscale è molto più esiguo di quello degli altri Paesi europei».

Ci sono due scuole di pensiero sulle modalità di applicazione del lockdown: una ritiene i rimedi soft meno invasivi per l’economia locale, l’altra viceversa che così facendo si protrae nel tempo l’emergenza sanitaria e dunque gli effetti sull’economia. Lei quale sposa?
«Quella sulle modalità del lockdown è, innanzitutto, una scelta epidemiologica. Ma è chiaro che essa comporta rilevanti conseguenze economiche e sociali. Il blocco totale – protratto per almeno quindici giorni – è la modalità più efficace per abbattere i contagi. Tuttavia, se questi non vengono azzerati, è necessario, poi, un efficace controllo perché l’epidemia non si propaghi nuovamente, come accaduto nei mesi scorsi. Come mostrano alcuni studi internazionali, il livello del lockdown, la sua durata e i costi economici e sanitari connessi dipendono dalla capacità del sistema sanitario di far fronte all’epidemia e dalle misure attuate per contenerne i costi economici (si pensi, per esempio, al caso tedesco). Non c’è dubbio, però, che nel nostro paese le condizioni regionali siano molte diverse. A oggi, il 73% dei 42.300 decessi per covid-19 è stato registrato in quattro regioni: Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto. In Lombardia si è avuto il 43% dei decessi e il 27,8% dei casi registrati in Italia. Le differenze regionali nell’impatto dell’epidemia sono notevoli. Come lo sono, però, quelle nei sistemi sanitari. Il caso calabrese ne è un esempio».
La peculiarità del sistema produttivo calabrese decisamente orientato al mercato interno risentirà maggiormente degli effetti del blocco delle attività determinati dall’inserimento della regione nella zona rossa rispetto ad altre aree?
«No. Semmai è il contrario, a patto che vengano assicurate, per il tempo necessario, adeguate misure di sostegno ai redditi. Il peso relativamente alto del pubblico impiego nella struttura occupazionale regionale è, sotto questo aspetto, un altro fattore di stabilizzazione economica. Si consideri che il comparto PA istruzione e sanità genera in Calabria ben il 48% dei redditi da lavoro dipendente, a fronte del 28% del Centro-nord. Secondo le stime, da prendere con prudenza, quest’anno il Pil calabrese diminuirà del 6,5%. Una contrazione notevole, ma inferiore a quella di quasi tutte le altre regioni».
Teme che possano esserci anche ricadute sulla tenuta “sociale” della regione?
«Senza dubbio, una quota significativa di famiglie sta fronteggiando gravi problemi economici. Nel primo semestre dell’anno, in Calabria l’occupazione è diminuita di quasi il 5%. Un calo significativo, per una regione con elevata disoccupazione e diffusa precarietà. Le politiche di sostegno ai redditi (come il reddito di cittadinanza, quello di emergenza e la cassa integrazione) hanno, finora, contenuto gli effetti, anche sociali, della crisi. Come rileva la Banca d’Italia, le famiglie che in Calabria hanno usufruito delle erogazioni di reddito o pensione di cittadinanza sono state circa 92.400, cioè l’11,5% di quelle residenti, con un notevole aumento rispetto all’anno scorso. Nello stesso tempo, sono aumentati i depositi bancari delle famiglie e delle imprese, un riflesso dell’incertezza e del calo della domanda. Le conseguenze sociali ed economiche dell’epidemia dipendono dall’efficacia delle misure sanitarie adottate e queste impongono, inevitabilmente, dei sacrifici. Il contenimento dei contagi è prioritario: se la situazione epidemiologica si aggravasse, anche i costi economici e sociali crescerebbero».

Ritiene utili le misure introdotte dalla Regione con la rimodulazione dei fondi comunitari Por Calabria 2014-2020 per aiutare il sistema produttivo calabrese. O si sarebbe potuto fare meglio?
«La rimodulazione dei fondi strutturali è stata autorizzata dal Consiglio Europeo ad aprile. Gli Stati e le Regioni hanno, così, potuto indirizzare i fondi disponibili al finanziamento d’interventi sanitari ed economici per fronteggiare la pandemia. La Calabria, nel mese di luglio, ha sottoscritto un’intesa con il ministero per il Sud per la riprogrammazione di 500 milioni di euro. La riprogrammazione è stata approvata dal consiglio regionale il 10 novembre. Dunque ora gli strumenti ci sono. È ora indispensabile accelerare le procedure di impegno e spesa dei fondi, per evitare che si accumulino ritardi, a fronte delle evidenti necessità della nostra regione».
Il presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte

Sono in arrivo risorse importati dal Recovery fund e una parte sarà destinata a far recuperare il gap strutturale tra il Sud – dunque anche la Calabria – ed il resto del Paese. Quali le priorità per aiutare la regione a risalire la china?
«Per l’Italia le risorse del Recovery Fund (fondo per la ripresa) ammontano a 191 miliardi di euro. Considerando gli altri programmi della UE si arriva a 208,6 miliardi, di cui 127,4 sono prestiti. Questi fondi vanno destinati a investimenti per l’ambiente, in infrastrutture e alla riduzione delle disuguaglianze anche territoriali. Va considerato che le risorse del Recovery fund saranno disponibili nel 2021. È necessario che le amministrazioni statali e regionali si dotino non solo di progetti, ma anche di strutture tecniche che consentano di conseguire gli obiettivi di spesa rapidamente. Per la Calabria, il potenziamento della piattaforma logistica di Gioia Tauro e del sistema infrastrutturale sono, a mio avviso, delle priorità. Ma la nostra regione potrà trarre benefici anche dal finanziamento delle misure contenute nel Piano per il Sud presentato dal governo, in particolare dalla fiscalità di vantaggio e dagli investimenti a favore dell’ambiente. L’Italia deve affrontare una grande sfida, che è anche un’imperdibile opportunità, per semplificare le norme e migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione, fattori da cui dipende la capacità di attrarre investimenti. Ovviamente anche per la Calabria». (r.desanto@corrierecal.it)

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