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Autobomba a Limbadi, Rosaria Scarpulla: «Continuano a vessarci ma io sarò la voce di Matteo»

La madre del biologo 42enne, ucciso da un’autobomba nel 2018, è stata sentita nel processo contro i Di Grillo-Mancuso. Il racconto delle vessazioni subite dalla figlia di Ciccio ‘Mbrogghia, con la …

Pubblicato il: 29/01/2021 – 7:13
Autobomba a Limbadi, Rosaria Scarpulla: «Continuano a vessarci ma io sarò la voce di Matteo»

di Alessia Truzzolillo
CATANZARO Decisa, lucida. Rosaria Scarpulla, mamma di Matteo Vinci, lo ha detto chiaramente oggi nell’aula di Corte d’Assise a Catanzaro: «Ci hanno tormentato fino a ieri. Ma io ci sarò sempre e sarò la voce di Matteo». Interrogata dal sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Andrea Buzzelli, e poi contro-interrogata dalle difese, minuta e coi capelli bianchi, Rosaria Scarpulla non ha tentennato, ha raccontato tutta la sua storia con voce che è arrivata chiara e forte fino al piano superiore dove vi è una loggia per pubblico e stampa e dove, seduta su una panca, c’era Rosina Di Grillo, figlia di Rosaria Mancuso e Domenico Di Grillo, sorella di Lucia Di Grillo e cognata di Vito Barbara, tutti imputati nel processo sull’autobomba che il 9 aprile 2018, a Limbadi, ha ucciso Matteo Vinci, 42 anni e una laurea in biologia nel cassetto. Affacciati alla loggia, arrivati appositamente per sostenere la mamma e il padre di Matteo Vinci, c’erano il testimone di giustizia Rocco Mangiardi, un’amica della famiglia Vinci che li accompagna ad ogni udienza, e altre persone legate al movimento delle Agende Rosse di Amantea. Uno spiraglio di luce e di sostegno in questo processo nel quale né istituzioni, né associazioni antimafia si sono costituiti parte civile.
LA SOLITUDINE La battaglia per la salvaguardia dei propri diritti – secondo l’accusa vi erano le mire espansionistiche dei Mancuso sul terreno dei Vinci – la famiglia Vinci ha cominciato a combatterla fin dagli anni ’90 quando sono iniziate le prime vessazioni da parte della famiglia Di Grillo-Mancuso. «Vessazioni». Usa spesso questa parola Rosaria Scarpulla. Le elenca senza sosta, come i grani di un rosario, come rospi nel petto da buttare fuori, con qualcuno che finalmente ti deve ascoltare, dopo anni di battaglie legali, di denunce ai carabinieri, di appelli alle autorità amministrative. Rosaria, detta Sara, racconta fatti, fa i nomi. Ricorda le pecore liberate nel proprio terreno, le recinzioni buttate giù col trattore, cartucce di fucile e proiettili allineati su un muretto, liquami sversati nel proprio terreno, i cagnolini trovati morti appesi alla porta, le ingiurie, il trattore che butta terra sulla proprietà dei Vinci «a stringere», dice Scarpulla, il confine un po’ più in là. Rosaria Scarpulla racconta «io l’ho sempre affrontata Rosaria Mancuso», detta ‘Mbrogghia perché figlia di Ciccio Mancuso alias ‘Mbrogghia. Con questo soprannome la conoscevano tutti a Limbadi, perfino l’ex sindaco Francesco Crudo.

Rosaria Scarpulla


«LA ‘MBROGGHIA NON VUOLE» Rosaria Scarpulla e il marito Francesco Vinci hanno persino minacciato di occupare il Comune di Limbadi. Il fatto lo racconta in udienza la stessa Rosaria davanti ai giudici, Alessandro Bravin presidente, e alla giuria popolare. In prossimità del terreno dei Vinci, i Di Grillo Mancuso hanno una stalla i cui liquami andavano a finire nel terreno dei Vinci finendo per infiltrarsi sotto le pareti di alcune loro costruzioni. I Vinci lo fanno presente al Comune il quale, attraverso l’Ufficio tecnico, dispone degli accertamenti. La relazione che ne scaturisce accerta che i liquami danneggiano le proprietà dei Vinci. Il Comune dispone che si cominci a scavare per dirottare le acque. Lo scavo inizia ma appena i tecnici del Comune vanno via i Mancuso lo riempiono. A questo punto il sindaco promette di attivarsi con i Mancuso e di parlarci. Ma quando i Vinci lo incontrano il primo cittadino Francesco Crudo sussurra loro che lui ha fatto tutto ma «la ‘Mbrogghia non vuole», ricorda la Scarpulla. A questo punto i Vinci minacciano di occupare il Comune. La vicenda finirà con una denuncia ai carabinieri di Limbadi, spiega l’avvocato di parte civile Giuseppe De Pace.
DENUNCE NEL VUOTO E UNA RISSA CHE NON C’ERA Non li trattiene i rospi Rosaria Scarpulla. Tutti li butta fuori. Racconta anche di quella volta che i vicini avevano costruito una baracca per le galline a ridosso di un piccolo terreno conteso e lei e il marito sono andati dai carabinieri della Stazione di Limbadi a denunciare e a chiedere di fare qualcosa. Nessun intervento, e i Vinci hanno fatto da soli: hanno buttato la baracca e hanno recintato il terreno col filo spinato. 
Il resto è cronaca: Lucia Di Grillo fa un’azione di rivendicazione del possesso davanti al giudice. Perde la causa e perde pure il reclamo, rimediando una pena pecuniaria per lite temeraria.
 Il resto è sempre cronaca come l’aggressione subita nel 2014. Sara Scarpulla ricorda di essere finita a terra, di essersi fatta scudo aggrappandosi al corpo di Rosina e Lucia Di Grillo mentre Domenico Di Grillo e Rosaria Mancuso cercavano di colpirla in testa facendosi largo tra i corpi delle figlie. Quando sono arrivati i carabinieri la Mancuso le si avvicina e le sussurra, mentre ancora è tramortita: «Non muori».
Una rissa, come venne classificata inizialmente dai carabinieri che portarono tutti in prigione, compreso Matteo Vinci che «è arrivato dopo», racconta la madre che ancora non si capacita. «Matteo l’abbiamo sempre tenuto lontano. Lui doveva studiare, lui mi sgridava se reagivo alle provocazioni», racconta Rosaria Scarpulla. Per l’aggressione del 2014 il pm Andrea Buzzelli ha prodotto sentenza di condanna per i Di Grillo-Mancuso da parte del Tribunale di Vibo Valentia.
Cronaca è il tentato omicidio di Francesco Vinci nel 2017. La Scarpulla venne allertata, in quella occasione, dal nipote Giuseppe: «Zia vieni, c’è bisogno del 118», le dice. «Sul posto trovo mio marito come un fantasma, pieno di sangue. “Sara mi hanno aggredito”, mi dice. Nel viaggio in macchina fino al Pronto soccorso di Nicotera ha cominciato a vomitare. Io gli chiedevo chi era stato. Barbara lo aveva colpito col tridente in testa, Domenico Di Grillo lo aveva colpito con un’ascia sul volto. E Rosaria Mancuso incitava: “Ammazzatelo”». «Mio marito non ha raccontato che lo hanno minacciato con una pistola. Quello lo ha raccontato dopo, al medico», ricorda Scarpulla.
«CORRI, È SCOPPIATA LA MACCHINA» Il 9 aprile del 2018 Rosaria Scarpulla ricorda che Matteo e il padre erano andati in campagna a portare da mangiare ai gattini. Ricorda una telefonata nella quale, tra tanto rumore e confusione sente la voce del marito che le dice: «Sara corri, è scoppiata la macchina». Lui è sul ciglio della strada, nero di fumo e fuliggine, sbalzato fuori da posto passeggero dalla forza dell’esplosione. «Sono uscita di casa lasciando tutto aperto. Sono arrivata a piedi. Cercavo di andare verso la macchina ma i carabinieri mi fermavano, mi dicevano “non c’è nessuno nella macchina”». Invece qualcuno c’era nell’auto in fiamme, ed era il corpo di suo figlio Matteo. Rosaria ricorda solo «il rumore di un trattore che lavorava, non si fermava». Sul posto non c’erano i Di Grillo-Mancuso. Era intervenuto un vicino, Maurizio Soldano, che aveva provato a domare le fiamme con l’estintore. L’auto è esplosa, secondo la Scarpulla, a poca distanza dalla masseria dei Mancuso. Lei sentiva quel trattore incessante e si chiedeva perché chi guidava non avesse sentito il boato, non avesse visto il fumo denso e nero.
LA VISITA DI LUIGI MANCUSO Dopo la morte di Matteo, dopo il clamore che quello scoppio di sangue aveva suscitato, col marito ricoverato in Sicilia a causa delle gravi ustioni, Rosaria Scarpulla riceve la visita di Silvana Mancuso, nipote di Luigi Mancuso. «Mi disse: “Io e la mia famiglia ci dissociamo, altrimenti non lo avremmo permesso. Vorrebbe venire una persona a darle le condoglianze. Lei l’accetta?”». Si trattava di Luigi Mancuso, boss al vertice della famiglia di ‘ndrangheta e non solo. Il processo Rinascita-Scott lo indica come al vertice del Crimine nella provincia di Vibo Valentia. La Scarpulla accetta la visita. Il boss le chiede perché i Vinci non si erano mai rivolti a lui. «Perché avrei dovuto chiamare te?», gli chiede Rosaria Scarpulla. Luigi Mancuso si dissocia dall’accaduto. La mamma di Matteo gli chiede: «Tu quello che hai detto lo puoi dimostrare? Vieni alla fiaccolata per Matteo». Ma il boss dice che se fosse andato avrebbe attirato tutta l’attenzione della stampa e promette che avrebbe mandato la sua famiglia.
OGGI Anche oggi, nonostante gli arresti e il clamore mediatico sulla vicenda, Rosaria Scarpulla afferma che «Rosina Di Grillo ci ha tormentato fino a ieri». Da quello che apprendiamo dall’avvocato dei Vinci, Giuseppe De Pace, i dispetti e le denunce vanno avanti. «Ma io sarò lì e sarò la voce di Matteo», promette Rosaria Scarpulla. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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