«Mentre Zingaretti twittava a Carmelita (Barbara d’Urso) Minniti se ne andava»
Marco Minniti “l’aviatore” (sulla sua scrivania ha sempre modellini di aeroplani) se n’è andato dal Parlamento e si è sfilato pure dal Pd partito che è sempre stato il suo dopo essere traghettato dal…

Marco Minniti “l’aviatore” (sulla sua scrivania ha sempre modellini di aeroplani) se n’è andato dal Parlamento e si è sfilato pure dal Pd partito che è sempre stato il suo dopo essere traghettato dal Pds succeduto al Pci che era la casa dov’è nato, nella federazione giovanile di Reggio Calabria. Si era iscritto nel 1974 e da allora aveva messo radici nella Federazione di Via Castello della città dello Stretto.
Andrà a presiedere la Fondazione Med-Or che sarà il ministero degli esteri e dell’intelligence di Leonardo ex Finmeccanica la società a partecipazione pubblica con più interessi nel mondo in campo militare e delle relazioni internazionali. Non è un mistero che la vera politica estera, in tutti gli Stati occidentali, la svolgano società di questo tipo, con missioni e gestioni di affari militari e in campo energetico. Finmeccanica, ora Leonardo, ed Eni, per l’Italia, sono le capofila. E Minniti, politico colto, esperto di intelligence, intelligenza raffinata, co frequentazioni assidue con le gerarchie militari e apprendistato col presidente Francesco Cossiga, è in questo momento l’uomo giusto per un progetto che non è culturale o di ricerca, ma che deve colmare l’assenza trentennale dell’Italia nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, cioè dai tempi di Moro e Andreotti, che furono i presidenti del Consiglio più attenti e con più relazioni in quelle aree. Come Craxi qualche temo dopo. Ma successivamente niente.
Tocca a Minniti ora aprire una nuova fase col mondo mediterraneo e africano, a cominciare dalla Libia, attualmente terra di tutti e di nessuno. Ed è da lì che ripartirà la missione dell’ex enfant prodige del Pci, una risorsa che sarebbe stata utile alla politica italiana, implosa, di oggi. Ma era troppo tardi e c’era da sgomitare e Minniti non è uomo a cui piace sgomitare, tantomeno trovarsi nella mischia dove tutto si confonde. E’ più uomo di cooptazione. L’ha cooptato D’Alema portandolo prima a Botteghe Oscure dopo una delusione elettorale e poi a Palazzo Chigi. Già, perché Minniti non raccoglie consensi elettorali.
Nel collegio di Reggio Calabria ai tempi del maggioritario ha perso per due volte di fila e al suo partito il Pd non è mai passato per la testa di immaginare che potesse essere un candidato giusto per la presidenza della Giunta regionale. In Calabria i democrat lo hanno temuto quand’era potente e ostacolato quando hanno potuto. Certo, errori ne ha compiuti. Il più importante l’essersi esiliato rispetto alla Calabria: un po’ per carattere e suo modo di stare al mondo. Qualcuno lo definisce ombroso, ma chi lo conosce sa che è timidezza e voglia di riservatezza. Si è allontanato dalla Calabria soprattutto per ambizione e forse un po’ anche per quello snobismo intellettuale che impone distanze dalla palude di mediocrità del generone politico calabrese. Peccato. Ma l’ultima presa di distanze dalla politica di un personaggio di tante qualità come Minniti è anche un segnale ulteriore della fine del sistema politico di partiti ormai fuori corso: leader con la felpa, anti europeisti anzi no, di altri con la camicia thailandese, comunisti anzi no, di altri ancora sul vale del tramonto quantomeno per motivi anagrafici. Mattarella se n’era accorto e aveva fischiato il fine partita e chiamato Draghi. Ma ancora forse non s’è capito e si twitta a Carmelita, la donna che ha avvicinato la politica al popolo. E poi dici che la classe operaia non doveva andare in Paradiso…
*giornalista e scrittore