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L’intervista

Sbarra: «Ora ci sono le condizioni per far crescere il Sud»

Il neo segretario generale nazionale della Cisl traccia la linea del suo mandato. E sulla Calabria: «Lavoriamo tutti assieme»

Pubblicato il: 05/03/2021 – 12:52
Sbarra: «Ora ci sono le condizioni per far crescere il Sud»

LAMEZIA TERME «Lavoreremo nel solco del gran lavoro svolto in questi anni da Annamaria Furlan. Un percorso di protagonismo nel segno della responsabilità, dell’autonomia, della proposta che ha messo all’angolo disintermediazioni e sovranismi, contribuendo a creare condizioni di unità sociale e politica oggi indispensabili per affrontare la peggiore crisi del dopoguerra». Cosi Luigi Sbarra – da mercoledì al timone della Cisl nazionale – spiega al Corriere della Calabria il percorso che intende intraprendere alla guida della grande organizzazione sindacale italiana.Sessantuno anni, nato nel Reggino a Pazzano, Sbarra ha alle spalle una lunga militanza sindacale iniziata in difesa prima dei braccianti agricoli della Locrice e poi via via ha scalato i vertici della Cisl fino a divenirne, appunto, il segretario generale. Un timone lasciatogli dall’uscente Annamaria Furlan dopo quasi sette anni di cui gli ultimi tre hanno visto proprio Sbarra come segretario generale aggiunto.

Segretario, lei prende la guida della Cisl in uno dei momenti più difficili del Paese. L’emergenza Covid ha implementato i problemi che già l’Italia ed il Sud vivevano?

«Sì, ma meglio sarebbe dire che ha portato alle estreme conseguenze dinamiche divisive e centrifughe in atto già prima della pandemia. Il virus ha aumentato le disuguaglianze geografiche e sociali. Ha infierito a livello sanitario sui più anziani: il 95 per cento delle vittime ha più di 65 anni. Ha poi accelerato polarizzazione e frammentazione nel mercato del lavoro e colpito soprattutto i lavoratori precari, in particolare giovani e donne, e più che mai al Sud. Ancora: ha esteso la povertà e la marginalità rendendo più forte la mano violenta della criminalità».

Queste dinamiche sono diffuse e drammatiche in tutto il Paese, ma per il Mezzogiorno la situazione è ancora più difficile.
«Esatto. Il Mezzogiorno, con i sui gap infrastrutturali, con le sue famiglie monoreddito, intercetta e amplifica tutte le criticità economiche, sanitarie e sociali. E in questa crisi diventa di fatto il fronte avanzato della ripartenza. Riscattare il Sud alla crescita, alla coesione significa da sempre, e in questo momento più che mai, realizzare la migliore politica di sviluppo per il Paese».

È un’indicazione che non ha mai trovato sponda reale nei governi degli ultimi decenni.

«Vero. Dopo tanti anni in cui ha dominato una impostazione antisolidale e divisiva che associava il Sud a palla al piede, è subentrata una fase, per così dire, di buona volontà. Una stagione in cui gli annunci non sono mancati, ma i fatti sì, a causa dei vincoli europei, di una politica litigiosa e di continui rimescolamenti di governo. Oggi si apre un’opportunità storica, probabilmente irripetibile.  Dalla nostra abbiamo due opportunità oserei dire epocali».

Quali?

«La prima: un’Europa che finalmente parla il linguaggio della solidarietà e della coesione: il Recovery Plan guarda al Sud del continente e il nostro Meridione è la punta di lancia di questa sfida comunitaria. La seconda occasione è, finalmente, la “pax politica” che assicura al Parlamento e al Governo una stabilità essenziale per le riforme. L’auspicio è che questa convergenza guardi lontano, non sia solo tattica, e sappia agganciarsi stabilmente alla progettualità sociale, attraverso una vera politica di concertazione che metta al centro la ripartenza delle realtà deboli».  

Poi c’è la Calabria, che tra i deboli è la più debole

«La nostra regione è la quintessenza della questione meridionale, e dunque il distillato di tutte le problematiche nazionali. Lavoro, sanità, infrastrutture, politiche industriali, povertà, legalità. Non c’è voce che non trovi nei nostri territori le ferite più profonde. Sono nodi da sciogliere insieme, all’interno di un “Patto per la Calabria” che muova un pezzo importante del Next Generation Italia sul territorio per sbloccare infrastrutture e investimenti produttivi, politiche sociali e occupazionali, fiscalità di sviluppo e strategie industriali. Vanno riscattate le aree interne, rilanciata portualità e reti viarie, avviato un grande piano per il risanamento idrogeologico. E poi sbloccate le assunzioni pubbliche, stabilizzato il precariato storico, ammodernate scuole, ospedali e pubbliche amministrazioni, che rilanci di diritti di cittadinanza il presidio istituzionale e la guerra ad ogni forma di criminalità e malaffare». 

Possiamo definirla dunque una sfida titanica.

«Oggi, finalmente, siamo in grado di giocarcela: ma dobbiamo farlo insieme, aprendo a una governance che sia davvero partecipata dalle parti sociali, ad ogni livello. Solo così potremo assicurare progetti ben declinati, con impatti economici ed occupazionali vicini alle reali esigenze del territorio. La partecipazione sociale alla implementazione del Recovery è poi essenziale per monitorare l’effettivo avanzamento dei cantieri, tempi certi di realizzazione e buona qualità della spesa. Bisogna estendere il perimetro delle responsabilità e pretendere dalle amministrazioni regionali e locali il massimo della trasparenza, della rapidità decisionale, della competenza. Il Sud è il terreno dove si combatte una battaglia morale ed economica che non possiamo perdere. Il costo sarebbe altissimo, sotto ogni punto di vista. Fallire significherebbe marginalizzare un terzo della popolazione, cristallizzare un’economia perpetua della sopravvivenza e “meridionalizzare” l’intero Paese, condannandolo a bassi tassi di crescita e sviluppo. Questo noi non possiamo permetterlo». (redazione@corrierecal.it)

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