CATANZARO «Questa indagine dimostra ancora una volta come le barriere, gli steccati, i confini, siano un problema nostro, della società civile, degli Stati e delle procedure. Le mafie non hanno procedure da seguire o da rispettare ma sono presenti sempre dove c’è da gestire denaro e potere. Questa indagine dimostra per l’ennesima volta la grande unione tra le principali mafie italiane. Noi abbiamo cercato di sopperire a questo gap dell’osservanza delle regole rispetto alla spregiudicatezza e alla violazione sistematica delle regole da parte delle organizzazioni criminali. Questo è stato possibile perché, quasi contemporaneamente, quattro Procure si sono trovate a indagare sullo stesso tema, cioè quello dei petroli che, secondo quanto rilevato da una nostra intercettazione ambientale, come dice un indagato: “ci sta fruttando più della droga”». Così ha esordito il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri nel corso della conferenza stampa sull’operazione congiunta delle procure di Roma, Napoli, Catanzaro e Reggio Calabria, denominata “Petrolmafie Spa”. «Quattro procuratori hanno deciso di lavorare assieme perché abbiamo lo stesso interesse: quello del risultato, della legalità. L’indagine della Procura di Catanzaro è stata curata dai sostituti procuratori Annamaria Frustaci, Antonio De Bernardo e Andrea Mancuso che sono applicati al territorio di Vibo Valentia. Non è un caso – fa sapere il procuratore Nicola Gratteri – perché questa indagine è la prosecuzione, è un filone di Rinascita-Scott, infatti si chiama “Rinascita-Scott 2” perché contempla uno degli aspetti del riciclaggio operato dalla famiglia Mancuso di Limbadi». L’indagine portata avanti dai carabinieri del Ros ad un certo punto ha avuto bisogno della specializzazione della Guardia di finanza di Catanzaro, coordinata dallo Scico di Roma, visto che si entrava nel tema di accise e petroli.
«Una cosa di questa indagine mi ha colpito – ha detto Gratteri –, ovvero la riunione che nel gennaio 2019 c’è stata a Vibo Valentia nell’osteria Da Roberto. Qui l’imprenditore D’Amico, che ha un grosso deposito di carburanti a Maierato, in quell’occasione ha avuto una riunione con un rappresentante del Kazakistan, della Kmg, la più grande industria estrattiva di gas e petroli. Il rappresentante è sceso con una traduttrice all’aeroporto di Lamezia Terme, accompagnato da due broker, che abbiamo arrestato questa notte a Milano, il cui obbiettivo era quello di fare arrivare petrolio a Vibo Valentia. Dunque – prosegue Gratteri – è stato fatto un pranzo con l’imprenditore D’Amico, Luigi Mancuso, Pasquale Gallone, Gaetano Molino e Antonio Prenesti. Si è discusso di creare una boa nel porto di Vibo Valentia per fare attraccare le petroliere e poi fare arrivare con tubo, nei depositi di D’Amico, il petrolio». Qualcuno ha affermato, tra i commensali, che c’è anche il porto di Gioia Tauro. Ma i Mancuso non erano interessati a quello scalo che li avrebbe costretti a trattare con la ‘ndrangheta di Gioia Tauro che controlla il porto. È stato anche fatto notare che a Maierato ci sono i depositi dell’Eni. «”Non è un problema” ha detto Luigi Mancuso – racconta Gratteri – “io gli faccio ritirare le licenze all’Eni dagli enti locali e così noi utilizzeremo anche le licenze dell’Eni». Questo episodio, spiega il procuratore di Catanzaro, che le mafie non hanno limiti e sono capaci di interagire con chiunque e a qualsiasi livello». Questa operazione si è interrotta nel momento in cui il collettore tra i broker milanesi e i Mancuso, ovvero Antonio Prenesti, è stato arrestato per omicidio e tentato omicidio e questo ha bloccato l’operazione.
«Le mafie, ‘ndrangheta o camorra, indistintamente dalla loro origine, operavano su orizzonti finanziari diversi che non sono più il traffico di stupefacenti ma quello dei petroli, delle frodi fiscali che fino ad ora hanno visto operare solo i colletti bianchi. Dove ci sono i soldi e gli affari le mafie intervengono. Abbiamo trovato i punti di riferimento delle varie cosche», ha detto il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri che ha parlato di «sistemi criminali» nel corso della conferenza stampa dell’operazione “Petrolmafie Spa”. «Il valore aggiunto di questa indagine – ha sottolineato Bombardieri – è il collegamento operativo che gli uffici giudiziari hanno svolto anche grazie al coordinamento della Direzione nazionale antimafia. I colleghi, hanno operato sotto il coordinamento degli aggiunti Gaetano Paci e Giuseppe Lombardo, sono riusciti a ricostruire i piani criminali sui quali operava l’organizzazione che faceva capo a imprenditori calabresi unitamente a soggetti campani. Avevano creato un articolato sistema di cartiere, gestivano sia le false fatturazioni, le operazioni in frode d’Iva e sia la fase del riciclaggio e dell’autoriciclaggio curando nel dettaglio il recupero delle somme sottratte allo Stato. È un’indagine capillare che, ancora una volta, ci dimostra che l’operatività delle mafie è a tutti i livelli. Grazie a questi imprenditori di riferimento delle cosche operavano in Calabria, Campania e Sicilia. Noi abbiamo sequestrato 27 conti bancari tra Bulgaria, Ungheria, Romania, Inghilterra e Croazia. Sono state sequestrate circa 100 società interessate alla frode fiscale e molte delle quali cartiere. Sono stati sequestrati una serie di beni di lusso, anche all’estero, che venivano utilizzati dai soggetti dell’organizzazione. Nel maggio 2019 è stato sequestrato un milione di euro in contatti che l’organizzazione da Napoli stava facendo arrivare ai promotori calabresi. Anche oggi le perquisizioni hanno consentito di avere ulteriore conferma di questa disponibilità economica di questi soggetti».
«Il raggruppamento operativo speciale – ha detto il comandante del Ros generale Pasquale Angelosanto – ha svolto questa indagine che è un rivolo della più ampia Rinascita-Scott». Le attività investigative hanno consentito di individuare tre diverse strutture associative: l’associazione che fa capo alla famiglia Mancuso che dà una elevata capacità intimidatoria a tutti quelli che in qualche modo stabiliscono contatti con l’associazione, come alcuni imprenditori ai quali vengono contestate l’associazione mafiosa e due diverse associazioni per delinquere finalizzate alla commissione di reati di riciclaggio, di intestazione fittizia di beni e commercio clandestino di prodotto petroliferi. Gli imprenditori che si presentavano sotto l’egida della cosca Mancuso avevano una elevatissima capacità contrattuale nei rapporti che stabilivano con altri imprenditori a loro volta ritenuti contigui con altre organizzazioni mafiose operanti in Sicilia, con Cosa Nostra Catanese, con cosche della provincia di Reggio Calabria o appartenenti a clan importanti della camorra. Il punto di partenza delle indagini ha riguardato la posizione di un ex consigliere regionale, Pietro Giamborino, già tratto in arresto nell’operazione Rinascita-Scott e oggi imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. «Il consigliere ci ha portato ad attenzionare la posizione di due imprenditori: i fratelli vibonesi Giuseppe e Antonio D’Amico, interessati, attraverso una società che poi diventa il fulcro attorno alla quale ruotano un po’ tutte le attività illecite: la Adr Service che eredita l’oggetto e i beni della Dmt Petroli, dichiarata fallita». Il suocero di uno dei due imprenditori era stato capo della locale di Piscopio. Altro soggetto di interesse per il Ros diventa Silvana Mancuso, nipote del boss Luigi Mancuso, che gestisce alcuni affari con i due D’Amico assumendosi delle responsabilità notevoli. In una intercettazione Silvana Mancuso parlando con il padre dice: «Io sono uscita dalla pancia di mio padre e appartengo alla parte maschile della famiglia».
L’operazione non andata in porto con il rappresentante del Kmg – spiega Angelosanto – prevedeva anche la distribuzione del carburante in diverse pompe di benzina cosiddette “bianche” ossia senza l’emblema di grandi società, che dovevano essere costituite e avviate nella provincia di Vibo Valentia. Eseguito anche un decreto di sequestro nei confronti di 19 società che si interessano del commercio di prodotti petroliferi, all’edilizia, al movimento terra, alla produzione di calcestruzzi, alla logistica, all’attività immobiliare e alla raccolta di rifiuti speciali.
«A questo sistema di frode – ha detto il generale Alessandro Barbera, comandante dello Scico – hanno attecchito le organizzazioni criminali mafiose in modo utile a poter ottenere dei rilevantissimi profitti illeciti. Siamo riusciti a individuare la cointeressenza di imprenditori legati direttamente alla cosca Piromalli di Gioia Tauro, alla cosca Cataldo della Locride. La criminalità organizzata oggi si è inserita a pieno titolo in questi meccanismi». «Fittiziamente – prosegue il generale –, con certificazioni false, riuscivano a immettere nel circuito legale ingentissimi quantitativi di prodotti petroliferi, ovviamente a dei prezzi concorrenziali, attraverso le cosiddette pompe bianche, perché su questi prodotti non gravava il peso dell’Iva. Sono in corso di esecuzione una serie di sequestri in Italia e all’estero con particolare riferimento alla Grecia, Romania, Ungheria e Malta. Stiamo anche procedendo al sequestro di 64 compendi aziendali per un controvalore di oltre 150milioni di euro. È, inoltre, in atto un sequestro preventivo d’urgenza per sproporzione per un valore di oltre 170 milioni di euro. Numeri che la dicono tutta sulla potenzialità di questa organizzazione e sul livello di incisività che hanno espresso nell’ambito dell’economia del nostro Paese».
«La nostra attività è stata denominata “Andrea Doria” – ha detto Barbera – perché durante una conversazione ambientale un soggetto riferisce di essersi interfacciato con Gioacchino Piromalli il quale gli dice: “L’Andrea Doria non affonda mai e noi siamo l’Andrea Doria e non affondiamo mai”. Questa indagine ha consentito di contraddire il Piromalli perché un affondamento c’è stato grazie a questa incisiva attività investigativa». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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