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L’iniziativa

La montagna da riabitare, il terzo evento del festival delle Erranze e della Filoxenia

«Per la Calabria non l’abbandono programmato dei borghi ma il trasferimento libero dei cittadini nelle montagne del Sud»

Pubblicato il: 14/07/2021 – 13:57
di francesco bevilacqua*
La montagna da riabitare, il terzo evento del festival delle Erranze e della Filoxenia

C’è una cittadina di pianura, a dieci minuti d’auto dal mare, che è l’emblema di quanto sta accadendo in quasi tutto il Sud. Gran parte dei suoi abitanti, ad agosto “migra” verso la costa, come fossero abitanti di Milano o Torino, lontani dal mare centinaia di km. Si trasferiscono nella new town, la città lineare lungo tutta la Ss18 (da Praia a Reggio) ben descritta da Mauro Minervino in un suo libro: caotico alveare ad agosto; cratere post-atomico per il resto dell’anno. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso il mare come luogo di vacanza non esisteva. Si andava in villeggiatura nei piccoli borghi di montagna, al fresco, all’aria buona. Dove le case, rimaste vuote a causa dell’emigrazione vera, te le tiravano dietro per poche lire. Non si consumava suolo con nuove costruzioni. Si riempivano i vuoti, invece, si riabitavano i villaggi, si riabilitavano i luoghi. Poi è venuta la moda del mare. E la gente ha dimenticato la montagna. Eppure nelle montagne dietro casa, non solo c’è tanto da scoprire, ma resistono tanti irriducibili, che hanno deciso di non fuggire, di restare. La cittadina simbolo di cui parlavo all’inizio è Lamezia Terme, ai margini della Piana di Sant’Eufemia, al centro della Calabria. E la montagna dimenticata è quella di uno dei tre ex comuni che la compongono, Sambiase.

Il panorama dal Monte Mancuso

È la montagna che sale soprattutto sulla pendice in destra idrografica del Fiume Bagni, sino ai 1327 metri di quota del Monte Mancuso: una piccola Sila con in più la vista ravvicinata del mare, con la neve sugli alberi, d’inverno, e le Eolie all’orizzonte, con la volta stellata del cielo in alto, e le luci della città in basso. È qui che siamo venuti domenica scorsa, 11 luglio, con il Festival delle Erranze e della Filoxenia, Conflenti Trekking e Dorian. La montagna di Lamezia è costellata di villaggi dai nomi curiosi: Acquafredda, Vallericciarda, Telara, Schieno Vieste, Serra Castagna, Miglierina, Mitoio, Gialitri, Mercuri. Sino a giungere sul versante opposto della valle del Bagni: Acquadauzano, S. Maria, Calosci. Per non parlare delle tante masserie sparse sino a 900 metri di quota. Grumi di case vecchie e nuove, pietre e cemento, legno e alluminio, sterrate e asfalto, buche, tante buche, abbandono, tanto abbandono, disservizi, tanti disservizi … che nessuno conosce, di cui nessuno si occupa, nemmeno gli amministratori locali succedutisi negli anni. Sembra di stare in qualche remota giungla andina, devastata dalla omologazione colturale, dimenticata dal governo. E già che un economista marchigiano, Donato Iacobucci, ha sentenziato, con un editoriale sul “CorriereAdriatico.it” che nelle aree interne lo spopolamento non solo va accettato come ineluttabile ma va persino programmato. Perché – sentenzia il professore – è troppo costoso portare sin lì i servizi. L’idea è svuotare le montagne appenniniche (e, in parte anche quelle alpine); deportare gli abitanti nelle periferie urbane, trasformandoli da contadini in operai e impiegati; riconvertire pian piano le parti più estetiche delle montagne in giostrine adrenaliniche per cittadini stressati. Eppure, nei luoghi che ho descritto la gente continua a viverci, a lavorarci. A costo di andare su e giù ogni giorno, per accompagnare i figli a scuola, sbrigare faccende, fare la spesa. Restano lì, abbarbicati ai forni per il pane, agli orti, ai frutteti, alle galline, ai maiali, alle capre, alle pecore, alla neve che d’inverno imbianca i tetti delle case con vista mare, ai boschi, ai grandi castagni, ai cerri, agli ontani, alle conifere che la forestazione ha impilato sulle pendici, al buio della notte, alle stelle, agli odori, alle albe e ai tramonti, al tempo, allo spazio, al silenzio. Ma tempo, spazio e silenzio non sono forse i nuovi lussi dell’occidente opulento, come dice Thierry Paquot? E allora perché non provare il lusso della lentezza, degli orizzonti e dei panorami, del frusciare del vento tra le fronde, del cinguettio degli uccelli? Abbiamo voluto far osservare, domenica scorsa, 11 luglio, questa strana amnesia topografica, ai 33 partecipanti al terzo evento del Festival delle Erranze e della Filoxenia, che quest’anno ha, per l’appunto, come tema “Civiltà rurali: uniche e plurali”. Al prof. Iacobucci – quello dello spopolamento programmato, proporremo un tour gratuito fra le Terme di Caronte, Conca di San Mazzeo, Timpe di Manca, Pietra U Pispicu, le faggete e le abetine del M. Mancuso, le sacche di resilienza non programmata di Vallericciarda e di Telara. E chissà che osservando dal “balcone” di Acquafredda la Calabria che si distende sino alla Sicilia non decida di creare una nuova teoria economica: non l’abbandono programmato, il trasferimento libero dei cittadini nelle montagne del Sud.

*Avvocato e scrittore

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