«Vi racconto la sanità pubblica che funziona (anche) in Calabria»
La sanità lombarda mi è familiare. L’ho vista e vissuta da vicino, ne ho conosciuto luci e ombre, strutture pubbliche e private, successi e fallimenti. Con comprensibile difficoltà, oggi raccon…

La sanità lombarda mi è familiare. L’ho vista e vissuta da vicino, ne ho conosciuto luci e ombre, strutture pubbliche e private, successi e fallimenti.
Con comprensibile difficoltà, oggi racconto una storia che mi ha riguardato di persona. Non sono abituato a scrivere dei fatti miei, ma ritengo onesto smontare stereotipi e pregiudizi dominanti sul Servizio sanitario calabrese, che pur mantiene quattro problemi gravi, vecchi, ignorati: un regime commissariale ormai inutile, di cui il governo è cosciente e in parte responsabile; l’incertezza cronica sui bilanci delle proprie aziende pubbliche; un’avversione patologica verso la meritocrazia; l’incapacità di riorganizzare le reti assistenziali sulla base delle caratteristiche, delle esigenze dei singoli territori.
I miei si trasferirono in Lombardia per motivi di salute, non era possibile curarli in Calabria. A Bergamo mia madre subì il trapianto di cuore nel 2006, morì nel 2020 (forse con il Covid). Fu seguita con scrupolo, professionalità e attenzione. Nel tempo, però, anche nella modernissima Lombardia i tagli di risorse e personale peggiorarono la qualità dell’assistenza, nonostante i ricavi ottenuti dall’emigrazione meridionale, gli investimenti in specialistica, tecnologia e medicina preventiva. Lì mio padre ebbe accesso, ma con pesante ritardo, a terapie innovative che in Calabria avrebbe ricevuto dopo, secondo il mio giudizio.
I due anni di pandemia hanno segnato nel profondo la sanità lombarda, che dal V-day dello scorso 27 dicembre ha avuto grossi limiti sulle vaccinazioni. Prenotato a febbraio 2021, mio padre, quasi nonagenario, venne vaccinato a maggio, anche per causa del cambio di piattaforma digitale e dell’effettiva mobilitazione dei medici di base della regione Lombardia.
Nei mesi tra le cosiddette «seconda» e «terza ondata», il sistema lombardo si è alquanto bloccato come quello calabrese, con l’aggravante di non avere un commissario ad acta, né un disavanzo da ripianare né la convivenza tra il presidente della Regione e il delegato del governo nazionale.
Dall’estremo Nord al capo opposto dell’Italia, il Covid ha mostrato quanto le mancate assunzioni di sanitari siano state dannose, nonostante “imposte” dalla legge sui turni e i riposi obbligatori, la numero 161/2014, entrata in vigore addirittura nel novembre del 2015. Con l’emergenza Covid, a lungo l’assistenza ordinaria è stata pressoché sospesa, con una drastica diminuzione delle prestazioni, soprattutto in ambito pubblico. Ne hanno pagato le conseguenze in primo luogo gli anziani, tra cui mio padre, rimpallato da medici lombardi, che comunque l’avevano già visitato per una ferita all’orecchio destro, rivelatasi una malattia della pelle.
Come ogni estate, papà è rientrato in Calabria a inizio luglio. Senza esserne al corrente, ho visto subito il “guaio” e ne ho parlato con la commissaria dell’ospedale di Cosenza, dottoressa Isabella Mastrobuono, che ha una particolare operatività; peraltro frutto, a mio avviso, della sua esperienza con i piccoli, maturata all’ospedale romano Bambino Gesù.
In breve: mio padre ha fatto gli accertamenti del caso in appena mezza giornata e, a 7 giorni dalla mia segnalazione, è stato operato dal dottor Ninni Pellegrino e dal resto dell’équipe della dottoressa Simona Loizzo, direttrice della Chirurgia maxillo-facciale dell’ospedale pubblico cosentino. A Cosenza mio padre è stato trattato – pure dalla caposala e dagli altri infermieri – con quella rapidità, competenza e umanità che a mia madre avevano riservato i sanitari dell’ospedale bergamasco Papa Giovanni XXIII. Stesse prassi, dunque, stesso metodo: normale richiesta di assistenza, presa in carico del paziente, comportamento impeccabile dei professionisti locali, che si sono preoccupati a modo di un anziano bisognoso di intervento urgente, in arrivo dalla Lombardia.
Mi è parso utile parteciparvi questa vicenda, che fa riflettere. Non intendo coprire le differenze tra la sanità nostrana e quella del Nord, meta dei viaggi della speranza di tante famiglie calabresi. Dico un’ovvietà: la sanità pubblica la fanno le persone, che non sono tutte uguali. Anche in Calabria c’è chi, calabrese o meno, ha coscienza, prontezza, mestiere, capacità organizzativa. La sanità può funzionare ovunque, se gli addetti ai lavori sono messi nelle condizioni giuste; se il merito è riconosciuto; se si sbloccano le assunzioni; se ciascuno, politico, tecnico, dirigente o giornalista, compie il proprio dovere con responsabilità, indipendenza e senso della professione.