Sembra la politica del “perché a lei si e a me no”. Se così fosse, sarebbe un motivo in più per ritenere difficile che la Calabria possa uscire dalla marginalità nella quale è stata relegata e che nulla potrà cambiare in questa regione affetta da una rara malattia comportamentale, forse persino endemica, della razza calabrese che riesce a farsi male da sola!
È stato sufficiente che Amalia Bruni desse il suo assenso alla candidatura per la Presidenza della Regione Calabria in quota Pd, che da alcune frange dello stesso partito si alzasse il vento della contestazione. Oliverio, il quale ha sempre vissuto di pane e politica all’interno del Partito democratico (forse sin da quando si chiamava Pci), è sceso in campo quasi per rivendicare per sé la candidatura. Lo ha fatto in modo risoluto inserendosi, a gamba tesa, negli avvenimenti risolutivi dell’ultima ora con la cronaca ancora calda che celebrava la solidarietà di Carlo Tansi che ha ritenuto di “portare in dote” le sue liste ad Amalia Bruni. «Mi candiderò e vi dimostrerò di vincere», ha detto, un po’ spocchiosamente, l’ex presidente.
Oliverio è stato il più longevo Presidente della Regione: dal 9 dicembre 2014 al 15 febbraio 2020. In precedenza era stato consigliere regionale e assessore all’Agricoltura, presidente della provincia di Cosenza e sindaco di San Giovanni in Fiore. Per quattro legislatura inoltre è stato eletto deputato. Una carriera politica col Partito democratico, a fronte della quale non ha digerito di essere stato messo da parte, preferendo il Pd Amalia Bruni. Forse avrebbe dovuto considerare che non è pensabile che, in democrazia, la storia di una regione sia scritta sempre e comunque dalla medesima persona.
Mario Oliverio è stato un buon politico e un buon presidente. Ma dopo un ventennio era anche pensabile che guardasse alla politica, anche in Calabria, con gli occhi del buon padre di famiglia. Che si lasciasse ad altri l’onere di gestire la regione secondo schemi moderni, con la mente aperta al futuro e contemplare lo sviluppo della società. Guai ad interpretare la messa in disparte come un fatto personale. “Pánta rheî” dicevano i greci con un’espressione tratta dalla filosofia per indicare che “tutto scorre”. Eraclito descrive il mondo visibile come un flusso perenne in cui tutto scorre esattamente come le acque di un fiume, per dire che non ci si può mai bagnare due volte nella stessa acqua. Ed è opportuno che sia così perché le idee evolvono ed è opportuno che la società ne possa beneficiare.
Conoscendo Mario Oliverio, è facile immaginare che, passato il momento, egli stesso condivida la scelta fatta dalla coalizione di sinistra e comprenda che la Calabria ha il diritto di investire le sue speranze affidandole a nuovi soggetti capaci di guardare oltre i confini e dispendersi per il bene comune che è la principale delle risorse che, purtroppo, manca in questa regione.
Non è stato un caso che Letta abbia inviato Francesco Boccia in Calabria con l’incarico di riportare ordine nel Partito; un compito non facile per il responsabile nazionale degli Enti Locali. Prova ne sia che, mentre si cercava una soluzione, l’alleato 5 Stelle ha chiesto per la Calabria un “patto delle forze progressiste per individuare il candidato ideale tra i personaggi di alto profilo, espressione delle migliori energie della società civile”. Si è discusso a lungo. C’erano da valutare le esigenze dei 5 Stelle, di Articolo uno, del Partito Socialista, dei Verdi, dei Repubblicani, di Calabria Civica, di “Io resto in Calabria”, del “Centro Democratico e di “A testa alta” e farne una sintesi. È stato un confronto serrato tra l’intero arco di centrosinistra calabrese che, alla fine, all’unanimità ha accolto l’indicazione di Boccia ed ha scelto la scienziata di Lamezia Terme, Amalia Bruni, autorevole figura della società civile, come candidata alla presidenza della Regione Calabria.
*giornalista
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