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REGIONALI 2021

«Non saranno gli spot a cambiare la Calabria»

Domenica e lunedì prossimi in Calabria si voterà per il rinnovo del presidente e del Consiglio regionali. La campagna elettorale è stata breve e mediatica, con poco ragionamento sui programmi e retor…

Pubblicato il: 28/09/2021 – 15:54
di Emiliano Morrone*
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«Non saranno gli spot a cambiare la Calabria»

Domenica e lunedì prossimi in Calabria si voterà per il rinnovo del presidente e del Consiglio regionali. La campagna elettorale è stata breve e mediatica, con poco ragionamento sui programmi e retorica soverchia; nelle iniziative, nelle immagini, nelle parole. 
Mi sembra che i problemi principali siano stati trattati con la rapidità degli spot commerciali, a partire dallo stato di salute del Servizio sanitario calabrese. Con distacco e affanno, vari candidati hanno riportato delle cifre a riguardo: dalla caduta dei Lea a 125 punti, ai 250 milioni parcheggiati (e controversi) per l’emergenza pandemica. Ciò come se fossimo di fronte ad una novità del momento e non sapessimo che negli ospedali mancano migliaia di professionisti; che i turni del personale sono spesso fuori norma; che l’assistenza territoriale è a terra; che i poveri sono abbandonati al loro destino; che in Calabria il privato va prevalendo sul pubblico, anche per via di risapute ingerenze e responsabilità politiche; che gli anziani e non poche donne sono in serie condizioni di rischio; che la prevenzione è quasi inesistente; che l’emigrazione sanitaria ci costa più di 300 milioni all’anno; che i servizi sanitari e quelli sociali camminano in parallelo e integrarli pare un’impresa; che il 118 resta privo di medici e parecchi reparti funzionano male per causa di riorganizzazioni lampo, indotte dall’aumento dei casi Covid. 
Malgrado questo caos permanente, la rete ospedaliera ordinaria è ferma al 2016. I commissari governativi subentrati a Massimo Scura e Andrea Urbani, allora delegati al Rientro, non hanno ritenuto di modificarla. «Così è, se vi pare», nonostante i motivi urgenti per adattarla ai bisogni delle singole aree della Calabria, anche imparando la lezione del virus. I super-commissari della prima e seconda «legge Calabria» sono stati impegnati in riunioni, vertici e chiarimenti istituzionali; troppo per rispondere alle istanze dei territori respingendo le linee puramente teoriche dell’Agenas, che continua a imporre rotta e timonieri reali; troppo per sciogliere in tempi normali il nodo dei bilanci pendenti o falsati; troppo per ottenere l’approvazione del Programma operativo, magari adeguato; troppo per definire insieme ai commissari aziendali il quadro preciso sulle risorse e sulle spese, non solo quelle destinate alla cura dei pazienti Covid, e sui fabbisogni di personale. 
Così, a pochi giorni dalle Regionali – e a prescindere dalla rimodulazione del commissariamento, proiettata in astratto da tutti i candidati alla Presidenza – rimane aperto un interrogativo: di là da colori e posizionamenti delle parti, come i diversi candidati pensano che la sanità possa ritornare (a posto) nelle mani della Regione, dopo 11 anni di ingiustificabile gestione governativa, che non ha garantito la chiarezza dei conti e, per citare il dettato costituzionale, «la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», e in primo luogo della salute? 
Questo punto è cruciale quanto eluso dalla politica. Gli esperti invitano, a ragione, a considerare le risorse aggiuntive previste dal comma 5 dell’articolo 119 della Costituzione. È una costante del giurista Ettore Jorio, che peraltro aveva avvertito il Parlamento delle conseguenze nefaste dei due decreti Calabria, poi convertiti con scarso ascolto dei pareri tecnici. Nel capitolo delle risorse (in)disponibili rientra anche l’irrisolto del criterio vigente di ripartizione del Fondo sanitario, che penalizza le regioni del Sud, in cui risiedono più giovani, a prescindere dai dati epidemiologici e dalla relativa, maggiore spesa per farmaci e prestazioni sanitarie. Una questione che, insistono i medici di famiglia dell’associazione catanzarese MediAss, vale -150 milioni all’anno di trasferimenti statali: cifra enorme, pari al costo di un ospedale di medie dimensioni.
Ne ho lette e viste abbastanza, nelle ultime settimane. Qualche candidato è persuaso che basti cambiare il nome delle strutture amministrative per migliorare la prontezza, la trasparenza e l’affidabilità degli uffici regionali. Altri, fuori dalla competizione elettorale, agita le piazze e gli istinti di delusi e scontenti ad oltranza, che non vanno oltre lo sfogo meccanico sui social, che più volentieri vivono nella parallela dimensione virtuale, in cui lo spazio e il tempo tendono a coincidere, la proposta è una bestemmia e viceversa. C’è pure chi, avvezzo all’autocelebrazione, si dipinge come eroe rivoluzionario, salvatore della patria e nemico giurato del sistema, ma non offre all’elettorato analisi di profondità e soluzioni concrete; intanto rispetto alla crisi senza precedenti del Servizio sanitario regionale, che va affrontata con radicalità, dimenticando il ricorrente atteggiamento, politico, da questuante con il cappello in mano.
Temo che stiamo molto sottovalutando il contesto, tanto sul piano culturale quanto sul piano politico. Senza confronto e dialettica su errori e contenuti, la Calabria rimarrà terra di confine. Non vedo premesse incoraggianti. E non penso che gli sforzi di chi legge e racconta i fatti politici riescano a cambiare la mentalità dominante. Almeno nel breve periodo. 

*giornalista

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