COSENZA «Rivolgo il mio appello alla comunità che era presente, a chi sa e non ha e non ha avuto il coraggio di denunciare nonostante abbia visto». È un racconto terribile e drammatico quello di Adele Sammarro, madre di Emanuele, 14enne studente del liceo scientifico, massacrato e preso a pugni nel cortile della scuola il 4 ottobre a Cosenza.
Il giovane, così come ricostruito con commozione dalla mamma ospite degli studi di “Buongiorno regione” sui Rai3, aveva appena varcato la soglia della scuola, attorno alle 14, con il padre poco distante. Una volta superato il cancello, però, è stato aggredito brutalmente con un pugno che lo ha colpito in volto procurando gravissime lesioni. Ma, rispetto all’episodio drammatico, è altrettanto terribile come nessuno abbia denunciato nonostante abbia visto tutto. «La cosa più triste – ricorda la mamma – è che all’uscita della scuola c’erano tanti compagni, gli insegnanti, e nessuno è intervenuto». «Qualcuno avrebbe potuto allertare le forze dell’ordine e questo non è successo. Il volto di mio figlio era terrificante, tumefatto, con il sangue che solo il giorno dopo ha smesso di fuoriuscire dalla ferita». E per fortuna i soccorsi del personale sanitario sono intervenuti in tempo.
«Ora Emanuele è turbato, impaurito, proprio come qualunque ragazzo della sua età dopo aver subito una violenza del genere. Chi osserva le immagini di mio figlio si capisce quanto sia stata violenta l’aggressione e solo grazie alla presenza di un ragazzo che ha attutito la caduta mio figlio non ha battuto la testa contro il muretto o per terra». «Siamo in presenza di un tentato omicidio, il fatto non può essere sottaciuto, è gravissimo, non può esserci superficialità e tutta la comunità deve essere sensibilizzata sul tema. Abbiamo l’obbligo di educare i giovani e abituarli alla cultura della denuncia».
Fondamentale sarà l’attività investigativa dei Carabinieri e in particolare quella del Nucleo Radiomobile di Cosenza, guidato dal comandante Matteo Di Stefano, anche lui ospite in studio. È stato proprio Di Stefano a ricordare quanto sia importante affrontare seriamente la tematica del bullismo: «Assume maggiore rilevanza se fatto in gruppo, senza lasciare da sola la vittima. E la componente importante, oltre alla famiglia, è senza dubbio la scuola. In questo caso le conseguenze sono subito chiare ma il bullismo spesso viene protratto con offese, insulti, provocazioni continue e scherzi fastidiosi ed è importante mantenere un dialogo costante con i docenti e la famiglia». Per il comandante affrontare questi episodi di bullismo «la situazione migliore è quando la vittima si trova in compagnia perché molto spesso il bullo non è solo. La reazione fisica non è quello da consigliare ma cercare il dialogo, allontanarsi e raccontare l’episodio ai familiari e al tempo stesso – in casi particolarmente violenti – rappresentare tutto all’Arma». Ora le indagini sono in corso e la risoluzione del caso non è molto lontana. «Vogliamo dare un segnale forte a chi ha aggredito, ma soprattutto un segnale di vicinanza a chi ha subito la violenza».
Un momento, dunque, drammatico per il giovane Emanuele e tutta la famiglia che lo sta sostenendo. «Penso al dolore di mio figlio e alle cicatrici nell’anima che gli resteranno a lungo ed è molto triste – sottolinea ancora la mamma – per un giovane che era felice di andare a scuola, di studiare e vivere la socialità con i compagni in classe». E poi il messaggio: «All’aggressore dico di costituirsi, con coraggio e dire “sono stato io”. Il gesto è stato efferato, Emanuele poteva morire». (Gi.Cu.)
x
x