REGGIO CALABRIA Il Covid ha rallentato anche la destinazione dei beni confiscati. In Calabria, nel corso del 2020, sono stati inglobati dall’Agenzia nazionale soltanto 16 immobili e altrettanti sono stati trasferiti agli enti territoriali. Numeri in calo a causa della pandemia. La relazione dell’Ansbc (Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) calcola in 2.844 i beni sottratti in Calabria alla ‘ndrangheta, numero che posiziona la regione al secondo posto dietro la Sicilia (7.193) e davanti a Campania (2.825) e Puglia (1.618). Dal quinto posto in giù compaiono regioni del Nord (vedi tabella sotto), a riprova di infiltrazioni mafiose crescenti.
Di questi 2844 beni, solo 164 sono stati venduti; per 1.115 è stato deciso il mantenimento al patrimonio dello Stato. Altri numeri: l’81% dei beni è andato agli Enti territoriali, il 13% è rimasto nell’orbita del patrimonio dello Stato per il soddisfacimento di esigenze delle Amministrazioni centrali mentre il 4% è stato venduto e il 2% reintegrato nel patrimonio di società confiscate.
Sono i Comuni i maggiori destinatari dei cespiti, con lo scopo di riutilizzarli a fini sociali. Reggio Calabria è la seconda amministrazione d’Italia (dopo Palermo) per numero di immobili destinati di beni confiscati alla criminalità organizzata. Sono 354, mentre nel capoluogo siciliano sono 1.512.
«Al netto delle dinamiche afferenti il processo destinatorio, che almeno nella serie storica condizionano l’evoluzione del dato, si conferma, in primo luogo, seppur con significative variazioni percentuali, la distribuzione territoriale già evidenziata per i beni destinati – si legge nella relazione –. La Sicilia, in particolare, si conferma capolista ma scende dal 40,5% dei beni dislocati nel suo territorio al 32,23%, mentre la Campania sale dal terzo al secondo posto per numero totale di cespiti, scavalcando la Calabria.
L’Emilia Romagna, che nell’ultimo decennio ha visti destinati circa 150 beni, attualmente denota un sostanziale incremento, considerato che i beni in gestione sono oltre 600, a testimonianza della diffusione degli interessi della criminalità organizzata anche nei territori del Nord Italia, un tempo non particolarmente interessati dal fenomeno».
Uno dei nodi della confisca è sempre stato la gestione delle aziende, spesso destinate a scomparire dopo essere state sottratte alle mafie. «Sul punto – è il passaggio dedicato alla questione nel report – va evidenziato come il numero delle aziende destinate alla vendita (rispetto alle altre tipologie di destinazione) sia sintomatico di un’inversione di tendenza, frutto del miglioramento conseguito nell’amministrazione delle aziende in fase giudiziaria. Infatti, anche grazie agli interventi messi in campo dalla recente riforma del Codice Antimafia, si assiste sempre più al mantenimento in vita delle aziende che al momento del sequestro dimostrano potenzialità di business». L’Agenzia ha avviato un censimento delle aziende attive sul mercato: «In tale categoria rientrano esclusivamente quelle aziende amministrate dall’Anbsc che nell’anno in esame hanno effettivamente scambiato beni e servizi con terzi in condizioni di equilibrio economico e finanziario al fine di generare utili. Dall’analisi sono state rilevate circa 150 aziende operanti nel settore dei servizi (30%), delle costruzioni (20%) e del commercio (11%). Interessante è notare come tali aziende sono ubicate principalmente in Campania (28%), Sicilia (26%), Lazio (22%) e Calabria (13%)».
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