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la confessione

Il pentito De Rose “tradito” da Noblea: «Mi ha calunniato»

Il collaboratore di giustizia testimonia al processo “Agenti infedeli” e cita un episodio legato ad un altro pentito. «Ha detto una menzogna»

Pubblicato il: 29/10/2021 – 19:27
di Fabio Benincasa
Il pentito De Rose “tradito” da Noblea: «Mi ha calunniato»

COSENZA «Francesco Noblea era stato fermato con della droga e ha confessato alle forze dell’ordine che ci eravamo visti e che da me avrebbero trovato lo stupefacente. Sono venuti a perquisire la mia abitazione e non hanno trovato nulla». A parlare è Vincenzo De Rose, collaboratore di giustizia chiamato a testimoniare nel processo sui presunti “agenti infedeli” al carcere di Cosenza. Nel corso della sua testimonianza, il pentito ha citato «la menzogna» dell’amico collaboratore Francesco Noblea, con cui «ci conosciamo da tanti anni». «Non ho capito perché mi ha calunniato», ha sostenuto De Rose dinanzi al Tribunale di Cosenza, sollecitato anche dalle domande del Collegio giudicante. E’ questa, senza dubbio, la notizia più rilevante dell’odierna udienza, scivolata via in poche ore con l’escussione di altri due collaboratori di giustizia: Franco Bruzzese e Luciano Impieri.

La versione di Bruzzese

Esperto in rapine e assalto di furgoni portavalori, Franco Bruzzese reggente dal 2011 della cosca Rango-Zingari ha raccontato (collegato in videoconferenza) quanto a sua conoscenza in merito ai presunti favori elargiti da alcuni agenti di polizia penitenziaria in servizio nel carcere bruzio. Bruzzese è entrato e uscito dall’istituto penitenziario di Cosenza, prima detenuto dal 1986 al 1989, poi dal 2009 al 2010 e infine dal 2012 «per qualche settimana». Nel 2013 – racconta – «c’era una guardia di nome Luigi (il riferimento è a Luigi Frassanito imputato nel processo), che faceva entrare whisky e alcolici, a cui affidavamo ‘mbasciate e praticava usura». Secondo Bruzzese, «le bottiglie con gli alcolici le dava ad un altro detenuto della media sicurezza che lavorava in cucina e poi arrivavano a noi. Era quotidiano l’ingresso in carcere di bevande proibite e ne usufruivano tanti detenuti». Sulla presunta attività di usura della “guardia” Luigi, invece, Bruzzese riferisce di aver saputo da altri che «prestava soldi». Il collaboratore di giustizia ha confermato anche l’assoluta facilità con cui alcuni detenuti, compreso lui, riuscissero a comunicare con l’esterno. «Ho parlato con Rango, Patitucci, Lamanna, Impieri, Adolfo Foggetti, e i “Banana”. Una volta sono venuti in sette o otto sotto la finestra». Con Giovanni Porco, altro agente della penitenziaria imputato nel processo, Bruzzese dice di non aver mai intrattenuto rapporti.

Gli agenti «Porco Porco» e «Penna Bianca»

Vincenzo De Rose rimane nel carcere di Cosenza dal 2010 al 2012. «Avevamo agganci con le guardie», sostiene subito il pentito. Che cita i nomi, anzi i soprannomi di due agenti penitenziari: «Porco Porco» e «Penna Bianca». Il primo è affibbiato a Giovanni Porco che – secondo il collaboratore – «faceva entrare whisky e cocaina. Porco veniva pagato, gli è stata regalata anche una macchina per la figlia, mi pare fosse una Fiat Panda». Sulla cifra incassata per i presunti favori, De Rose parla di donazioni «da 50 e 100 euro per volta». Per quanto riguarda “Penna Bianca”, il pentito ritiene abbia facilitato l’ingresso in carcere di droga e alcolici. «Una volta la cocaina l’ho presa io stesso», precisa De Rose. Su Luigi Frassanito, invece, «sapevo da altri detenuti che faceva favori e portava ‘mbasciate dentro e fuori dal carcere». «Io non ne ho mai chiesti». L’avvocato di Giovanni Porco, Cristian Cristiano contesta le dichiarazioni rese dal collaboratore, citando alcuni verbali di interrogatori (che saranno acquisiti) in cui lo stesso non ha citato episodi relativi l’ingresso di droga o il pagamento di denaro ricevuto dal suo cliente per favori elargiti». Sul ruolo di “Penna Bianca”, interviene l’avvocato Francesco Boccia che chiede chiarimenti al teste in merito alle dichiarazioni rese sull’ingresso di sostanze stupefacenti in carcere. De Rose preciserà di essere venuto a conoscenza di questo fatto da altri detenuti.

«Il carcere di Cosenza? Un hotel a 5 stelle»

«Il carcere di Cosenza era un hotel a 5 stelle», lo ripete più volte – nel corso della sua testimonianza – il collaboratore di giustizia Luciano Impieri. Il riferimento è al regime carcerario meno gravoso del previsto per alcuni detenuti del penitenziario bruzio. Impieri resta in cella dal 2009 al 2010 e dal 2014 fino al 2015. Pochi anni, ma abbastanza per venire a conoscenza dei presunti “favori” concessi dalle guardie. «Luigi Frassanito l’ho conosciuto nel 2009, me l’ha presentato Maurizio Rango dicendomi che era un amico». Con Frassanito, Impieri discuterà animatamente e arriverà anche a minacciarlo, spingendo l’agente di Polizia Penitenziaria a denunciarlo. Al termine del processo, Impieri verrà condannato. «A me Luigi non ha fatto favori, sapevo che portava alcolici in carcere». Secondo Impieri, «girava con migliaia di euro in tasca, mi dicevano facesse usura, se ne parlava». Da Giovanni Porco, Impieri non ha ricevuto mai nessun “aiuto” ma anche in questo caso precisa: «era a disposizione, si prestava, non era ligio al dovere. Ne parlavano alcuni detenuti come Maurizio Rango e Franco Bruzzese. Gli strappavano addirittura i gradi dalla divisa, non mi pare un atteggiamento normale», conclude il pentito. “Penna Bianca” era «un altro che ci faceva stare ai finestroni, il carcere di Cosenza era un hotel a 5 stelle».

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