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Siti contaminati, in Calabria le bonifiche restano al palo

Su 221 aree oggetto di procedimento di bonifica nessun iter risulta ancora completato. Nonostante i progetti approvati. Straface: «Sui ritardi pesa l’assenza di strategia»

Pubblicato il: 19/03/2022 – 7:00
di Roberto De Santo
Siti contaminati, in Calabria le bonifiche restano al palo

COSENZA Procedure lente e farraginose. Poco personale e risorse che stentano ad essere utilizzate. Così il sistema per individuare, caratterizzare e poi procedere alle bonifiche dei siti contaminati si trasforma in un vero e proprio labirinto che spesso lascia ancora in circolazione agenti contaminanti capaci di compromettere la qualità dell’aria, dei terreni e delle acque. Con ripercussioni sulla salute umana. Proprio per questo la gestione dei siti contaminati rimane uno dei maggiori problemi ambientali per i Paesi europei. Una denuncia che arriva anche dalla European environment agency che in un recente report segnala i rischi elevati per le popolazioni. Secondo quel rapporto in Europa ci sono oltre 2,8 milioni di siti potenzialmente contaminati. Circa il 14% di questi siti ci si aspetta che necessitino di essere bonificati.
Un quadro che è ancora più complesso in Italia dove i dati sulle aree contaminate relativi a procedimenti regionali – dunque restano esclusi quelli che riguardano i Siti d’interesse nazionale (Sin) – restituiscono una situazione con molte zone d’ombra.
Dal rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), emerge che la superficie interessata dai procedimenti di bonifica è nota solo per una parte di essi (67%). In particolare queste aree sono pari a 66.561 ettari (666 kmq) e rappresenta lo 0,22 % dell’intera superficie del territorio italiano.
Sempre secondo il rapporto “Lo stato delle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i dati regionali”, alla data del 2020 di questi, 37.816 ettari sono relativi a procedimenti in corso e 28.745 ettari sono relativi a procedimenti conclusi. Complessivamente i siti oggetto di procedimenti di bonifica in Italia sono 34.478 di cui 17.862 con iter concluso, 16.265 con procedura in itinere e 352 di cui non si conosce completamente lo stato.
Da quanto rilevano i tecnici dell’Ispra, gran parte dei procedimenti in corso resta ancora nella fase larvale: cioè quella della notifica. A dimostrazione della lentezza delle procedure. Ed ancor più grave la circostanza che su 4.690 siti considerati contaminati in Italia in un terzo non è stato ancora avviato alcun intervento. Una situazione non dissimile da quella calabrese con qualche distinguo anche in termini peggiorativi.

I dati calabresi

Fonte: Ispra

Dai dati del rapporto Ispra, in Calabria risultano 221 siti oggetto di procedimento di bonifica di cui 114 con un iter in corso e la restante parte (107) con la procedura conclusa. Secondo il report, inoltre alla data del 2020 (ultimo dato disponibile), sul territorio calabrese insisterebbero 56 siti contaminati che rappresentano circa la metà (esattamente il 49%) delle aree soggette a procedura di valutazione in corso. Al di sopra della media nazionale ferma al 29%. Per 34 di questi inoltre è stato approvato il progetto di bonifica, ma nonostante ciò restano ancora al palo. Infatti leggendo il rapporto dell’Ispra per nessuna di queste procedure risulta ancora conclusa la bonifica.
Per sedici è stata approvato il progetto di analisi del rischio e per sei non c’è ancora alcuna indicazione.
Sempre leggendo il rapporto dell’Ispra, si comprende come 38 siti siano da considerarsi potenzialmente contaminati. Un dato che si trasforma nel 33% del totale dei procedimenti in corso.

Fonte: Ispra

Per quanto riguarda i dieci comuni in Calabria dove insistono siti contaminati risulta in testa Cosenza, con 5 aree per le quali sono in corso le operazioni di bonifica. Segue Lamezia Terme con 4, di cui solo una in corso di bonifica, poi a pari numero (2 siti contaminati) ci sono Pizzo, Vibo Valentia, Catanzaro e Careri. Infine Amantea e Bianchi, entrambi in provincia di Cosenza in cui sono presenti due aree contaminate in cui l’attività di bonifica è in corso. A caratterizzare questi siti come anche gli altri calabresi, appunto, la mancata conclusione della bonifica. Come a suggellare l’incapacità di concludere in tempi certi e rapidi un iter che qualche volta è iniziato anche oltre venti anni addietro.

Straface: «Sui ritardi pesa l’assenza di strategia»

L’incapacità di concludere nemmeno un progetto di bonifica in Calabria «è un dato che dovrebbe far riflettere».È diretto Salvatore Straface, ordinario di Idraulica del dipartimento di Ingegneria per l’Ambiente dell’Università della Calabria nonché coordinatore del Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e la Sicurezza del Territorio. Secondo il docente – che è delegato del Rettore per le relazioni internazionali con l’Ecuador ed è responsabile del progetto Horizon 2020 – Marie Sklodowska-Curie Actions “Renewable Energies for Water Treatment and Reuse in Mining Industries” (Remind) – l’iter diviene particolarmente lungo in Calabria anche per «carenze di personale degli enti» e di adeguate risorse economiche a cui si sommano procedure complesse previste dalle norme in materia.
Straface – che è anche professore associato presso l’Istituto di Scienze e Tecnologie dell’Informazione (Cnr-Isti) di Pisa e presso l’Istituto di metodologie di analisi ambientale del Centro italiano ricerche (Cnr-Imaa) di Potenza – sottolinea inoltre che «l’ostacolo principale alla bonifica è l’assenza di un progetto di sviluppo sull’area da bonificare».

Salvatore Straface, coordinatore del Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e la Sicurezza del Territorio dell’Unical

Professore come è messa la Calabria sul fronte delle bonifiche dei siti contaminati?
«Premetto che la nostra regione è sostanzialmente in linea con le performance delle altre regioni italiane, vi sono ambiti in cui è cenerentola e altri in cui è eccellenza.A quest’ultimo proposito ricordo che la Regione Calabria è l’unica in Italia ad essersi dotata di un software (GuEstNBL) in grado di semplificare e automatizzare i diversi processi di calcolo e di stima previsti dall’iter procedurale contenuto nelle linee guida stilate dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale per la valutazione del Valore di fondo naturale degli acquiferi contaminati. Sebbene abbia questa eccellenza e che abbia una percentuale di progetti approvati superiore alla media, resta tra quelle poche regioni a non avere neppure un sito il cui procedimento di bonifica sia concluso. È un dato che ci deve far riflettere sul perché e su come risolvere il problema».

Fonte: Ispra

Perché l’iter per individuare e poi avviare la bonifica delle aree in Calabria è così lungo? Cosa fare per accelerare queste procedure?
«È il d.lgs. N. 152/2006 – Testo Unico Ambientale – a definirne l’iter procedurale, dalla individuazione del sito contaminato fino al rilascio al suo uso precedente. Tale iter ha delle procedure complesse volte, da una parte, a rendere possibile la bonifica dei siti contaminati, e garantire la salute dei cittadini esposti potenzialmente a sorgenti di contaminazione dall’altra. In particolare, l’approvazione del Piano di caratterizzazione, dell’Analisi di rischio sanitario ambientale e dei Progetti di bonifica, preliminare e definitivo, avviene in Conferenza di servizio, ovvero una riunione a cui partecipano tutti gli enti e i soggetti coinvolti nel procedimento. Se si considera che ogni conferenza di Servizio va istruita e che gli atti istruttori inviati ai partecipanti alla Conferenza devono essere da questi ultimi analizzati, si capisce che i tempi dell’iter procedurale non possono essere brevi. Diventano però molto lunghi quando a questi obblighi di legge si aggiungono carenze di personale degli enti, specie di quelli comunali dove a volte non hanno neanche un ufficio tecnico, immaginarsi un esperto di siti contaminati».

Fonte: Ispra

Spesso in Calabria il tema dei siti contaminati si interseca con quello dei siti di ex discariche di rifiuti. È dunque frutto di una cattiva gestione del ciclo dei rifiuti?
«La causa di tale fenomeno, non solo calabrese, deve essere ricercata in un vuoto legislativo a cavallo fra gli anni 80 e 90. Solo nel 1997 l’Italia, con il Decreto “Ronchi”, scelse di anticipare, non senza difficoltà, gli indirizzi europei sulla gestione dei rifiuti, assegnando una netta priorità al riciclo rispetto al largamente prevalente smaltimento in discarica e all’incenerimento di massa. Tuttavia con lo stesso decreto si è previsto “eccezione” che è divenuta regola. Visto che l’art. 13 introduceva la possibilità “qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente” per il Presidente della giunta regionale o il Presidente della Provincia ovvero il Sindaco di emettere ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche “in deroga alle disposizioni vigenti”. E, cosa che determinò l’abbancamento incontrollato di rifiuti per urgente necessità, non era fatto divieto reiterare il decreto più volte (successivamente si modificò l’articolo impedendo di reiterare il provvedimento per più di due volte). Fu così cha alla fine degli anni Novanta, in Calabria furono censiti circa 20 milioni di metri cubi di rifiuti solidi urbani abbancati in maniera non controllata ma “autorizzata” su un’area complessiva di 4 milioni di metri quadrati, metà di queste nella sola provincia di Cosenza.  Per fortuna il Decreto ministeriale 471/99 pose fine a questa pratica e successivamente i rifiuti solidi urbani abbancati si sono drasticamente ridotti essendo de facto vietati».

Fonte: Ispra

Quali sono i principali ostacoli alla bonifica o messa in sicurezza delle aree contaminate in Calabria?
«Una motivazione che spesso viene addotta come principale ostacolo alla bonifica dei siti inquinati in Calabria, è quella economica: i costi della bonifica sono troppo elevati e le tecniche applicabili hanno costi non sopportabili dai proprietari dei siti.Tuttavia, a mio parere, l’ostacolo principale alla bonifica è l’assenza di un progetto di sviluppo sull’area da bonificare. Se si analizzano ad esempio i punti vendita carburanti – non considerati nel rapporto Ispra perché soggetti a procedure semplificate – si vede facilmente che i siti bonificati, o in fase di ultimazione della bonifica, sono per la maggior parte progetti di revamping, mentre pochissimi sono quelli dismessi; nel primo caso i costi di bonifica sono giustificati da un piano economico che punta sulle attività future dell’impianto. Ciò penalizza quei territori, come la Calabria, dove i siti contaminati appartengono prevalentemente ad aree dismesse (i.e., l’ex area industriale di Crotone, abbancamenti di rifiuti non controllati, Laboratorio BP di Siderno, PVC dismessi, etc …) per le quali l’assenza di una strategia di sviluppo rende le passività ambientali, prodotte dalla contaminazione, eccessive rispetto all’investimento richiesto dalla bonifica».

Perché è così importante recuperare un territorio contaminato?
«La bonifica o la tutela dei terreni comporta il riavvio della biodiversità, il consolidamento comunitario, la creazione di un surplus agricolo da reinvestire nel manifatturiero, empowerment locale, familiare e femminile, l’ancoraggio alle comunità d’origine e un freno alle spinte migratorie, stili di vita e dimensioni di dignità umana che disinnescano i fanatismi; nobilitazione, trasmissione generazionale, e spinta all’ammodernamento dei saperi tradizionali e identitari; etc…».

A questo proposito qual è lo stato dell’arte del più grande sito inquinato calabrese legato all’ex Pertusola?
«Il caso della Pertusola, o per meglio dire del Sito di interesse nazionale “Crotone-Cassano-Cerchiara” in essa ricade, è un caso emblematico. Il sito di “Crotone-Cassano-Cerchiara” è stato incluso nell’elenco dei siti di bonifica d’interesse nazionale (Sin) con decreto ministeriale 468 del 18 settembre 2001, con perimetrazione definita dal decreto ministeriale del 26 novembre 2002, con l’obiettivo di sottoporre ad attività di bonifica le aree industriali dismesse, della fascia costiera, e del relativo specchio di mare, contaminata da smaltimento abusivo di rifiuti industriali e di discariche abusive. Il Sin coinvolge 884 ettari di terreno e 1448 ettari di mare (dati Ada-Ispra). Fanno parte del sito le tre aree industriali dismesse attualmente di proprietà Eni Rewind (ex Pertusola e sua ex discarica Armeria, ex Fosfotec e sua ex discarica Farina Trappeto, area ex ENI Agricoltura), ex Sasol, la discarica Tufolo-Farina, la fascia marina costiera e l’area archeologica, lungo la Statale 106 Jonica. La contaminazione di tale area ha un’origine ben precisa, il 14 ottobre 1996, il giorno in cui a seguito di fortissime precipitazioni i torrenti Esaro e Passovecchio strariparono e le loro acque sparsero sul terreno milioni di metri cubi di rifiuti stoccati nelle aree industriali determinando la contaminazione del terreno superficiale e della falda sottostante.  L’Università della Calabria, insieme al Cnr, nell’ambito del progetto Cisas (Centro Internazionale di Studi Avanzati su ambiente ecosistema e Salute umana) ha sviluppato un modello numerico di trasporto di contaminanti in falda da cui si evince che il sottosuolo è ancora “ricco” di metalli pesanti. La persistenza dei metalli pesanti nei terreni è dovuta ad una cinetica di desorbimento così lenta da sembrare “quasi” irreversibile. Tale condizione sembra richiedere decine di anni prima che la falda possa ritornare allo stato di qualità pre-alluvione. Diversi sono stati i progetti di bonifica proposti per il Sin ed ancora oggi – a distanza di quasi 30 anni – i lavori non sono ancora iniziati.  In quest’ottica, il tema della bonifica dell’ex area industriale rappresenta un nodo strategico, soprattutto in funzione della scelta relativa alla nuova destinazione da assegnare al sito recuperato, che rappresenterà certamente un elemento determinante nella definizione della nuova immagine territoriale. Le politiche di riqualificazione urbana e di rigenerazione territoriale assumono un ruolo centrale per il raggiungimento degli obiettivi di qualità fisica, spaziale, sociale, ambientale e paesaggistica. Numerose sono le tematiche ancora aperte (il riuso strategico dei suoli dell’area industriale dismessa, la valorizzazione dell’Antica Króton, la riqualificazione dei centri storici, la localizzazione dei servizi di rilievo territoriale, la rigenerazione ambientale). Il progetto di bonifica, e quindi la tecnica con cui eliminare il rischio sanitario ambientale per la popolazione, richiede un percorso condiviso e partecipato che possa condurre alla sottoscrizione di un patto per lo sviluppo, attraverso la definizione ed il coordinamento generale degli obiettivi alla scala dell’intero comprensorio crotonese. Fino a quando non si avrà un approccio integrato ed inclusivo la strada della bonifica del Sin Crotone-Cassano-Cerchiara rimarrà in salita».

In tema di gestione del territorio, le risorse del Pnrr potrebbero essere un valido strumento per avviare una corretta riqualificazione dei siti contaminati. Quali le priorità in Calabria?
«L’Italia ha recepito all’interno del Pnrr i 17 Goals lanciati dalle Nazioni Unite, seguendo l’esempio della Commissione Europea che ne ha fatto gli assi portanti dell’Agenda 2030. Fra le varie misure che possiamo individuare nel Pnrr, quello che riguarda la bonifica dei siti contaminati è la misura (M2C4) “Tutela del territorio e della risorsa idrica” con un impegno di spesa complessiva di 15,4 Miliardi di Euro. In particolare, vi è una sotto-misura che riguarda la bonifica dei siti orfani, ovvero quei siti che l’inquinamento industriale ha lasciato in eredità e che rappresentano un rischio significativo per la salute, con severe implicazioni sulla qualità della vita delle popolazioni interessate. Queste aree, se riqualificate, possono rappresentare una risorsa per lo sviluppo economico, in quanto siti alternativi rispetto alle zone verdi, il cui utilizzo consentirebbe di preservare capitale naturale e ridurre gli impatti sulla biodiversità. L’obiettivo di questo intervento è dare al terreno un secondo uso, favorendo il suo reinserimento nel mercato immobiliare, riducendo l’impatto ambientale e promuovendo l’economia circolare. Il progetto dovrà utilizzare le migliori tecnologie innovative di indagine disponibili per identificare le reali necessità di bonifica e consentire lo sviluppo di tali aree. Questa è una grossa opportunità per i siti “orfani” calabresi, primo fra tutti il Sin di Crotone».  (r.desanto@corrierecal.it)

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