Quanto accaduto all’Università Mediterranea di Reggio Calabria rappresenta una forte manifestazione della crisi di legalità, trasparenza ed etica che ormai pervade non solo ogni strato della Amministrazione Pubblica ma più in generale ogni anfratto del nostro vivere quotidiano.
È la famosa “terra di mezzo”: è venuto meno quello spazio sociale, del vivere insieme, della sfera pubblica, che prescriverebbe l’impegno a comportarsi impegna a comportarsi come appartenenti ad una comunità che persegue gli interessi collettivi. Quello spazio, in cui si dovrebbe costruire una socialità responsabile in cui si mira ad obiettivi pubblici e si elaborano le regole, troppo spesso è occupato dall’idea di costituire gruppi chiusi, fazioni che si riconducono a forme di potere circoscritto a sole poche persone. Siamo di fronte alla realizzazione di interessi particolari, alla protezione di fini privati, spesso persino sotto la perfetta copertura della apparente legalità.
Non si può smettere di voler bene a questa nostra regione, non stancandoci mai di dire la verità sui mali e le miserie di cui soffriamo, sull’ipocrisia e sui silenzi che imbavagliano anche quelle Organizzazioni che dovrebbero per loro natura e funzione indignarsi e denunciare: l’incomprensibile silenzio su questa vicenda della quasi totalità del mondo politico e sindacale regionale ne è testimonianza evidente ed eloquente.
Al contrario, è giunto il momento che i panni sporchi si lavino in piazza.
La nostra è una comunità che non è allenata a prendersi cura, fin dagli aspetti più minuti, della sfera pubblica e a prendere sul serio le questioni del vivere comune e del bene comune.
C’è un’alta considerazione del ruolo che svolge l’Università in generale, che però soffre di aspetti che rendono incomprensibile e misteriosa ai più la vita accademica. L’Università avrebbe l’obbligo di riflettere su se stessa per capire il modo migliore di affrontare e risolvere qual i suoi mali endemici: le carriere decise a tavolino, gli studenti inattivi che si iscrivono e pagano consistenti tasse ma che poi non riescono a superare neppure un esame, le lobby accademiche tra i vari dipartimenti, le elezioni dei Rettori, le procedure concorsuali, sono solo la punta dell’iceberg di un enorme potere sommerso che regola un sistema ormai ben oleato. Avere a cuore la vicenda universitaria significa riflettere e provare a porre rimedio a questioni serie e delicate come quella del Diritto allo studio (per il quale vige ancora una legge regionale risalente al 1985!) e quella degli studenti che, pur avendone diritto, non percepiscono borsa di studio (la nostra Regione vanta il primato di giovani riconosciuti capaci e meritevoli ai quali non viene riconosciuto l’assegno di studio per mancanza di fondi). Appare eticamente necessario che l’Università rifletta su questi problemi piuttosto che delegare ad un sistema politico che si è dimostrato incapace di risolvere queste incongruenze.
E una riflessione più vasta oramai si impone sull’ultima riforma del sistema universitario targata Gelmini, che non ha dato vita ad alcun rinnovamento del ruolo dell’Università anzi sta soffocando il sistema passando da un modello formativo nel quale gli studenti imparavano ad imparare ad uno nel quale bisogna imparare un mestiere, ed in fretta. L’Università deve riappropriarsi di quel compito attivo per promuovere la conoscenza e la diffusione del sapere e deve agire da stimolo su una classe politica incline a un diffuso pregiudizio nei confronti del mondo del sapere.
L’Università dovrebbe, persino per la sua stessa sopravvivenza, sottoporsi ad un’autoriforma che parta da dentro le sue mura sempre più spesse e assai poco trasparenti. Che fiducia possono avere i giovani nel valore dei concorsi se le “giuste influenze” hanno più valore del merito? Che speranza di cambiamento se “genitori importanti” e scambio di favori prevalgono su quell’impegno che viene loro richiesto? Diffideranno di tutti e di tutto: come si farà a dar loro torto?
Questo clima di mefitica stagnazione che accompagna la vita universitaria è quanto di più distante ai valori dell’etica pubblica e dalla legalità, dal riconoscimento del lavoro svolto e dalla trasparenza. Coinvolta in scandali di vario genere l’università è da tempo sotto scacco. Eppure parliamo di un’istituzione prestigiosa, importante per la vita di ogni territorio, luogo di formazione della classe dirigente e di arricchimento culturale dell’intero Paese. Un’istituzione che risponde spesso chiudendosi a riccio ed arroccandosi nei propri privilegi quando giustamente si levano le critiche rispetto all’inquinamento della corruzione di alcune irresponsabili ed intollerabili azioni.
La Politica ed il Sindacato che vogliono ancora cambiare l’esistente e non si accontentano di amministrane qualche pezzettino hanno il compito di non tacere, di prendere posizione e di accompagnare le esigenze e le azioni di chi nell’Università lavora per lo sviluppo culturale e sociale della collettività, con l’isolamento e la condanna di pratiche insopportabili e di chi le mette in campo.
*coordinatore di “Democrazia e Lavoro” – Sinistra CGIL
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