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processo Farmabusiness

Farmaci e mafia, l’antennista Scozzafava «intraneo alla ‘ndrangheta»

Nelle motivazioni della sentenza, la storia dell’affare sui farmaci che ha visto coinvolti i Grande Aracri. Le ragioni sull’assoluzione di Tallini

Pubblicato il: 19/05/2022 – 6:59
di Alessia Truzzolillo
Farmaci e mafia, l’antennista Scozzafava «intraneo alla ‘ndrangheta»

CATANZARO «I promotori e gli autori dell’avviamento e del collasso di questo grande affare delle farmacie saranno Domenico Scozzafava e Salvatore Grande Aracri (il Calamaro) classe 1979».
Il grande affare delle farmacie è quello che hanno messo in atto, su input di Domenico Scozzafava, gli intranei e i sodali della famiglia Grande Aracri di Cutro. Ma chi sono Domenico Scozzafava e Salvatore Grande Aracri?
Nelle motivazioni della sentenza il gup li riassume così: «II primo, quale imprenditore nel settore Sky, con licenza su tutta la regione, e il secondo quale appartenente alla cosca cutrese con il compito, già svolto in Emilia-Romagna, di reinvestire capitali illeciti nelle attività commerciali».
Lo scorso 18 febbraio, in sede di rito abbreviato, il giudice per l’udienza preliminare nell’ambito del processo denominato Farmabusiness, ha condannato Scozzafava a 16 anni di reclusione e Salvatore Grande Aracri, classe ’79, a 11 anni e 4 mesi di reclusione.
Secondo l’accusa Scozzafava è considerato il fulcro della truffa dei farmaci e il trait d’union tra la cosca Grande Aracri e i colletti bianchi. Scozzafava sarebbe stato così vicino al clan di Cutro da partecipare agli incontri, veri e propri summit, per organizzare le attività criminali, nella tavernetta del boss Nicolino (all’epoca recluso in prigione).

Come nasce, e come muore, «l’impresa paravento»

La cosca voleva mettere le mani sul settore imprenditoriale della vendita di farmaci all’ingrosso.
«Così come il citato clan ha messo le mani sul mercato imprenditoriale (e non solo) in Emilia-Romagna e nel Nord Italia, esercitando attività dietro lo schermo di vari prestanome, analogamente, attraverso la spinta di propulsione di Grande Aracri Salvatore classe 1979, essa tendeva a realizzare il medesimo obiettivo al Sud della Penisola», scrive il gup.
Il clan si avvale per questo progetto imprenditoriale di professionisti quali il commercialista Paolo De Sole (che verrà assolto, ndr). «Il De Sole, come si vedrà dappresso, sarà una figura di riferimento del Grande Aracri, per le sue specifiche competenze professionali e perché, nel settore farmaceutico, aveva già seguito e curato l’avviamento di un analogo progetto a Roma», è scritto in sentenza.
Il commercialista è figlio «di un noto medico, Pasquale De Sole (condannato a 8 anni e 4 mesi, ndr), anch’egli imputato nel presente procedimento, che secondo l’ipotesi accusatoria – ritenuta da questo giudicante non sufficientemente dimostrata – avrebbe concorso nell’intestazione fittizia della società strumentale all’avvio dell’attività in discorso.
«Inizialmente orientata al profitto, come emerge dal contenuto del summit tenutosi il 7/6/2014 all’interno della tavernetta di Nicolino Grande Aracri, l’impresa nata con rapporto di denaro dei “maggiorenti” ancora in stato di libertà della cosca, diverrà sempre più un’“impresa paravento”, finalizzata a distribuire appalti ad imprese collegate alla cosca o gradite dalla stessa; e poi sarà condotta al fallimento».

Il ruolo di Tallini

«Nella realizzazione di questo ambizioso progetto, nato – come osservato — da un’idea legittima e snaturatosi per l’infiltrazione degli interessi della cosca cutrese, emergerà la figura del politico (all’epoca assessore regionale) Domenico Tallini (accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e scambio elettorale politico mafioso, ndr) che, come hanno dimostrato le indagini, ha prestato la propria disponibilità nei confronti di Domenico Scozzafava, per facilitare i contatti con i funzionari regionali preposti al rilascio delle autorizzazioni necessarie per l’avviamento del consorzio e, da un certo momento in poi, ha manifestato un diretto e personale coinvolgimento nell’affare. Ciò è tanto vero che posizionerà il figlio Giuseppe e la nuora all’interno della compagine del consorzio Farmaeko con ruoli amministrativi e, grazie al suo aiuto economico, ne consentirà il finanziamento. Gli atti di indagine, che nella primissima sede cautelare sono stati ritenuti idonei, in punto di gravità indiziaria, a dimostrare che Domenico Tallini fosse ben consapevole di prestare un rilevante contributo all’associazione criminale per averne un tornaconto in termini elettorali, al vaglio del contraddittorio non hanno superato la soglia probante dell’oltre ogni ragionevole dubbio a carico del Tallini (il quale è stato assolto, ndr)».
Non hanno retto al vaglio del giudice le dichiarazioni di Giovanni Abramo, genero del boss Nicolino Grande Aracri, il quale il 6 settembre 2021 ha voluto rendere dichiarazioni ai magistrati affermando che «Tallini lo conoscevo di fama, ma non di persona» e che «di lui seppi che poteva assicurarci appoggi di ogni tipo. Questo me lo disse Pino Colacino, dicendo che il Tallini era a nostra disposizione con noi dopo che gli assicurammo il voto». Il gup ritiene che le dichiarazioni di Abramo «non sono ritenute da questo giudicante pienamente attendibili e fortemente probanti». 

Com’è cominciata

L’idea di un consorzio per lo smistamento di farmaci nasce nell’estate del 2013 da un progetto, del tutto legittimo, della senatrice Anna Maria Mancuso che stava trascorrendo le vacanze in Calabria Sellia Marina alloggiando in un appartamento di proprietà di Domenico Scozzafava. Nasce un’amicizia tra i villeggianti e Scozzafava e la senatrice racconta all’antennista i propri progetti e Scozzafava il quale «si dimostra subito disponibile ad introdurre i tre negli ambienti della “Calabria che conta” per la realizzazione di tali progetti».
«Poco dopo l’estate del 2013, Domenico Scozzafava invoca l’aiuto dell’allora assessore regionale Domenico Tallini, al fine di affrontare l’iter burocratico necessario per avviare il progetto e che appariva essere particolarmente complesso. Questo è il momento in cui entra in scena Tallini, coinvolto dallo Scozzafava in un progetto della senatrice Mancuso, con la quale iniziano a sentirsi telefonicamente (di li a poco la Mancuso e il marito abbandoneranno il progetto dicendosi molto delusi dagli amici calabresi, ndr). Va segnalato che tra le telefonate dello Scozzafava, molte sono quelle con il Tallini, da cui si desume un rapporto di conoscenza tra i due, in ragione soprattutto del fatto che Scozzafava si rivolge al politico per ragioni connesse al suo ruolo. Si comprende, inoltre, che lo Scozzafava rappresenti per Tallini un bacino elettorale, probabilmente per le relazioni capaci di intessere anche in ragione della professione da lui svolta che lo portava a muoversi sull’intero territorio calabrese.

Conclusioni su Tallini

Secondo il gup Saccà il rapporto tra Tallini e Scozzafava «anche a fini di appoggio elettorale, non era fondato sul presupposto che lo Scozzafava facesse parte di o avesse conoscenze serie nei contesti criminali di ‘ndrangheta». In sostanza, le risultanze processuali, non hanno finora dimostrato che il Tallini sapesse del contesto criminale di appartenenza dello Scozzafava e del suo rapporto di intraneità con i Grande Aracri. Il giudice ritiene che, da un lato la famiglia Grande Aracri avesse «il massimo interesse a celare il suo coinvolgimento nell’affare, per come ammesso da Salvatore Grande Aracri, nella riunione del 7 giugno 2014 che raccomandava di fare una cosa “più pulita possibile”». Dall’altro lato non sarebbe dimostrato l’assunto della tendenza di Tallini a dissimulare i suoi rapporti con lo Scozzafava, visto che il politico, all’epoca assessore regionale, parlava al telefono con l’antennista e lo chiamava pure. «… se il Tallini, secondo la tesi accusatoria, temeva di essere intercettato telefonicamente e teme va di salire in macchina dello Scozzafava, non si comprende realmente come mai lo stesso politico ci parlasse al telefono e lo chiamasse pure», scrive il gup.

Il ruolo di Scozzafava e la sua intraneità ‘ndranghetistica

Di tutt’altro tenore le considerazioni su Domenico Scozzafava «dopo aver recepito l’idea dalla senatrice Mancuso, ha agito parallelamente su due distinti fronti: il primo, politico, sfruttando i propri agganci con l’assessore Tallini; il secondo, criminale, facendo veicolare il progetto verso la famiglia Grande Aracri dapprima coinvolgendo Salvatore Grande Aracri e in seguito partecipando al summit nella tavernetta in data 7 giugno 2014» con i componenti della famiglia Grande Aracri che in quel momento non erano detenuti. «La partecipazione dello Scozzafava a quella riunione, in cui lo stesso ha interloquito, dietro le sollecitazioni del Salvatore Grande Aracri, con gli esponenti apicali della cosca, denota – unitamente alle conclamate relazioni criminali con il Mellea (a capo dell’articolazione catanzarese della cosca di Cutro) e con gli altri esponenti della frangia dei Gaglianesi (Opipari, liritano e Sabato) – la sua intraneità ‘ndranghetistica», scrive Saccà. Tra l’altro è stato proprio Scozzafava a proporre il progetto del consorzio farmaceutico a Salvatore Grande Aracri.

Quando la moglie sostituisce il marito

Suo marito, il boss Nicolino Grande Aracri, si trovava in prigione quando sua moglie Giuseppina Mauro è stata coinvolta nell’inchiesta Farmabusiness. Qualche tempo dopo, il boss ha simulato una collaborazione con la giustizia arrivando a dire che la moglie non avrebbe mai potuto prendere alcuna decisione operativa in seno alla cosca perché incapace «di fare una O con un bicchiere». Di parere opposto la Dda di Catanzaro e il gup Saccà che ha condannato la donna a 14 anni di reclusione (la pena più alta dopo quella di Scozzafava) e ha scritto in sentenza che Mauro ha manifestato «un ruolo decisionale nell’importante decisione di investire del denaro» nel corso del summit del 7 giugno 2014. «Ciò emerge – asserisce il gup – dalla scelta del luogo in cui è avvenuta la riunione, dalla necessità che la donna esprimesse il suo beneplacito e che conoscesse, perciò, tutti gli aspetti dell’affare e di come sarebbe stato gestito (senza che il nome dei Grande Aracri uscisse fuori)». Il ruolo della donna al vertice della consorteria emerge da una serie di fattori: la preoccupazione di “tenere coperte” sia la provenienza del denaro come la destinazione degli utili; il programma imprenditoriale che riflette intenti predatori come l’acquisizione di farmacie attraverso fallimenti pilotati e, peggio ancora, come l’esportazione illegale di farmaci all’estero fraudolentemente sottratti all’utilizzo interno; l’utilizzazione di canali privilegiati, in pregiudizio delle regole del mercato e della libera concorrenza, nel rapportarsi con la Pubblica amministrazione e nel piegare l’azione di questa agli scopi del sodalizio. Lo stesso collaboratore di giustizia Liperito afferma che «Giuseppina Mauro fungeva da tramite con il marito in carcere e rappresentava poi, nell’assenza di questo, la sua volontà all’esterno, dando veri e propri ordini». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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