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l’inchiesta

‘Ndrangheta green, l’imprenditore vicino al clan voleva due centrali idroelettriche in Romania

Le parole del pentito Moscato sull’uomo legato alla cosca Iamonte («poteva investire milioni di euro»). E l’affare da 1,8 milioni nella regione di Timisoara grazie alla società intestata a un prest…

Pubblicato il: 29/06/2022 – 7:27
di Pablo Petrasso
‘Ndrangheta green, l’imprenditore vicino al clan voleva due centrali idroelettriche in Romania

REGGIO CALABRIA Seppure assolto dall’accusa di associazione mafiosa dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria nel gennaio 2015, i presunti legami di Alberto Daniele Pizzichemi (52 anni) con il clan Iamonte di Melito Porto Salvo sono riemersi in inchieste successive. La Dda Bologna, nel 2018, lo accusa di trasferimento fraudolento di valori con l’aggravante della mafiosità. Ne scaturisce una condanna, nell’ottobre 2020, che, per i magistrati antimafia emiliani, arriva «senza che potessero essere adeguatamente sviluppati gli spunti investigativi che si traggono da una imponente mole di documentazione acquisita (anche grazie a perquisizioni informatiche) al momento dell’esecuzione delle ordinanze cautelari». L’indagine è “Nebbia Calabra”: da quelle perquisizioni sarebbero emersi indizi su grossi investimenti all’estero effettuati dall’imprenditore grazie al supporto di numerosi “colletti bianchi” legati al mondo della finanza e dell’imprenditoria operanti nel nord est del Paese.

La caccia ai soldi: appartamenti a Sofia, conti in Svizzera e Romania

Un esempio di ‘ndrangheta 2.0 che porta gli investigatori a seguire le tracce dei soldi in buona parte d’Europa. Prima tappa: carte e conti portano in Romania, dove il sistema elaborato da Pizzichemi gestirebbe, attraverso uno strumentale schermo societario di diritto rumeno, due centrali idroelettriche in grado di generare redditi per 2 milioni di euro all’anno (la cui titolarità è riconducibile a una società con sede in provincia di Trento). 
Secondo step: la disponibilità di numerosi rapporti finanziari in banche svizzere (fra cui 1,6 milioni di dollari Usa in seguito movimentati verso un conto sammarinese). Terzo passaggio: il quartiere Lyulin di Sofia, dove sono stati sequestrati due immobili di pregio riconducibili agli indagati. Altri investimenti in titoli Usa sarebbero stati poi movimentati tramite bonifici “mascherati” da finanziamenti fra società estere per 15 milioni di euro. E proprio «fino alla concorrenza di 15 milioni di euro» sono stati sequestrati due conti aperti in Svizzera, a Lugano. 

Moscato: «Pizzichemi diceva di poter investire milioni. Avevamo pensato a un traffico di coca»

I documenti cartacei e digitali che hanno guidato gli inquirenti nella ricerca si sono accompagnati alle dichiarazioni di Raffaele Moscato, pentito del Vibonese che ha aiutato la Dda di Bologna a inquadrare la figura dell’imprenditore ritenuto vicino alla cosca Iamonte. Quelle dichiarazioni, contenute in un interrogatorio del 19 luglio 2016, sono state riversate nell’ordinanza che dispone i sequestro e gli arresti domiciliari per Gianfranco Puri, 63enne di Bolsena, considerato un prestanome di Pizzichemi, nei confronti del quale la richiesta di misure cautelari avanzata dal pm è stata respinta (perché «si tratta dello stesso procedimento nell’ambito del quale è già stata disposta la misura della custodia cautelare in carcere»).

PENTITO | Raffaele Moscato

Moscato spiega di aver conosciuto Pizzichemi nel carcere di Frosinone: «Ho saputo – dice – che fa parte della cosca Iamonte di Melito Porto Salvo». Il pentito ricorda che l’imprenditore gli «disse che era proprietario di vari appartamenti a Bologna nei pressi dell’ospedale Maggiore offrendomene uno in uso qualora avessi ottenuto gli arresti domiciliari». Nonostante avesse subito un furto del quale incolpava un albanese, Pizzichemi – sono sempre parole di Moscato – affermava di poter investire somme anche dell’ordine di milioni di euro in attività imprenditoriali che gli avevamo proposto ma che poi non si sono realizzate. Avevamo anche programmato di avviare un traffico di stupefacenti con la Colombia sfruttando i contatti di Vincenzo Barbieri e del suo braccio destro Antonio Franzè che poi è entrato a far parte della nostra locale di Piscopio». Altra frase che gli investigatori cerchiano in rosso nell’interrogatorio di Moscato: «Pizzichemi era solito fare cenno a sue diverse visite in Romania, Bulgaria e altri Paesi europei». Un fatto, questo, che avrebbe trovato «conferma – secondo il gip – in quanto accertato nel presente procedimenti in ordine all’acquisto da parte dello stesso di due impianti industriali per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (centrali idroelettriche) che hanno sede in Romania, esattamente nelle città di Obreja e Fenes, nel distretto di Timisoara».  

Il pentito Russo: «Ha un sacco di soldi»

Un altro collaboratore di giustizia, Antonio Onofrio Michele Russo, riconosce Pizzichemi in foto riferisce che «ha un sacco di soldi e che la maggior parte dei beni sono anche riconducibili allo stesso clan». La premessa serve per rappresentare l’accusa: l’imprenditore che la Dda di Bologna considera legato al clan Iamonte si sarebbe impegnato in «una serie di intestazioni fittizie di società e di operazioni finanziarie a lui di fatto riconducibili, a favore di Puri, suo prestanome e consulente» e di un altro uomo, oggi deceduto. Lo scopo: «eludere l’applicazione di misure patrimoniali». 

La trasferta in Romania per l’acquisto delle due centrali idroelettriche

A Puri e ad altre persone, Pizzichemi avrebbe attribuito fittiziamente il capitale sociale della “Time solution srl”. Questa società sarebbe stata acquisita nel 2016 dall’imprenditore contiguo al clan e sarebbe «uno degli strumenti» utilizzati per «acquisire la titolarità di centrali elettriche in Romania». Dal 26 al 29 gennaio 2016, gli investigatori documentano una trasferta di Pizzichemi in Romania assieme al suo autista e guardaspalle e a un uomo (non indagato in questo procedimento ma in contatto con il “locale” di ‘ndrangheta di Desio, legato al clan Iamonte) che aveva contribuito con 85mila euro all’acquisto di una tabaccheria intestata dall’imprenditore a sua figlia. «Lo scopo del viaggio – si legge nell’ordinanza – era pacificamente quello relativo al possibile acquisto di due centrali idroelettriche». Nell’affare entra anche un imprenditore trentino con forti interessi nel settore delle energie rinnovabili, in particolare con partecipazioni nella Alto Energy e nella Vialtero Energy. Gli inquirenti intercettano una mail nella quale questo imprenditore propone a Puri (e probabilmente a Pizzichemi) «un programma di viaggio in Romania finalizzato alla visita di due centrali elettriche a Fenes e Obreja». Dalla società “Trasporti Veloci Romani srl”, riconducibile a Pizzichemi, parte un bonifico da 120mila euro «a favore di Puri e motivato proprio dall’acquisto della stessa Time solutions». La causale è «primo acconto su futura compravendita Time». L’impegno di Pizzichemi sarebbe, secondo i magistrati bolognesi, quello di acquistare entrambe le centrali romene comprando le quote della Alto Energy e della Vialtero Energy. Nel carteggi agli atti c’è un’analisi particolareggiata dello stato di fatto delle due centrali e un’offerta di acquisto per entrambe al prezzo di 1,8 milioni di euro. Puri, che sarebbe in teoria il capo di “Time solutions”, la società acquirente, sottopone la proposta contrattuale a Pizzichemi, ritenuto il vero dominus dell’operazione. Il sistema studiato per far confluire i soldi nell’operazione è un altro passaggio del gioco dell’oca che avrebbe svelato i movimenti finanziari del clan in mezza Europa. (1. continua)

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