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Roberto Porcaro, il “delfino” di Patitucci diventato reggente della cosca Lanzino

Coinvolto nell’inchiesta “Reset”, ha raccolto l’eredità di Francesco Patitucci, dando un nuovo assetto al clan

Pubblicato il: 06/09/2022 – 7:00
di Fabio Benincasa
Roberto Porcaro, il “delfino” di Patitucci diventato reggente della cosca Lanzino

COSENZA «Chi comanda oggi a Cosenza? Robertino Porcaro». E’ il 18 dicembre 2018 quando l’allora sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Camillo Falvo (oggi procuratore capo a Vibo Valentia) si rivolge ad Anna Palmieri moglie di Celestino Abbruzzese alias “Micetto” (appartenente alla famiglia dei “Banana”) chiedendo lumi sulla figura di Roberto Porcaro. La risposta della collaboratrice di giustizia è netta e non lascia spazio a fraintendimenti. «Non si muove foglia se non lo vogliono loro», dice Palmieri. «Loro chi?», incalza Falvo. «Mio cognato Luigi e Robertino Porcaro». Il primo è il referente per gli “Zingari”, il secondo per gli “Italiani”.

L’ascesa di Porcaro

Roberto Porcaro non nasce boss, tuttavia raggiunge il vertice del sodalizio criminale senza troppi ostacoli e in tempi relativamente brevi. A favorire la sua ascesa è l’arresto di Francesco Patitucci. Come conferma Anna Palmieri, «Porcaro era il braccio destro. Una volta che non c’era più Francesco Patitucci ha preso il posto lui». Sempre nel 2018, è Ernesto Foggetti a tratteggiare il profilo di Porcaro. «Era inizialmente con Cicero ma poi Mario Gatto lo ha portato con i Lanzino e, poiché Gatto era in carcere, ha stretto amicizia con Patitucci». Saranno altri pentiti (Daniele Lamanna, Luca Pellicori, Giuseppe Zaffonte) ad indicare Robertino Porcaro quale capo indiscusso della cosca Lanzino. L’evoluzione criminale del boss è segnata da un passaggio importante, quello dal ruolo di “delfino” di Patitucci (ristretto in carcere quasi quattro anni, dal 2011 al 2015 e dal 2016 al 2019) a indiscusso e indiscutibile reggente del clan. Le parti, tuttavia, si invertiranno quando Patitucci tornerà in libertà (nel mese di dicembre 2019) e Porcaro sarà arrestato nell’ambito dell’operazione “Testa del Serpente”.

La gestione degli affari della cosca

Gli investigatori, avvalendosi anche delle confessioni rese dai collaboratori di giustizia, ricostruiscono – nell’inchiesta “Reset” – la galassia criminale del gruppo che fa capo a Porcaro: uomini, alleanze, business e ruoli all’interno del gruppo degli “Italiani”. Il carisma criminale di Porcaro ha favorito la mediazione con le diverse articolazioni di ‘ndrangheta, ad esempio nei rapporti con Carlo Drago e Mario Piromallo detto “Renato”. Quest’ultimo insieme a Porcaro esercitava la sua influenza «non solo all’interno del gruppo degli “Italiani”, ma anche attraverso il condizionamento e la modulazione degli equilibri criminali esistenti nell’ambito della più ampia confederazione operante sul territorio di Cosenza». Drago, invece, è ritenuto esponente di eminente rilievo dell’associazione egemone sul territorio di Cosenza e provincia, e «si dedica al prestito in forma abusiva o, comunque, usuraria di denaro».

La «Testa del serpente»

I serpenti costrittori, solitamente non velenosi, possono inghiottire animali interi dopo averli insistentemente stritolati in una morsa mortale. La stessa che ha piegato decine di imprenditori cosentini, costretti a pagare il pizzo e a cedere al ricatto estorsivo degli scagnozzi dei vari clan presenti sul territorio bruzio. E’ l’alba del 13 dicembre 2019, quando scatta a Cosenza un’operazione interforze denominata “Testa di Serpente“, contro soggetti, alcuni di primissimo piano, tutti a vario titolo gravitanti nelle compagini criminali operanti nella città dei Bruzi e nell’hinterland. Chi indaga è convinto di aver aggiunto un altro importante tassello al mosaico criminale cosentino. Era stata la sentenza “Garden“, per la prima volta, a certificare la nascita del sodalizio “Pino-Sena” e la sua persistente operatività fino al1994, «riconoscendo l’appartenenza alla cosca del capo indiscusso Gianfranco Ruà e dei suoi principali luogotenenti Ettore Lanzino, Francesco Patitucci e Rinaldo Gentile». Tornando a “Testa del Serpente”, a Porcaro vengono contestati reati, anche in concorso con altre persone, relativamente alla estorsione tentata, usura, illecita detenzione e porto di armi da fuoco, anche clandestine, il tutto aggravato dal metodo mafioso e ancora su di lui peserà l’accusa di narcotraffico per la detenzione di un ingente quantitativo di cocaina. Le medesime indagini hanno dimostrato come «Roberto Porcaro, per la parte degli “Italiani”, e Luigi Abbruzzese, per la parte degli “Zingari”, siano i detentori della “bacinella comune” delle organizzazioni criminali operanti sul territorio sulla scorta di un patto federativo che da decenni vede le due fazioni unite nella gestione degli affari illeciti nel capoluogo». Secondo l’accusa, la gestione dei business illeciti avviene in regime di «assoluto monopolio», dal racket al narcotraffico, dai pestaggi ai danneggiamenti, dall’usura ai proventi del gioco illecito. Poco o nulla sembra essere cambiato, dall’ultimo blitz fino alla recente operazione “Reset”, Porcaro pare aver mantenuto intatto il proprio carisma criminale (almeno fino all’arresto) in seno ad uno dei più importanti clan attivi sul territorio bruzio. (redazione@corrierecal.it)

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