Inchiesta “Reset”, i colloqui in carcere per gestire lo spaccio all’esterno
Le dritte sulla gestione e distribuzione del denaro finiscono nelle intercettazioni degli investigatori

COSENZA Fratelli e «uomini di fiducia» di Roberto Porcaro, già reggente del clan Lanzino-Patitucci, i nomi di Danilo e Alberto Turboli finiscono nell’inchiesta “Reset”, coordinata dalla Dda di Catanzaro.
Il colloquio in carcere
Il 13 dicembre 2019 scatta l’operazione denominata “Testa di Serpente”, coordinata dalla Dda di Catanzaro. Nell’inchiesta finiscono 23 persone, tra cui Danilo Turboli. Che come testimoniato dall’ascolto e dalla visione dei colloqui all’interno dell’istituto penitenziario, avrebbe «manifestato la necessità di confrontarsi con la sua fidanzata» (non indagata). Lo scambio di battute sarebbe stato legato alla fruttuosa attività di spaccio di sostanze stupefacenti, interrotta dopo il blitz del 2019. Turboli, da quanto emerge, non vuole coinvolgere la compagna nei suoi affari ma «non riesce a fame a meno». Nel primo colloquio con i familiari mentre era recluso nel carcere di Cosenza, «appariva alquanto desideroso di sapere cosa stessero facendo i suoi collaboratori all’esterno». L’indagato si mostra deciso quando chiede alla compagna di non parlare di Roberto Porcaro, in qualunque luogo si fossero trovati. «Hai visto che c’è sempre quella cosa che parlate di…. non parlate mai! Quando è… dici … non parliamo mo … mo qua, non è il momento! … A casa, … qualunque posto!».
Le direttive dal carcere
Nel corso di un altro colloquio, captato dagli investigatori, Danilo Turboli dinanzi alla mamma, alla sorella ed alla fidanzata fornisce dettagli utili all’utilizzo dei danari proventi dell’attività di spaccio. «Lo sai … in più quello delle piante, deve dare mille – mille e cinque … li metti insieme a quelli, e poi tutti tutti… (indica col dito indice della mano destra sua madre.) a mamma…il biglietto ce l’ha mamma … eh … gli fai fare a tutti loro … e … poi tutti insieme a quelli, hai capito?». Turboli poi si rivolge a sua sorella dicendo che avrebbe dovuto tenere i libretti di sua madre, alla fidanzata, invece, il compito di «tenere altri soldi, quelli riguardanti lo spaccio di sostanze stupefacenti». «Quelli là li tieni tu, capito, tutti quanti». Altra visita, altro colloquio. Danilo Turboli – sempre intercettato – si informa sulla ricezione di alcune somme di denaro. «Te li ha dati? Pure. … E tutti quelli che erano indietro? … li sta prendendo?». La compagna palesa delle difficoltà nel recupero, derivanti proprio dalla sua assenza: «eh, lo so lo so… io gliel’ho detto, non c’è Danilo ma ci sono io … non scherzate». Lo scambio si concluderà con un annuncio che rammarica Turboli, la droga «è finita!». E’ il 16 gennaio 2020, quando l’indagato effettua il suo terzo colloquio in carcere con i familiari. Anche in questo caso si parla «dell’attività di spaccio di stupefacenti». Appena seduta, la compagna di Turboli lo rassicura: «Tutto a posto, di tutto! (….) ehh… la nostra vita in mano ad altre persone non ce la metto … preferisco… fare tutto da sola … sinceramente». (f.b.)