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l’udienza

Imponimento, l’affare degli Anello a San Giovanni in Fiore: il terreno acquistato con la ‘mbasciata ai cirotani

In aula bunker alcuni episodi sugli affari boschivi. Il “regalino” ai boss per il taglio boschivo ad Acconia. «500 euro a Rocco Anello e 500 a Giuseppe Fruci»

Pubblicato il: 01/11/2022 – 15:07
di Giorgio Curcio
Imponimento, l’affare degli Anello a San Giovanni in Fiore: il terreno acquistato con la ‘mbasciata ai cirotani

LAMEZIA TERME L’interesse della cosca Anello-Fruci era rivolto sia agli appalti boschivi pubblici, ma anche ai cosiddetti “tagli privati” seguendo il principio secondo il quale una qualunque area boschiva ricadente nel territorio controllato fosse la loro esclusiva proprietà. È uno dei tratti più significativi emersi dall’inchiesta “Imponimento”, coordinata dalla Dda di Catanzaro, e che ha già visto le prime condanne, pesanti, in abbreviato.

Il lotto privato ad Acconia di Curinga

In una delle ultime udienze in aula bunker, davanti al Tribunale collegiale di Lamezia Terme, è il maresciallo del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Catanzaro, Elio Bonacci, a definirne i contorni e ad illustrare alcuni episodi cruciali e già agli atti, incalzato dalle domande del pm, Antonio De Bernardo. «Il primo taglio di boschi privati di cui abbiamo registrato le prime conversazioni – spiega Bonacci – è un taglio su lotto boschivo privato ad Acconia di Curinga che doveva essere eseguito da Domenico Folino Gallo». E Bonacci richiama una conversazione del 30 marzo 2017 tra Nicola Antonio Monteleone e Domenico Folino Gallo. «Nel corso della conversazione – spiega Bonacci – Domenico Folino Gallo chiede come avrebbe dovuto comportarsi con i referenti criminali della cosca Anello sul territorio di Curinga, vale a dire in particolar modo Giuseppe Fruci, per questo taglio, a chi doveva rivolgersi e, appunto, chiede se potesse rivolgersi direttamente al boss Rocco Anello e come si sarebbe dovuto comportare con l’altro affiliato alla cosca Anello cioè Giuseppe Fruci».

Monteleone l’intermediario di Rocco Anello

Segno inequivocabile dello spessore criminale del boss Rocco Anello e dei suoi sodali, ma anche di un evidente timore che il loro nome incuteva a chiunque volesse operare nel loro territorio. Non è un caso se, ancora Domenico Folino Gallo, si preoccupa anche di dover incontrare magari di persona Rocco Anello, di doverci parlare ma, spiega in aula Bonacci «Monteleone gli spiega che non c’era alcun bisogno perché parlare con lui equivaleva a parlare con Anello e poi anche perché “lui”, riferito quindi a Rocco Anello “non viene per niente qua”». «Cioè Monteleone spiegava al suo interlocutore che parlare con lui era come parlare con Rocco perché lo stimava come un figlio. E diceva: “Se parlo io è lo stesso che ha parlato Rocco, mi stima come un figlio. Io vado in un posto, gli dico: così dovete fare, dovete parlare con Tonino, basta, non mi interessa più niente, basta, non vuole sapere più niente”. Quindi, parlare con Monteleone Nicola Antonio, chiedere una autorizzazione a Monteleone Nicola Antonio equivaleva a chiederla a Rocco Anello». Cosa fare, dunque, per ingraziarsi i due boss della zona? È proprio Monteleone a spiegarlo. «Gli raccomandava – spiega in aula Bonacci – di fare un regalo di mille euro a tutti e due, quindi cinquecento euro avrebbe potuto darglieli a Rocco Anello e cinquecento euro avrebbe potuto darli a Giuseppe Fruci per fare così contenti tutti e due». 

«A lui quello che interessava era il “rispetto”»

C’è ancora un altro episodio agli atti di “Imponimento” e ricostruito in aula da Bonacci. È il 2 febbraio del 2017, ci sono ancora Nicola Antonio Monteleone, Antonio Pisano – un imprenditore boschivo con numerosi precedenti alle spalle – e Daniele Prestanicola. «Prima di quell’incontro – spiega in aula Bonacci – Antonio Pisano aveva chiesto un appuntamento per poter parlare con Rocco Anello». «Mentre aspettavano l’arrivo del boss, Pisano diceva che dovunque andava a lavorare, in qualsiasi posto andava a lavorare chiedeva sempre l’autorizzazione ai referenti criminali della zona e Monteleone era molto contento di ciò, infatti diceva che a lui, a loro quello che interessa era il rispetto». Poi Rocco Anello arriva, poco dopo si apparta con Pisano. Terminato l’incontro, Anello racconta a Monteleone che Pisano «gli aveva chiesto l’autorizzazione per poter tagliare un bosco nella zona di Acconia di Curinga e in merito, appunto, Rocco Anello gli aveva detto di dargli maggiori delucidazioni in merito a questo bosco che lui ancora non era a conoscenza».

L’affare a San Giovanni in Fiore

Capitava al clan Anello-Fruci di dover “operare” anche fuori dal proprio territorio, forti di uno spessore criminale riconosciuto anche da altri potenti clan della ‘ndrangheta calabrese. Di mezzo c’è un affare legato all’acquisto di un enorme terreno a San Giovanni in Fiore, una situazione quantomeno particolare. «Nicola Antonio Monteleone – racconta Bonacci – venne contattato da due soggetti, un tale Domenico Patrino e Francesco Carvelli, di Petilia Policastro, quest’ultimo tra l’altro fratello di Aldo Carvelli noto come “Sparalesto” e già condannato definitivamente all’ergastolo dalla Corte di Cassazione per reati di associazione mafiosa e omicidio». «Lo scopo dell’incontro – racconta – era l’acquisto di un terreno molto grande che si trovava nel comune di San Giovanni in Fiore e doveva essere acquistato da un imprenditore allevatore di Cirò, tale Michele Colucci, interessato all’acquisto di questo terreno da sfruttare per allevare cavalli, mi pare, adesso non ricordo, però il problema era che Michele Colucci non ne aveva la capacità finanziaria per poter acquistare da solo questo terreno e aveva necessità di trovare un altro imprenditore boschivo, in questo senso, che avrebbe potuto partecipare all’acquisto versando il 50 per cento dell’importo richiesto, quindi di 500 mila euro». Il vantaggio dell’imprenditore boschivo, in buona sostanza, sarebbe stato quello di poter tagliare, utilizzare e vendere tutto il materiale legnoso ritraibile da quell’enorme territorio.

L’interesse degli imprenditori e la mediazione dei clan

Sarebbe emerso poi l’interesse di alcuni imprenditori, tra cui Pasquale Spadafora, già interessato dall’operazione “Stige”. «Era un imprenditore boschivo di San Giovanni in Fiore – spiega in aula Bonacci – e aveva come referente criminale, insomma chi lo “sponsorizzava” la cosca Comberiati di Petilia Policastro, in particolare Luigino Comberiati che è poi la cosca che è stata coinvolta nell’omicidio della collaboratrice di giustizia Lea Garofalo». «Visto che nell’affare venivano coinvolte due famiglie di ‘ndrangheta che operavano sullo stesso territorio, per dirimere il contrasto e alla fine metterli d’accordo, subentravano esponenti di spicco della locale di ndrangheta di Cirò per, appunto, dirimere i contrasti tra le due ditte». Alla fine, grazie all’interessamento del boss Rocco Anello, il vincitore del “contrasto” è stato Nicola Antonio Monteleone. È proprio lui a spiegarlo in una conversazione intercettata del 24 giugno 2017 all’imprenditore boschivo di Chiaravalle, Salvatore Giorgio. «Diceva – racconta Bonacci in aula – che si erano seduti attorno a un tavolo, quindi avevano fatto una riunione insieme ai referenti criminali, quindi, della cosca di ‘ndrangheta di Cirò mentre Rocco Anello aveva mandato una ‘mbasciata ai cirotani». Persone, i cirotani appunto, che lo stesso Monteleone, parlando con il boss, definisce molto affidabili «perché mantenevano gli equilibri delle varie famiglie di ‘ndrangheta già a partire dalla provincia di Catanzaro, fino a arrivare alla provincia di Crotone».

La ‘mbasciata di Rocco Anello ai cirotani

Il riferimento alla ‘mbasciata di Rocco Anello ai cirotani è stato registrato in una conversazione con  Monteleone. «Si trovavano in macchina – spiega Bonacci – nella macchina di Monteleone, Rocco Anello diceva di dover mandare una imbasciata a un soggetto di Cirò, cognato di Cataldo, titolare di un ristorante e noi abbiamo ricostruito che presumibilmente si trattava di Giuseppe Sestito, fratello di Felicia Sestito, moglie di Cataldo Marincola, tuttora detenuto, elemento di spicco della cosca Farao Marincola di Cirò». Su come Monteleone l’abbia spuntata per l’acquisto del terreno è proprio lui a raccontarlo ad Antonio Nadiri, altro imprenditore boschivo di Mongiana. «Monteleone parlava di questo terreno di San Giovanni in Fiore, diceva che alla fine l’aveva spuntata lui, anche perché gli altri non avevano la capacità finanziaria per poterlo acquistare. Diceva che c’erano di mezzo i Bitonti e Spadafora e c’era di mezzo Luigino Comberiati di Petilia». Su come avrebbe dovuto gestire i rapporti con gli altri esponenti criminali, è Francesco Carvelli a fornirgli le delucidazioni. «Carvelli diceva che lui, quindi Monteleone avrebbe fatto il taglio vendendo il legno a quintali a terzi soggetti che poi avrebbero eseguito la lavorazione e il Carvelli stesso, quindi la cosca dei Carvelli si sarebbe occupata del trasporto». (redazione@corrierecal.it)

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