COSENZA «Pochi giorni dopo la morte di Donato Bergamini, mi recai con un cameraman a Roseto Capo Spulico, sul luogo della tragedia. Dopo una attenta verifica, arrivai alla conclusione che l’ipotesi del suicidio non fosse assolutamente possibile». Giuseppe Milicchio nel 1989 era un giovane giornalista che svolgeva il ruolo di «addetto alla stampa» (l’addetto stampa – senza preposizione – era Salvatore Perugini) del Cosenza calcio. Il suo ruolo, all’interno della società, era prevalentemente quello di portare ai colleghi le formazioni pre-partita, organizzare le interviste, gestire gli accrediti e parte della cartellonistica. In contemporanea Milicchio collaborava con una televisione locale, “Teleuropa 52”. Oggi, nel corso dell’udienza del processo Bergamini che si svolge in Corte d’Assise al tribunale di Cosenza (era presente l’unica imputata Isabella Internò) il giornalista ha risposto per più di due ore alle domande del pm Luca Primicerio e degli avvocati di parte Pagliuso-Cribari/Anselmo-Pisa.
«Seppi della sua morte il giorno dopo – ha affermato Milicchio – tramite una telefonata di Antonio Covino, allora segretario del Cosenza calcio. Subito dopo, venni tempestato dalle telefonate dei colleghi di Ferrara che volevano maggiori dettagli sull’accaduto. In virtù di ciò, tre o quattro giorni dopo la morte di Bergamini, andai nella sede Rai di Cosenza, che in quegli anni si trovava in via Montesanto, per saperne di più. Della vicenda si occupava Santi Trimboli. Quel giorno lui arrivò in ritardo ma io assistetti ugualmente a un’intervista telefonica fatta dai colleghi della Rai al procuratore di Castrovillari Ottavio Abbate. Al termine della telefonata, trascrivemmo l’intervista e io portai via la mia copia cartacea (Milicchio ha mostrato in aula il documento dell’intervista ad Abbate che è stato successivamente acquisito agli atti del processo, ndr).
Abbate – ha continuato il teste – che più volte si mostrò nervoso per il modo incalzante con cui gli venivano poste le domande, durante l’intervista ha sempre dato per scontata l’ipotesi del suicidio e parlò di 40-45 metri di trascinamento del corpo. Disse anche che se Bergamini fosse stato indotto al suicidio, le cose, da un punto di vista penale, sarebbero potute cambiare. Gli venne chiesto il motivo della mancata autopsia sul corpo del calciatore e lui rispose che, non essendoci dubbi sulla causa della morte, non ce n’era bisogno. A lui – ha proseguito Milicchio – erano bastate le testimonianze raccolte sul posto dal camionista e da Isabella Internò. Ricordo che fece anche un riferimento che mi sembrò piuttosto strano al carattere taciturno del calciatore».
Le dichiarazioni di Abbate, spinsero Milicchio, pochi giorni dopo, a dirigersi a Roseto Capo Spulico, insieme al suo operatore Pasquale Pisani, sul luogo della tragedia. «Arrivammo sulla piazzola incriminata – ha rivelato Giuseppe Milicchio – e iniziammo a fare delle riprese. Sulla strada, nei 40-45 metri di cui aveva parlato Abbate, e cioè dal punto in cui Bergamini si sarebbe lanciato sotto il camion fino al luogo in cui è stato trovato il suo corpo senza vita, non notai alcun segno di frenata o strisciamento di ruote. A terra c’era solo del materiale ematico coperto di sabbia. Mentre stavamo girando, arrivò una pattuglia dei carabinieri e ci mandò via. A quel punto, saliti in auto, continuammo a girare di nascosto, mettendo la telecamera fuori dallo sportello. Facemmo il percorso alla rovescia, volevamo capire quanto fosse distante il ristorante da cui Isabella Internò disse di aver fatto alcune telefonate. Nel percorso, prima di raggiungere il ristorante, ci accorgemmo di un cartello, sulla destra, che indicava la stazione dei carabinieri. Mi chiesi perché, dopo un evento drammatico come quello, la ragazza e il suo accompagnatore non si fossero diretti verso la stazione dei carabinieri visto che era indicata sulla strada».
Dopo quell’inchiesta, Milicchio non si è più occupato del caso Bergamini. Il 10 dicembre dello stesso anno, ebbe un grave incidente di macchina mentre stava viaggiando per seguire il Cosenza in trasferta. «Fui ricoverato all’ospedale di Vibo Valentia – ha dichiarato – mi misero cento punti in testa e ci misi molto tempo a riprendermi. Nei mesi seguenti, non mi occupai più della vicenda perché notai che non c’era più l’interesse iniziale. Io parlai soltanto con Covino della possibilità di far scattare l’assicurazione per la morte di Bergamini, ma il segretario mi rispose che la società avrebbe preso dei soldi da quella morte solo se si fosse trattato di incidente. Il suicidio annullava quell’ipotesi. Io, sinceramente, non ho mai creduto a quella possibilità. Ne ho parlato qualche volta con i colleghi e con lo stesso Covino ma senza approfondire più di tanto il discorso. In società l’argomento non venne più toccato. Io, dopo le mie brevi indagini, ho sempre pensato che si fosse trattato di omicidio. Bergamini, questo me lo dissero alcuni colleghi che la notte stessa della tragedia avevano visto il corpo del ragazzo in obitorio, non aveva un graffio in testa, nessun segno di tumefazione. Un po’ strano per una persona che si tuffa sotto un camion e viene trascinata a lungo, e poi io stavo sempre con la squadra, non c’era nulla che potesse far presagire un gesto di quel tipo. Anche la storia della droga l’ho sempre considerata una follia, i calciatori non facevano uso di sostanze stupefacenti».
Milicchio ha parlato anche di Mimmolino Corrente e Alfredo Rende, i due factotum del Cosenza calcio che persero la vita il 4 giugno 1990 in un tragico incidente proprio sulla statale 106. «Dovevo essere in macchina con loro quel giorno – ha svelato – ma poi scesi da Trieste in aereo. Andai io a dare la notizia dell’incidente alle famiglie. So che Mimmolino ha avuto a disposizione le scarpe e l’orologio di Bergamini per consegnarle alla famiglia. Non mi ha mai detto chi glieli aveva dati. Voleva vedere la famiglia del calciatore per esporgli la sua teoria sulla tragedia». Il giornalista, sollecitato dalle domande degli avvocati di parte, ha ricordato altri episodi, come quello del ritiro pre-campionato dell’estate del 1989. «Eravamo a Castelnuovo di Garfagnana, in Toscana – ha detto –, Bergamini in quel periodo era molto richiesto da club importanti come Fiorentina e Parma ma lui voleva restare a Cosenza. In un’occasione, mentre stavamo facendo delle riprese video, il dirigente Santino Fiorentino consigliò fortemente a Bergamini di acquistare la Maserati». Un riferimento, su richiesta della difesa, è stato fatto anche alla sala giochi di via Panebianco frequentata in quegli anni dai calciatori («Bergamini – ha precisato Milicchio – non frequentava quegli ambienti») e su Michele Padovano, assolto di recente dall’accusa di traffico di droga dopo una vicenda processuale lunga 17 anni. «Ho sentito Padovano proprio ieri sera – ha ammesso Milicchio – per invitarlo alla mia trasmissione televisiva in onda stasera». Sono state acquisite le precedenti dichiarazioni dei teste (Speziale, Spagnuolo e Perna) che erano stati convocati per oggi insieme a Milicchio. La prossima udienza è in programma il prossimo 24 febbraio.
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