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il processo

False perizie per Mantella, «l’input» e l’occhiolino dell’avvocato in caserma

Ha avuto inizio questa mattina l’esame del collaboratore vibonese. «Di Renzo è stato una fonte di informazioni per me e per i Mancuso di Limbadi»

Pubblicato il: 14/03/2023 – 19:23
di Alessia Truzzolillo
False perizie per Mantella, «l’input» e l’occhiolino dell’avvocato in caserma

CATANZARO Si è reso irreperibile per un anno Andrea Mantella prima di essere «catturato» e portato nella caserma dei carabinieri della provinciale di Vibo Valentia. Su di lui pendeva un mandato di cattura legato al procedimento “Asterix” emessa dal gip di Vibo Valentia su richiesta della locale Procura. Mantella questa mattina, collegato con l’aula bunker di Catanzaro, ha raccontato di essere riuscito a rendersi uccel di bosco per oltre un anno perché sapeva dell’imminente blitz dei carabinieri che lo avrebbe messo in manette. Notizia giunta anzitempo non solo alle orecchie dell’attuale collaboratore di giustizia ma anche di Paolino Lo Bianco, al vertice del gruppo vibonese Lo Bianco-Barba. Anche i Bonavota avevano contezza di quello che stava per accadere grazie alle soffiate, racconta Mantella, di un medico legale che collaborava con la Procura di Vibo Valentia. Siamo nel 2005.
Per avere maggiori ragguagli su questi prossimi arresti, Mantella racconta di essersi rivolto all’avvocato Giuseppe Di Renzo. Qualche giorno dopo l’avvocato l’avrebbe contattato per dargli conferma di quanto Mantella aveva appreso e fornirgli qualche particolare in più. Tramite diverse fonti, dunque, gli accoscati vibonesi vengono a sapere che l’operazione della Procura di Vibo riguardava i reati di associazione per delinquere semplice finalizzata ad estorsioni e altri reati. Ma apprendono anche che vi era un’altra inchiesta della Dda di Catanzaro – che sarà poi “Nuova Alba” – che contemplava l’associazione mafiosa ma senza omicidi (argomento che Mantella temeva molto). Si apprende anche che l’allora pm di Vibo Peppe Lombardo non aveva voluto cedere il proprio fascicolo alla Dda (all’epoca Vibo era di competenza di Marisa Manzini) e questo fatto aveva intralciato i piani della cosca che aveva in mente di “sacrificare” i ragazzi per salvare i vertici come Andrea Mantella, Paolino Lo Bianco, Francesco Scrugli. 

L’inchiesta sulle false perizie

L’avvocato Giuseppe Di Renzo, 49 anni, è imputato nel processo sulle false perizie emesse a favore di Mantella (anch’egli imputato) insieme a Salvatore Maria Staiano, 66 anni di Locri, avvocato penalista, già difensore di Mantella; Silvana Albani, 72 anni, di Bari, medico; Luigi Arturo Ambrosio, 85 anni di Altilia, medico, legale rappresentante della clinica “Villa Verde”; Domenico Buccomino, 69 anni, di San Marco Argentano, medico consulente tecnico della difesa; Massimiliano Cardamone, 46 anni di Catanzaro, medico legale; Antonio Falbo, 59 anni di Lamezia Terme; Francesco Lo Bianco, 451 anni, di Vibo.
I reati, a vario titolo contestati, sono false dichiarazioni, false attestazioni a pubblico ufficiale, corruzione in atti giudiziari, favoreggiamento, false dichiarazioni al difensore, concorso esterno in associazione mafiosa. Tutti reati aggravati dal metodo mafioso perché gli imputati avrebbero agito con lo scopo di agevolare la ‘ndrina “Pardea-Ranisi” attraverso la scarcerazione di un suo vertice apicale, Andrea Mantella, già in precedenza esponente del clan “Lo Bianco- Barba” e poi promotore del gruppo scissionista operante su Vibo Valentia. A favore di Mantella sarebbero state redatte, secondo la Dda di Catanzaro, false perizie psichiatriche tese a favorirne la scarcerazione e una più comoda detenzione nella clinica convenzionata Villa Verde. Tutti gli imputati si protestano innocenti.

L’occhiolino in caserma

Andrea Mantella questa mattina in aula ha dichiarato di essere stato raggiunto in caserma, per una manciata di minuti, dopo la cattura, dall’avvocato Di Renzo. Il pm della Dda di Catanzaro Annamaria Frustaci ha chiesto se avesse contattato lui l’avvocato, o qualcuno dei suoi familiari. «Non so chi chiamò Di Renzo – ha dichiarato Mantella –. Di Renzo aveva già svolto il mandato difensivo per me». Il collaboratore aggiunge anche che «Di Renzo aveva entrature in magistratura e nelle forze dell’ordine. È sempre stato una fonte di notizie per me ma anche per il gruppo dei Mancuso di Limbadi». Secondo quanto riporta Mantella, l’avvocato gli avrebbe detto che la sua situazione processuale era complicata. L’avvocato avrebbe detto: «Se non c’è un motivo di salute come si fa…». Mantella afferma poi che il legale gli avrebbe fatto l’occhiolino e lui ha preso quelle parole e quel gesto come «un input».
In carcere Mantella aveva così cominciato a mostrarsi depresso, a dire che gli mancava la famiglia, che gli mancava l’aria, fino al finto tentativo di impiccagione. «Ma era tutta una finta. Il medico mi ha preso i parametri ed erano tutti nella norma», racconta il collaboratore. Dopo questo gesto il suo legale ripercorre la via dell’incompatibilità col carcere. Viene nominato un consulente di parte che redige una perizia depositata all’autorità giudiziaria. Perizia rigettata. Mantella racconta che verrà scarcerato per il venir meno delle esigenze cautelari, dal Tribunale della Libertà in seguito al pagamento di 30mila euro a un giudice. L’udienza termina con questi racconti. Riprenderà a luglio per entrare nel vivo del tema delle false perizie.

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