MILANO L’evolversi della ‘ndrangheta in Lombardia ha «portato ad un arricchimento del panorama umano di riferimento, posto che le locali», ossia i clan, «si compongono non solo di personalità mafiose già note, ma anche di nuove generazioni, nuove reclute e, soprattutto, nuovi meccanismi osmotici rispetto al contesto storico e geografico di riferimento». E ciò genera «situazioni, anche nuove, caratterizzate da una mescolanza di strumentalizzazione del metodo e della matrice mafiosa con il perseguimento di obiettivi criminali più comuni». È il quadro delineato, in particolare in un passaggio sull’esigenza di «parametrare la pena al caso concreto», nelle quasi mille pagine di motivazioni della sentenza del gup di Milano Lorenza Pasquinelli nel maxi processo in abbreviato che, lo scorso dicembre, si è chiuso con 34 condanne per un totale di oltre 200 anni di reclusione: pena più alta, 11 anni e 8 mesi, per lo storico boss della ‘ndrangheta in Lombardia Bartolomeo Iaconis.
Un verdetto seguito al blitz del 16 novembre 2021 nella tranche lombarda di una maxi inchiesta contro la cosca dei Molè-Piromalli, coordinata anche dalle Dda di Reggio Calabria e Firenze. Dagli atti dell’indagine milanese “Cavalli di razza”, condotta dalla Squadra mobile di Milano e della Gdf di Como e coordinata dai pm Pasquale Addesso e Sara Ombra, con al centro la “locale” di Fino Mornasco (Como), era emerso anche che Attilio Salerni (condannato a 8 anni) e il fratello Antonio (8 anni e 4 mesi) sarebbero stati gli esecutori materiali «di violenze e minacce nei confronti dei dirigenti» della Spumador Spa, azienda di bevande gassate finita nella morsa dei clan e per la quale era stata disposta l’amministrazione giudiziaria per infiltrazioni mafiose, poi revocata. Alla Spumador è stata anche riconosciuta una provvisionale di risarcimento di 100mila euro.
Il giudice in un passaggio delle motivazioni chiarisce perché ha deciso di applicare le «circostanze attenuanti generiche» a tutti gli imputati, «quale unico strumento legale a disposizione» per poter «parametrare le pene» ai singoli casi concreti. A parte “le personalità” di Domenico Ficarra e Bartolomeo Iaconis, infatti, nel processo sono stati «oggetto di valutazione gruppi e posizioni certamente da qualificarsi come mafiosi ma non certo concentrati su obiettivi sanguinari o di controllo politico e sociale di alto profilo». E ciò anche se dall’inchiesta è venuto a galla un clan che è «la “continuazione” storica, personale, familiare e territoriale del precedente contesto mafioso» in quell’area. Persone «capaci di sfruttare la forza di intimidazione derivante dalla “fama” criminale conseguita, nel corso di decenni, nei territori di storico ed originario insediamento». Tuttavia, si legge, non «si può paragonare l’attività estorsiva perseguita dai Valenzisi per poche centinaia di euro o dei Salerni, volta all’ottenimento di commesse lavorative», nel caso Spumador, «per mantenere attive le proprie realtà imprenditoriali, con quella decisamente di più ampio respiro strutturata» da Domenico Ficarra, che comunque, poi, nel procedimento ha pure deciso di collaborare.
Condannate per associazione mafiosa anche due donne: a 7 anni e 8 mesi sia Elisabetta Rusconi che Carmela Consagra (moglie di Iaconis), presunte prestanome in diverse società «per conto dei rispettivi mariti, di cui – scrive il gup – non potevano certamente ignorare le attività criminali, i metodi mafiosi» e «lo sfruttamento della forza intimidatrice».
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