VIBO VALENTIA Un nuovo assetto, un ordine mutato seguendo la logica delle alleanze, spesso anche inedite, tra gli esponenti di spicco. Tutto in funzione della gestione del delicato (e redditizio) settore del narcotraffico internazionale. Perché quello della cosca di ‘ndrangheta dei Mancuso di Limbadi è il più potente non solo nel Vibonese e i “movimenti” interni negli anni scorsi hanno influenzato, e molto, gli scenari criminali. C’è questo è molto altro nelle migliaia di pagine dell’inchiesta “Adelphi” il cui processo ordinario è iniziato solo da qualche settimana al Tribunale di Vibo Valentia, nonostante si tratti di un’indagine – coordinata dalla Dda di Catanzaro – che risale a poco più di dieci anni fa. Il tempo, nonostante la più recente maxioperazione “Rinascita-Scott”, non ha mutato quella che è in ogni caso la storia di una famiglia criminale che per anni ha dettato la linea nel panorama della criminalità organizzata calabrese.
Nelle varie fasi dell’inchiesta “Adelphi” gli inquirenti sono riusciti ad acquisire significativi elementi relativi agli assetti all’interno della cosca Mancuso, ma anche alle alleanze ed ai contrasti interni della famiglia di Limbadi, con alla base una mutata collocazione associativa di Pantaleone “Scarpuni” Mancuso rispetto al quadro fornito dall’indagine “Dynasty”, confermando l’avvicinamento agli esponenti della famiglia storicamente coalizzati intorno alla figura di Giuseppe Mancuso, noto come “Peppe ‘mbrogghia”, con particolare riferimento a Pantaleone Mancuso alias “Luni l’ingegnere”. Un’alleanza significativa proprio nella gestione del settore del narcotraffico all’interno del quale “Scarpuni” Mancuso sarebbe subentrato al fratello Giuseppe Mancuso (cl. ’60), “Pino Bandera”, storicamente alleato all’articolazione facente capo a “Peppe ‘mbrogghia” e già coinvolto nelle indagini “Decollo” insieme ai broker del narcotraffico Francesco Ventrici e Vincenzo Barbieri, quest’ultimo ucciso nel 2011.
Già nell’indagine “Black Money”, infatti, era emerso in alcuni colloqui tra Pantaleone Mancuso (cl. ’47) e la sorella Romana Mancuso che il gruppo indicato come “I Panti”, ovvero quello riconducibile al loro nipote Peppe ‘mbroglia aveva unito le proprie forze a quelle di “Scarpuni” Mancuso. «E allora! Eravamo tutti uniti fino Michele Cannuni difende sempre a “Scarpuni” e “Scarpuni” adesso gli ha calato il pacco, glielo ha calato!» (…) «Gli ha fatto fare la droga, gli ha fatto fare tutto! Lo ha fatto fare nemico con lo “zio Antonio” si è fatto nemico, con me si è fatto nemico!». In una conversazione del mese di ottobre 2011, nel discutere degli attuali assetti della famiglia e delle dinamiche conflittuali, i due accusano “Scarpuni” di avere tradito la sua storica alleanza con lo zio Cosmo Mancuso (cl. ’49) noto come “Michele Cannuni” sotto il cui avallo aveva gestito diverse attività illecite, tra le quali proprio quelle nel settore degli stupefacenti.
Le dinamiche interne ai Mancuso, in riferimento sempre al settore del narcotraffico, vedono – secondo l’inchiesta Adelphi – “Luni l’ingegnere” in rapporti diretti con esponenti di vertice delle potenti cosce di ‘ndrangheta di San Luca ma anche la conferma del ruolo organico di Domenico Campisi e dei fratelli Salvatore e Roberto Cuturello nella cosca Mancuso di Limbadi. Ma a segnare definitivamente le sorti della ‘ndrangheta calabrese c’è un episodio fondamentale, già emerso nell’inchiesta “Il Crimine” e riportato in Adelphi. Parliamo degli appartenenti alle famiglie mafiose dei Commisso di Siderno, gli Aquino di Marina di Gioiosa Jonica e i Pelle di San Luca, espressione di vertice del “Mandamento Jonico” e dell’organismo di coordinamento dell’intera ‘ndrangheta – “La Provincia” – e la scelta di appoggiare la costituzione del locale di Vibo Valentia con i conferimenti delle cariche attribuite ai “Piscopisani” Salvatore Giuseppe Galati (cl. ’64) detto “il ragioniere” e Michele Fiorillo noto come “Zarrillo” i quali, nel corso della riunione di Bovalino risalente al 3 febbraio 2010 all’interno dell’abitazione di Giuseppe Pelle “Gambazza” vennero investiti rispettivamente delle prestigiose cariche di “Padrino” e “Santista”. Riunione – è scritto nelle cronache – che hanno visto la presenza anche di Domenico Oppedisano “Capo Crimine” di Polsi ed esponente di vertice della “Società di Rosarno” e quindi del Mandamento Tirrenico, Giuseppe Commisso detto “u mastro”, rappresentante dell’aera jonica, e Rocco Bruno Tassone delegato delle “Serre”. Un incontro dell’élite della ‘ndrangheta calabrese in cui spicca, però, l’assenza dei Mancuso di Limbadi, a causa dei tanti arresti subiti in diverse operazioni, ma specchio anche delle pericolose dinamiche nell’intera area delle provincia di Vibo Valentia.
Tassone e i “Piscopisani”, infatti, contando sull’appoggio dei vertici della ‘ndrangheta del versante jonico reggino, si erano adoperati per ottenere un rilevante riconoscimento mafioso e del tutto indipendente rispetto all’autorità storica riconosciuta alla cosca Mancuso di Limbadi. In questo scenario già critico si inserisce poi l’omicidio di Michele Palumbo, avvenuto l’11 marzo del 2010, proprio un mese dopo il conferimento delle cariche di ‘ndrangheta ai vertici del gruppo dei Piscopisani. Un omicidio significativo perché ha consentito a questi ultimi di mostrare la propria sfrontatezza e potenzialità offensiva, colpendo direttamente un referente di Pantaleone Mancuso “Scarpuni” a Vibo Marina.
Pantaleone Mancuso “Scarpuni”, alleandosi con il cugino omonimo “Luni”, all’epoca era entrato in netto contrasto sia con gli zii anziani, tutti soggetti che hanno rivestito e che rivestivano in quel periodo dell’inchiesta Adelphi un ruolo di vertice nella cosca di Limbadi. Il riferimento è alla “generazione degli 11”, ovvero la generazione di ben undici tra fratelli e sorelle, nati tra il 1927 ed il 1954, figli del capostipite Giuseppe Mancuso del 1902. La gran parte di questi “11”, infatti, nel corso degli anni hanno avuto un ruolo diretto nell’affermazione della cosca, comprese le donne, in seguito a matrimoni mirati con altri soggetti legati alla ‘ndrangheta. Sono nati nella “generazione degli 11”, fra gli altri il defunto Francesco Mancuso (cl. ‘29), capo e vertice carismatico della cosca il quale, nel novembre del 1983, si candidò in una lista civica in occasione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio Comunale di Limbadi, risultando – sebbene latitante – primo degli eletti. A seguito di tale elezione, il mese successivo, il Consiglio Comunale di Limbadi fu sciolto con decreto del Presidente della Repubblica. Francesco Mancuso era il padre di Salvatore Mancuso (cl. ‘67), arrestato nel 2010 per estorsione ed associazione mafiosa; Antonio Mancuso (cl. ’38) sorvegliato speciale ed esponente di vertice della cosca. E poi Giovanni Mancuso (cl. ’41), la defunta Romana Mancuso (cl. ’45), il defunto Pantaleone Mancuso (cl. ’47) sorvegliato speciale ed esponente di vertice della cosca, il defunto Domenico Mancuso (cl. ‘27), i cui figli, gran parte dei quali all’epoca detenuti, Giuseppe Mancuso (cl. ’49) detto “Peppe ‘mbrogghia”, Diego Mancuso (cl. ‘53), Francesco Mancuso (cl. ’57) detto “tabacco” e Pantaleone Mancuso (cl. ’61) detto “Luni” “ingegnere”. Tutti hanno alimentato, sin dalla fine degli anni ‘90, una marcata dinamica conflittuale in seno alla famiglia, ponendosi in contrasto verso la leadership tradizionale della cosca facente capo agli zii ovvero i fratelli del padre ovvero il defunto Salvatore Mancuso (cl. ‘36) padre di Giuseppe Mancuso (cl. ’60) e Pantaleone Mancuso (cl. ’61) detto “Scarpuni’ o “Luni u biondu”, Cosco Mancuso detto “Michele” (cl. ‘49), esponente di vertice della cosca e infine il capo dei capi della ‘ndrangheta ovvero “Zio” Luigi Mancuso (cl. ‘54), l’esponente di vertice della cosca di ‘ndrangheta di Limbadi.
La strategia perseguita da “Scarpuni” insieme al cugino Luni Mancuso per ambire ad assumere la leadership nella gestione del narcotraffico, entrando in concorrenza diretta con Domenico Campisi e i fratelli Cuturello nelle operazioni di smistamento degli ingenti quantitativi di narcotico approvvigionati proprio attraverso i canali di importazione assicurati dai brokers internazionali Barbieri-Ventrici, così come ricostruito nell’inchiesta aveva originato conflitti proprio tra Campisi e i suoi soci storici, accusati di avere acconsentito la compartecipazione della coalizione formatasi intorno a “Scarpuni” Mancuso alle loro attività di narcotraffico, al quale proprio Campisi era avverso a causa di vecchi rancori mai sopiti. (g.curcio@corrierecal.it)
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