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Toro scatenato torna sul ring

Dall’8 al 10 maggio, per celebrare il restauro in 4K, Lucky Red riporta in sala uno dei pilastri della storia del cinema. Qui raccontiamo la genesi del film

Pubblicato il: 20/04/2023 – 17:30
di Francesco Gallo
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Toro scatenato torna sul ring

Il film che Martin Scorsese non voleva fare

Nell’estate del 1973, durante una delle consuete pause nell’affollato set del film Il Padrino – Parte II, il trentunenne Robert De Niro − che da lì a un anno si sarebbe aggiudicato l’Oscar per la magistrale interpretazione del giovane Don Vito Corleone − decise di rilassarsi nel suo camerino e approfittare di quell’ora libera per cominciare finalmente a leggere il libro che da troppo tempo stava aspettando sulla sua scrivania: Raging Bull: My story. Si trattava della biografia dell’ex pugile italo americano Jake LaMotta, pubblicata tre anni prima, scritta in collaborazione con i due giornalisti Joseph Carter e Peter Savage. 

De Niro si appassionò immediatamente alla controversa figura del famigerato «Toro del Bronx», ne intuì il potenziale cinematografico e, da attore, si convinse che l’interpretazione di quel personaggio gli avrebbe permesso di sperimentare e mostrare al pubblico le sue numerose abilità recitative. Già due anni prima si era molto divertito a vestire i panni di Johnny Boy, lo scapestrato fratello di Harvey Keitel, nel film di Martin Scorsese Mean Streets − Domenica in chiesa, lunedì all’inferno. E così decise di andare a proporre il progetto al suo amico regista non appena terminate le riprese con Francis Ford Coppola.
In quello stesso periodo, Martin Scorsese era impegnato con gli ultimi ciak del suo quarto film Alice non abita più qui, e quando De Niro gli si presentò davanti con in mano la biografia di Jake LaMotta, non aveva ancora idea che quel giorno stava per nascere uno dei capolavori più apprezzati della storia del cinema: Toro Scatenato
Malgrado lo straripante entusiasmo del suo amico, Scorsese non parve affatto eccitato all’idea di girare la storia di un pugile, anche perché, disse chiaramente, i film sulla boxe lo annoiavano profondamente, eccezion fatta per Anima e Corpo di Robert Rossen.
Ciò nonostante, Robert De Niro non si rassegnò all’idea di perdere un’occasione del genere, e così sia durante le riprese di Taxi Driver, sia in quelle di New York, New York, potendo dividere quotidianamente il set con Martin Scorsese, non perse occasione per tornare a tambur battente sulla questione di realizzare il film su Jake LaMotta. Ma il regista continuò per tutto il tempo a respingere le continue insistenze del suo attore feticcio. 

La prima sceneggiatura

Il biopic su La Motta venne così accantonato ancora una volta ed entrambi si divisero per dedicarsi ad altri due progetti: Robert De Niro andò a recitare ne Il Cacciatore e Martin Scorsese realizzò il film concerto L’ultimo Valzer. Ma proprio durante il montaggio dell’ultima apparizione dal vivo del gruppo The Band il regista newyorkese fu ricoverato d’urgenza in ospedale per una grave emorragia interna. Scorsese stava vivendo da tempo un drammatico periodo di depressione, aggravato poi dalla recente separazione con la prima moglie nonché dallo smodato consumo di droghe. Quando De Niro andò a trovarlo in ospedale e nuovamente gli chiese se fosse intenzionato a girare la pellicola con lui, Scorsese stavolta cambiò atteggiamento e per la prima volta prese seriamente in considerazione l’idea di realizzare il film. 
Costretto a letto e sentendosi immobilizzato in una penosa voragine senza via d’uscita, probabilmente si sentì molto vicino al dramma di Jake LaMotta e alla sua esperienza autodistruttiva che lo aveva di fatto estromesso in breve tempo dal mondo del pugilato. Vide la propria immagine riflessa in quella dell’ex campione del mondo e in quel momento si risollevò all’idea di avere tra le mani un soggetto che poteva trasformarsi non solo in un buon film, ma soprattutto in un’occasione di riscatto, forse per entrambi. Martin Scorsese per la prima volta comprese il personaggio di LaMotta, s’immedesimò in lui e quando incontrò nuovamente Robert De Niro gli disse che insieme avrebbero realizzato Toro Scatenato
Dimesso dall’ospedale, per cercare un po’ di pace e un ambiente privo di distrazioni, Scorsese decise di trasferirsi per qualche settimana ai Caraibi, sull’isola di Saint Martin, per completare la sceneggiatura con De Niro. Il regista era convinto che quello che stavano scrivendo sarebbe stato il suo ultimo film, una sorta di saggio sull’autodistruzione dell’uomo, e per questo sentiva di avere dentro l’immutabile forza di chi non ha più nulla da perdere. Dunque era deciso a portare a termine questo difficile lavoro. Con notevole spirito di servizio, qualche settimana prima, era andato a vedere anche un paio di incontri di boxe e sul copione riportò fedelmente alcune emblematiche immagini che lo avevano impressionato: come ad esempio la spugna intrisa di sangue con cui gli allenatori rinfrescavano la schiena dei propri boxeur. 

L’intervento di Paul Schrader

Nonostante il libro biografico di La Motta offrisse loro infiniti spunti narrativi, i due non furono pienamente soddisfatti della stesura finale del copione. Secondo Scorsese non erano stati capaci di trovare il taglio giusto da dare alla sceneggiatura, che ora si presentava abbastanza incoerente e confusionaria, con diverse versioni di una stessa scena che potevano variare a seconda del punto di vista dell’osservatore. 
Decisero così di sentire il parere di Paul Schrader, lo sceneggiatore che aveva scritto per loro lo splendido copione di Taxi Driver. Quest’ultimo, però, aveva da poco deciso di passare alla regia, e diventare così autore universale dei propri film e occuparsi, dunque, sia della scrittura che della direzione degli attori. Si stava preparando a farlo con Hardcore e lo avrebbe fatto un anno dopo anche con American Gigolò. Ecco perché quando gli venne proposto di revisionare la sceneggiatura di Toro Scatenato fu inizialmente abbastanza recalcitrante all’idea di tornare a scrivere per altri. Era convinto che ciò avrebbe potuto rappresentare un passo indietro per la sua carriera di regista. Solo in un secondo momento, e abbastanza a malincuore, accettò di collaborare e dare, comunque, un’ultima rilettura allo script. 

I dubbi della produzione

Inizialmente la United Artists − la storica casa di produzione fondata nel 1919 da Charlie Chaplin, Douglas Fairbanks, Mary Pickford e D. W. Griffith − pose il proprio veto, probabilmente anche a causa della presenza della sfera sessuale del pugile trattata in maniera ossessiva e violenta. Al di là di questo aspetto censorio, in realtà i responsabili di produzione erano ancora alle prese con diversi grattacapi per via dell’enorme spesa sostenuta con New York, New York, che al botteghino aveva incassato meno di quanto speso per produrlo. Per di più seppero che Scorsese era intenzionato a girare il film in bianco e nero, dunque giudicarono il progetto troppo rischioso e da un punto di vista commerciale un sicuro fallimento. 
Ma a far tornare in pista il progetto di Martin Scorsese furono i due abili produttori Irwin Winkler e Robert Chartoff che, con il film Rocky, nel 1976 avevano già fatto incassare alla United Artists 110 milioni di dollari. Fu la loro insistenza a convincere la direzione a puntare ancora su due film di ambiente pugilistico: il sequel Rocky II e, appunto, Toro Scatenato

La trasformazione di Robert De Niro

La versione finale della sceneggiatura, rimaneggiata e adattata un’ultima volta da Scorsese e De Niro, non piacque molto a Schrader che prima dell’inizio delle riprese, nell’aprile del 1979, inviò loro un telegramma di auguri abbastanza eloquente: «Jake l’aveva fatto a modo suo, io a modo mio, voi a modo vostro». 
Nel frattempo, mentre il regista e il direttore della fotografia pensavano a luci, colore e riprese, Robert De Niro terminò il suo lungo apprendistato di pugile durato 18 lunghi mesi. Lezioni di pugilato impartite direttamente da Jake LaMotta in persona il quale, giurò, aveva preparato talmente bene De Niro che secondo lui sarebbe stato pronto per affrontare un vero incontro di boxe. 
L’istrionismo di LaMotta è noto, così come la sua battuta di spirito sempre pronta. Diciamo che quel lungo periodo fianco a fianco al vero campione di boxe, servì a De Niro più che altro per conoscerlo meglio e dunque “rubargli” il più possibile sfumature e atteggiamenti caratteriali da replicare e interpretare poi davanti la macchina da presa. Proprio come Lee Strasberg gli aveva insegnato durante gli anni all’Actor’s studios: il Metodo Stanislavskij. 
Sempre in nome del “metodo”, poi, per assumere completamente i panni del personaggio, De Niro − dopo l’estenuante lavoro in palestra e sul ring − si sottopose ad una dieta ipercalorica al fine (raggiunto) di ingrassare oltre 25 chili e “diventare” Jake La Motta anche dopo che aveva attaccato i guantoni al chiodo.

Un fiasco annunciato?

Quando cominciarono ad arrivare i primi “giornalieri” in sala montaggio, tutti, a cominciare da Thelma Schoonmaker, collaboratrice della prim’ora di Martin Scorsese, ebbero la netta sensazione di avere tra le mani un futuro capolavoro del cinema. Non la pensavano così, però, molti critici cinematografici dell’epoca che, non appena il film uscì al cinema, scrissero recensioni molto negative. 
Riviste come Variety e Hollywood Reporter ne parlarono malissimo. Una ragione per spiegare il motivo di un così grande abbaglio potrebbe celarsi nel fatto che in un primo momento non seppero individuare il genere del film. Biografico, sportivo o drammatico? 
Raging Bull costringeva il pubblico a simpatizzare con un uomo assolutamente odioso. Il tipo di persona con cui non si vorrebbe avere nulla a che fare. E pur lodando le assai realistiche scene di pugilato, i critici trovarono LaMotta uno dei più ripugnanti e spiacevoli personaggi della storia del cinema. 
Anche Steven Spielberg paragonò il disagio provato nel vedere Toro Scatenato al curiosare nell’intimità dei propri vicini di casa, spiando abitudini e conversazioni pur sapendo che non si fa. Dunque proprio nessuno all’epoca pensò che sarebbe diventato un classico della cinematografia mondiale.

La notte degli Oscar

Nell’aprile 1980, durante la premiazione della 53ª edizione della cerimonia degli Oscar, Toro Scatenato era candidato a otto premi Oscar. Ma tutta la serata si rivelò drammatica. Per la prima volta nella storia, la serata era stata rinviata a due settimane dopo perché John Hinckley aveva sparato al presidente Reagan. E una terribile coincidenza contribuì a funestare i meriti di Scorsese. Anche in Taxi Driver il protagonista aveva tentato un’aggressione politica, e anche allora regista e attore principale erano Scorsese e De Niro. Forse questo scomodo riferimento ai tragici eventi in corso influenzò il voto di Toro Scatenato. 
Tuttavia, quando la premiazione ebbe luogo, gli uomini dell’FBI invitarono Scorsese a seguirli prima che venisse annunciato il Miglior Film, dicendogli che, in ogni caso, avrebbe vinto Gente Comune di Robert Redford. 
Quella sera al Dorothy Chandler Pavilion era presente anche il vero Jake LaMotta, che era stato invitato lì da Scorsese, e vide per la prima volta il film insieme alla sua ex moglie Vickie. Alla fine della serata ammise che si sentiva un po’ depresso e deluso per come lo avevano raccontato, pigiando forse un po’ troppo l’acceleratore sull’aspetto della violenza domestica. Così sulla strada di casa domandò alla ex moglie: «Vickie, ma io ero davvero così?» e lei rispose: «No, affatto. Eri peggio!».

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