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Tra Cutro e Lamezia, il boss che si fece holding e la ‘ndrangheta che sconfisse lo Stato

In due libri le storie che hanno cambiato due pezzi di Calabria. Nicolino “Mano di gomma” tra ascesa e (finto) pentimento. E un’indagine sui retroscena del caso Aversa, ferita ancora aperta

Pubblicato il: 25/05/2023 – 7:01
di Paride Leporace
Tra Cutro e Lamezia, il boss che si fece holding e la ‘ndrangheta che sconfisse lo Stato

Un pit stop nell’inchiesta sulla ‘ndrangheta al Nord che conduciamo da diversi mesi su questa testata. Ho deciso di scrivere e riferire di due libri di recente uscita editi dalla casa editrice Pellegrini nella pregevole collana “Mafie” diretta da Antonio Nicaso che meritano divulgazione e conoscenza per taglio, scrittura, documentazione.
Strettamente collegata alla mia inchiesta è la prima biografia di Nicola Grande Aracri appellato “Nicolino”, sanguinario boss che ha mescolato nella sua vita tradizione delle regole mafiose con l’innovazione della criminalità economica. Un sottocapo del Crotonese, che scala i vertici dell’organizzazione e che rifonda la ‘ndrangheta non solo espandendo una holding criminale oltre i confini della Calabria e dell’Italia, ma soprattutto fonda una nuova “provincia” che affianca i tradizionali feudi dei tre mandamenti reggini.

Ascesa e declino del boss che si fece holding

A delineare contesti storici e criminali con precisioni di dettagli e particolari inediti è l’autore Antonio Anastasi, cronista di lungo corso, che nel corso di circa un trentennio ha seguito in presa diretta omicidi, processi, letto e custoditi atti giudiziari, ascoltato diretti protagonisti. Anastasi è di Cutro, come Grande Aracri.

È il valore aggiunto della sua opera, perché chi scrive conosce a menadito psicologie e persone, fatti storici legati all’emigrazione cutrese verso l’Emilia, entra nelle pieghe degli onesti, di chi si mette ai margini. Come in un documentario del cinema del Reale l’autore mostra omicidi che si svolgono sulla spiaggia della recente strage di migranti a Steccato di Cutro, rievoca il reportage celebre di Pasolini in quelle contrade, storicizza l’ascesa e il declino di un boss che come pseudonimo reca la dicitura di “Mano di gomma” rievocando l’incidente che lo menomò da giovane. Anastasi ne descrive voce, fisico, tratti, psicologie.
Una foto che ha campeggiato su tutti i giornali italiani diventa biografia viva. Il capace guidatore che inizia a condurre in modo spericolato auto a soli 14 anni, l’apprendistato nel clan Dragone che scalerà dall’interno e poi eliminerà con un’impressionante pulizia etnica descritta nei minimi particolari. Anastasi ricostruisce la nuova egemonia cutrese e la crescita come holding di un boss che tratta con imprenditori russi, ha un fratello avvocato e si muove sullo scacchiere con abilità arrivando a colonizzare la rossa e grassa Emilia, il ricco Veneto e diverse marche mafiose del Nord e dell’Europa.

La scena dell’omicidio del boss Dragone

Il falso pentimento e la sfida tra Grande Aracri, Gratteri e il pm Guarascio

Non mancano trame di massomafia di un boss che custodisce una spada templare e che scherma le sue telefonate con tecnologie di avanguardia. Segnalo anche l’ottima ricostruzione sul falso pentimento del boss. Anastasi, autore dello scoop che annunciò la clamorosa notizia in esclusiva sulla collaborazione con la Giustizia, racconta nelle pieghe più nascoste il confronto del boss con Nicola Gratteri e il suo sostituto Domenico Guarascio ricostruendo virgolettati e sfida psicologica di chi cerca di salvare familiari e soldi dal mastodontico e inflessibile lavoro degli inquirenti (qui il nostro racconto del falso pentimento del boss e del dialogo con i magistrati).
Nel 2017 anche Nicolino Sarcone aveva tentato lo stesso escamotage, e ad Anastasi non sfugge il paragone. Una biografia ampia fino all’ultimo esito della vicenda con il boss scoperto nel suo ultimo intrigo e che in aula si dichiara vittima della strategia della Dda «per indurmi a collaborare». Vengono ricostruiti nel libro i ruoli dei colonnelli di Mano di gomma in Emilia in stretto rapporto con forze dell’ordine corrotte e la società civile emiliana. Sono i meandri di quella “multinazionale del crimine” come si legge in una sentenza, che non vessava ormai i muratori emigrati ma che «andava a braccetto con i più facoltosi industriali emiliani che con il clan facevano affari».
Anastasi da cutrese, ha il merito anche di demolire lo stereotipo che prende piede soprattutto a Reggio Emilia con queste vicende, ovvero «cutrese uguale mafioso». L’autore mette a posto ogni ruolo, tra l’altro egli da tempo s’impegna sull’incontro delle due comunità in chiave legalitaria, essendo protagonista del Centro studi e ricerche intitolato a Diego Tajani, ministro di origini cutresi dell’800, tra i primi a preoccuparsi della mafia nel parlamento unitario. Molte le iniziative tra l’Emilia e la Calabria che riparano ai disastri combinati da Grande Aracri. Il bene e il male si confondono anche al Nord, e infatti il tema della “discriminazione” ha avuto anche politici e giornalisti che in Emilia ne hanno approfittato per cercare di dare ossigeno a imprenditori assediati da interdittive e inchieste; il libro ha inoltre il merito di ricostruire in ogni piega anche le vicende dei gemellaggi istituzionali che qualche imbarazzo crearono anche ad un protagonista delle politica italiana come Graziano Del Rio.

Incroci oscuri per l’omicidio Aversa

Si occupa di ‘ndrangheta autoctona, invece il nuovo libro che il lametino Antonio Cannone dedica alla sua Lamezia Terme. L’autore torna sul luogo del delitto, Il riferimento è al caso Aversa che già nel 2017 aveva tracciato nuove rivelazioni e misteri che avvolgono l’omicidio del sovrintendente di polizia Salvatore Aversa e di sua moglie Lucia Precenzano. Ora si aggiungono nuovi tasselli arricchiti da un’intervista al figlio del poliziotto.

Uno dei più grandi comuni della Calabria sciolto ben tre volte per infiltrazione mafiosa, l’omicidio di due netturbini per vendetta trasversale delle cosche interessati all’appalto dei rifiuti urbani (un terzo spazzino fu ferito e prende la parola nel libro). Aversa aveva molti elementi in mano per arrivare a mandanti ed esecutori. Per questo fu ucciso. La scena del crimine fu modificata dalla tristemente celebre testimonianza di Rosetta Cerminara che accusò due innocenti diventando eroina dell’antimafia militante con medaglia del Quirinale. Due pentiti pugliesi stabilirono una verità giudiziaria su cui pochi (mi si consenta la rivendicazione di appartenere a quei pochi che sparsero ragionevoli dubbi) che non furono mai convinti di quegli esiti processuali.

Quando la ‘ndrangheta ha vinto contro lo Stato

La tesi del libro è che a Lamezia in quella vicenda la ‘ndrangheta ha vinto contro lo Stato. Walter Aversa sostiene che oggi a Lamezia «l’elettorato risponde ancora ai boss, ai compari dei compari». Dichiarazioni che meritano approfondimenti.
Un processo ha dichiarato la «responsabilità per colpa grave di un magistrato». Rosetta Cerminara nessuno sa più dove viva e che vita conduca. Ai processi era blindata da poliziotti dello Sco che garantivano per la sua identità. È una Lamezia dei misteri intrecciati quella del libro di Cannone, in cui si rievoca il delitto del consigliere comunale del Psdi, Mercuri, e del giudice Ferlaino che aveva messo l’occhio sulla massoneria contaminata. Gratteri ha detto che Ferlaino era massone e che dalle carte che lui ha visto «il giudice si opponeva all’ingresso della ‘ndrangheta nella massoneria». A Lamezia c’erano futuri capi della polizia che presero cantonate sul caso Aversa e ci sono uomini dei Servizi che dopo il delitto si fermano oltre un’ora in casa del sovrintendente. All’appello manca la solita agenda che ricorre nei delitti irrisolti. Per l’orribile delitto dei netturbini il pm depositò in ritardo la richiesta di Appello e la strage è finita prescritta. Il sopravvissuto Eugenio Bonaddio all’autore non poteva che dire: «Non credo più nella giustizia». Scrive nella ispirata prefazione, Gianni Speranza, ex sindaco della città in momenti di difficile rinascita democratica: «Lamezia non ha avuto giustizia. In alcuni casi per niente come per i lavoratori Cristiano e Tramonte e i loro familiari, in altri casi una giustizia parziale e limitata. Tutto ciò non può pesare sul presente e sul futuro della città».
I due libri di Anastasi e Cannone sono utili per capire e comprendere la natura più profonda della ‘ndrangheta e dei loro alleati che calzano scarpe lucide e gli stessi costosi vestiti.

Antonio Anastasi – La storia di “Mano di gomma” Pellegrini editore
Antonio Cannone – Quando la ‘ndrangheta sconfisse lo Stato- Pellegrini editore

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