Ho avuto l’idea del Protocollo d’intesa per il settore Comunicazione fin dai primissimi mesi di vita di questa Commissione Pari Opportunità, in cui ho avuto l’onore di essere nominata per la quarta volta.
Come giornalista esperta di ”gender comunication” e coordinatrice del gruppo di lavoro sulla Comunicazione, tra marzo e aprile ho delineato le linee portanti del documento, che sono state condivise all’unanimità dalle Commissarie del gruppo. Ovviamente, visto il tema, ho subito individuato come partner “naturale” l’Ordine dei Giornalisti della Calabria, il cui presidente Giuseppe Soluri ha subito accettato l’idea con entusiasmo, convinto dell’importanza del progetto. Del resto, i Media hanno un ruolo cardine nel diffondere e consolidare convinzioni e valori, dunque sono strumento poderoso per l’eliminazione di tutto ciò che è discriminante e lesivo nei riguardi della figura femminile, stereotipi, pregiudizi antifemminili soprattutto. Ho pensato anche a una partnership col Corecom, considerato che alla fine dello scorso anno, il Consiglio regionale ne ha ampliato le funzioni con riferimento al corretto uso dei nuovi mezzi di comunicazione digitale, e per l’attenzione sui minori.
Il protocollo è stato siglato sotto l’autorevole egida della Presidenza del Consiglio regionale, vista la viva sensibilità dimostrata nei riguardi della problematica dal Presidente Mancuso.
La questione da affrontare è tutt’altro che oziosa, come invece possono pensare i “benaltristi”, e riguarda soprattutto l’impatto di genere nella comunicazione mediatica.. Infatti, nonostante la Convenzione di Istanbul richiami i giornalisti alla responsabilità di una informazione priva di stereotipi e pregiudizi, il trend antifemminile si mantiene pesantemente anche a livello mediatico. Da questo gap non sono estranee nemmeno le grandi testate giornalistiche, e infatti, qualche anno fa, un’importante rivista è stata oggetto di pesanti critiche proprio dalla CPO della FNSI, a causa della pubblicazione di un test infarcito con volgari stereotipi sessisti.
Ma anche al di là del sessismo, si constata che il linguaggio mantiene spesso una dimensione androcentrica che rende “invisibili” i soggetti femminili, nonostante l’Accademia della Crusca e il dizionario Treccani si siano ormai adeguati al nuovo. In merito, non dobbiamo dimenticare che noi, non solo parliamo una lingua, ma, contemporaneamente, siamo “parlati” da questa, perché il linguaggio è storia e produce storia, purtroppo in negativo quando mantiene inerzie e viscosità che resistono ai mutamenti sociali.
E quando nella “grammatica delle parole” si utilizza un maschile che ingloba il femminile, si ripristina quella “grammatica della vita” cementificata nei tradizionali rapporti uomo –donna in cui la parola empowerment conta come il due di picche nel bridge. Sono gap da eliminare, questi, insieme a tanti altri di cui il linguaggio è cartina al tornasole.. Oltretutto, spesso il “femminile invisibile” provoca episodi di una comicità esilarante, come quando, anni fa, una giornalista, per annunciare l’arrivo in Italia di Angela Merkel , dovendo decidere se femminilizzare o no il titolo istituzionale (cancelliera o cancelliere…?), ha optato per un “rassicurante ” maschile, col risultato che …«il cancelliere tedesco è arrivato in Italia insieme al marito» . Per non parlare, poi, di quando «il pretore è stato portato d’urgenza in sala parto perché gli si sono rotte le acque in anticipo».
Sicuramente, in un protocollo relativo alla Comunicazione il focus non può non essere rappresentato dall’analisi sul linguaggio, che, oltre ad essere «sacramento di molta delicata amministrazione», per dirla con Ortega Y Gasset, è parte importante del Manifesto di Venezia. Per supportare una comunicazione mediatica caratterizzata dall’impatto di genere, già da anni in Europa sono stati elaborati diversi Codici di Autoregolamentazione per i Media; il primo in Italia, è stato elaborato da chi scrive, è stato attenzionato dai CPO del CNODG e della FNSI – vi hanno collaborato anche Benedetta e Norma Rangeri scrivendo le note conclusive – ed è stato inserito oltre che nel Rapporto Eurispes anche nel libro bianco “Women and media in Europe”.
Si tratta di strumenti importanti, che contribuiscono in modo mirato affinché alle donne sia riconosciuto pienamente il ruolo che ricoprono. E il linguaggio, che è storia, è strumento fondamentale nell’attuazione di questo processo. Necessitano, quindi, riflessioni condivise con operatori ed operatrici dei Media, tavoli di concertazione tra esperti, attività di analisi sulle modalità di rappresentazione dell’identità femminile nei Media e nel Web, convegni di approfondimento, senza escludere la possibilità di corsi di aggiornamento professionale per gli operatori e le operatrici della Comunicazione mediatica.
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