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La riflessione

I costi della politica

Qualcuno si è chiesto quanto si spende per la politica nel nostro Paese? Nel 2017, tra dotazione annuale ed entrate previdenziali, la dotazione per la sola Camera dei deputati è stata di 943.160.0…

Pubblicato il: 24/07/2023 – 10:53
di Franco Scrima*
I costi della politica

Qualcuno si è chiesto quanto si spende per la politica nel nostro Paese? Nel 2017, tra dotazione annuale ed entrate previdenziali, la dotazione per la sola Camera dei deputati è stata di 943.160.000 euro. Aggiungendo le entrate integrative e quelle previdenziali, si è raggiunto un totale di spesa di 1.298.391.988 euro.
Per il Senato della Repubblica è stata inferiore: solo 539.500.000 euro.
Per mantenere le due Camere e far fronte ai “vitalizi”, nel 2017, sono stati spesi 1.837.801.988 euro; una cifra enorme, la più alta rispetto agli altri Paesi europei.
C’è poi da aggiungere la spesa delle Regioni per i Consiglieri e quella dei Comuni. Ciascun consigliere regionale percepisce 11.100 Euro lordi al mese e i Presidenti delle Giunte e dei Consigli regionali 13.800; questo al netto delle spese per missioni, assicurazioni contro i rischi di invalidità e inabilità dovute a infortuni.
Ciascun Consigliere, inoltre, ha anche diritto all’indennità di fine mandato che si calcola in base agli anni e ai mesi trascorsi nella carica.
Anche i Gruppi Consiliari hanno diritto a risorse, strutture e contributi per gli scopi istituzionali. Si tratta di una quota di 5.000 Euro per ciascun componente, maggiorata di una quota rispetto al numero dei componenti il gruppo e alle dimensioni del territorio di appartenenza.
I Consigli regionali sono composti da un minimo di 20 ad un massimo di 80 eletti, il cui trattamento economico mensile è di 3.888,75 euro. Gli assessori godono, in aggiunta, di una indennità pari a 4.011 euro al mese.
E non è tutto! Al consigliere che cessa nella carica dopo cinque anni di mandato spettano 25.925 euro di indennità.
Se tutto procedesse per come è dovuto, le spese ed i privilegi, la pensione senza versare i contributi e le varie indennità a carico dei calabresi, non si discuterebbero neppure. Rattrista, invece, ciò che ebbe a dire un politico negli anni cinquanta: “I numeri prosperano, gli uomini stentano”. Oggi sembra ancora peggio: si plaude alla crescita, senza chiedersi chi ci rimette.
Certo, c’è chi sta meglio dei Consiglieri regionali e sono gli eurodeputati che, a cominciare dall’indennità di fine mandato che consiste in un mese di stipendio per ogni anno di “servizio” prestato (con un minimo di 6 ed un massimo di 24 mesi), hanno diritto all’ “Indennità di transizione” che ammonta a 20,6 milioni.
Se la “macchina” funzionasse, per la collettività sarebbe tutto diverso. Ciò che si chiede ai politici sono meno promesse e più fatti! Motivi per indignarsi non mancano, ma certamente non possono essere questi le cause per allontanarsi dalla politica. Semmai servirebbe da parte degli elettori un dialogo più diretto e determinato con i candidati, per fare emergere, dall’una e dall’altra parte, che alcuni valori non sono negoziabili. Vedi quello della vita e delle condizioni disastrose per ridurre le differenze tra chi sta bene e chi stenta ad arrivare a fine mese.
In Italia servono riforme e una rinnovata politica sociale. Diversamente saremo costretti ad assistere all’inevitabile crescita delle disuguaglianze che determinano il riverbero del disagio e della povertà. Le famiglie hanno bisogno di più attenzioni, di aiuti per far crescere la natalità. Ed è necessario un ministero che, finalmente, si occupi dell’infanzia e dell’adolescenza.
Un altro obbiettivo cui il Paese mira è la riforma della legge finanziaria, che dovrebbe comprendere anche temi sulla famiglia e sui problemi sociali. Per la famiglia è indispensabile una riforma che dia certezze sociali sia per sostenere la natalità, sia per l’educazione dei figli. Per farlo è importante riconoscere a ciascuno il ruolo di soggetto sociale ed economico. Ciò che, invece, necessita di interventi urgenti, riguarda l’ ”emorragia” dei giovani che, conseguita la laurea, decidono di lasciare la Calabria (sono finora circa 460 mila, come ha reso noto Gazzetta del Sud) pronti per trasferirsi nelle città del Nord alla ricerca di un posto di lavoro. Se i “migliori” ci lasciano, qualcuno si domanda cosa rimanga della nostra regione? Sarebbe il caso che chi ha la responsabilità del territorio si determinasse a costringere taluni subalterni a smettere di operare in base alla vecchia regola, propria delle comunità deboli, delle gestioni clientelari. Insistere significa non avere dignità personale e, quel poco che è rimasta, perderla nel rapporto con i dipendenti oltre che con la società.
Tra malaffare, organizzazioni criminali, clientelismo, frammentazione del territorio regionale, non solo si può andare nell’unica direzione della fragilità sociale, ma certamente non si riuscirà mai a far emergere la Calabria dalla condizione nella quale taluni soggetti (alcuni messi ai vertici di uffici importanti) continuano a relegarla.
*giornalista

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