VIBO VALENTIA Tutti parte della stessa famiglia: zii, nipoti, fratelli. Tutti dalla stessa parte, mettendosi alle spalle un passato di scontri e divisioni. La storia criminale della famiglia Mancuso di Limbadi è anche un dedalo di relazioni, nomi e legami che da decenni infiammano, da Limbadi, tutta la provincia di Vibo Valentia, investendo la Calabria e il resto del Paese. Gli inquirenti ne hanno da moltissimo tempo ricostruito gran parte delle dinamiche, spesso controverse, di un esempio di potere egemone, la cui gestione passa necessariamente dal “capo famiglia” che, nelle logiche di ‘Ndrangheta, coincide con il capo clan sulle cui spalle gravano responsabilità, scelte e decisioni fondamentali per la sopravvivenza (sua) e del clan stesso. Ricompattare sotto il suo comando la cosca, colpita negli anni da divisioni di potere, seppur sempre interne: questo l’obiettivo perseguito dal boss “supremo” Luigi Mancuso, così come è già ampiamente emerso nel corso della maxinchiesta “Rinascita-Scott”.
Perché al contrario rispetto a quanto fatto dal nipote “sanguinario” Pantaleone “Scarpuni” Mancuso, lo “Zio” Luigi ha riavvicinato a sé i parenti più rappresentativi della storia criminale della famiglia, a cominciare da Pantaleone “l’Ingegnere” «per limitare il ripresentarsi di condotte violente da parte dei propri nipoti e pronipoti». Lo scrivono i pm della Dda di Catanzaro nel decreto di fermo. Tra loro ci sarebbero Diego Mancuso “Mazzola”, Francesco Mancuso “Tabacco”, Emanuele Mancuso e, soprattutto, Pantaleone Mancuso “Scarpuni”, «il quale ha immediatamente riconosciuto l’autorità dello zio».
È in questo scenario rinnovato, seguendo la nuova linea dettata dal boss Luigi Mancuso, che i pm si sono concentrati in particolare sulla figura di Francesco Mancuso “Bandera”, classe 1971. «(…) mettete presente che Francesco Mancuso è un tipo scaltrissimo, che non ti dà confidenza, che non esce mai di casa e se esce, esce solo con la moglie. Io si è no l’ho visto due o tre volte in vita mia… Diffidente da tutto. Da quando è uscito è difficile che lo vedi. E quindi è difficile poter notare i suoi movimenti». A parlare del cugino del padre “l’Ingegnere” è il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, in una serie di interrogatori tra il 15 febbraio e il 15 marzo 2019. I prestanome di Francesco Mancuso sarebbero, invece, secondo l’altro pentito Megna, Paolo Mercurio Lucia Peluso: sarebbero loro a gestire, ad esempio, una piadineria. E, infatti, tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 – come ricostruito dagli inquirenti – Francesco Mancuso sceglieva prudentemente di non recarsi più nella pescheria Elsamar a Vibo Marina. Al contrario, era Paolo Mercurio a recarsi, ogni volta che serviva, a Nicotera Marina da “Bandera” a volte per prelevare vino oppure ‘nduja da rivendere ai propri clienti, altre volte per aggiornarlo sullo stato delle attività economiche e, soprattutto, della piadineria a Milano. Così gli inquirenti decidono di monitorare il viale d’ingresso dell’abitazione di Francesco Mancuso, tra l’8 febbraio e il 5 marzo 2017, fin quando ignoti non hanno asportato le attrezzature tecniche.
Un periodo breve, ma comunque ricco di importanti eventi che gli inquirenti annotano, delineando «l’esistenza di un rapporto, di uno scambio di ‘mbasciate tra Francesco Mancuso ed esponenti della consorteria, segnatamente lo zio Luigi Mancuso, per il tramite dei suoi più fidati accoliti», interagendo con i vertici e ricevendo le visite di soggetti assai vicini allo zio Luigi. Tra gli eventi subito registrati dagli inquirenti c’è l’arrivo di Assunto Megna, a bordo di una Fiat Panda intestata al figlio Pasquale. Più tardi, alle 15.05, le telecamere riprendono l’arrivo di una Fiat Croma intestata a Antonietta Perfidio e a Girolamo Gallone. Quest’ultimo è il fratello del più noto braccio destro del boss, Pasquale, già arrestato nel blitz Rinascita-Scott. Il 21 febbraio, invece, le telecamere immortalano la Volkswagen di Giuseppe Rizzo noto come “Peppe mafia”, anche lui considerato il braccio destro del boss Luigi Mancuso e arrestato nel blitz. Altro uomo di fiducia del “Supremo” è Gaetano Molino (cl. ’59), marito di Silvana Mancuso, figlia di Giovanni, giunto a casa di “Bandera” il 26 febbraio 2017 a bordo della sua Panda. Più tardi gli inquirenti monitorano l’arrivo della Punto intestata a Pasquale Megna e la Jeep usata da Pasquale Gallone. La circostanza secondo cui Francesco “Bandera” Mancuso abbia continuato ad intrattenere rapporti con lo zio Luigi in modo occulto e per il tramite di terzi soggetti è rafforzata anche dal contenuto di una conversazione intrattenuta con Paolo Mercurio il 23 settembre 2016, intercetta dagli inquirenti.
«…vorrei mettere una barca a Cetraro… la barca mia, mia! Personale» dice a Francesco Mancuso una volta arrivata a casa sua. «(…) per fare la pesca a spatole, e le spatole grosse vanno a pescarle ai confini con la Libia, se parto da Vibo Marina ci voglio 11 ore se parto da Cetraro ci vogliono 3 ore… mi seguite?» spiega ancora Mercurio. «E là chi sono?» chiede Bandera «I Muto!» risponde Mercurio. Quest’ultimo è consapevole del potere criminale dei Muto a Cetraro, e allora chiede il “sostegno” dei Mancuso. «Questa è una cosa che è seria… mancu li cani mi succede una cosa alla barca mi rovinano!». Mancuso prova a rassicurarlo: «(…) io… comunque va bene!… Io ti faccio l’ambasciata, la metti là! Assicuratela però». Una volta tornato a bordo del furgone, Mercurio discute con il suo assistente. «(…) lo vedi a uno di questi?!…non sia mai qualcosa…e tu dici: voglio toccare a…che ti dico…all’impossibile! …quando arrivano, tutti la scossa prendono!». E ancora: «(…) ti devi fare il conto che oggi, che il fratello non c’è… questo è il fratello di Scarpuni (…) oggi, che fa il pezzente, quello mingherlino e se tu lo vedi non si vanta, non si fa…è proprio… questa è gente che mancu li cani!». (g.curcio@corrierecal.it)
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