COSENZA Minacce, lesioni, aggressioni, si verificano ogni giorno sul territorio nazionale: sono quasi 5.000 gli episodi di violenza consumatisi e formalmente denunciati ai danni degli operatori sanitari e socio sanitari negli ultimi tre anni. Circa 1.600 l’anno e in 7 casi su 10 la vittima è una donna. Ma sono sicuramente di più, dato che a volte non vengono denunciati dalle vittime. Sono numeri allarmanti. È un bollettino di una guerra che si consuma a danno di chi opera nella sanità. Solo qualche giorno fa un grave episodio è avvenuto a Cosenza: il personale sanitario a bordo dell’automedica dell’Asp infermiera e soccorritrice conducente della vettura, sopraggiunta tempestivamente a prestare soccorso a una persona con un malore in strada, hanno subito insulti, spintoni e strattonamenti. «Non si può più tergiversare», scrivono Massimiliamo Ianni, segretario generale Cgil Cosenza, e Alessandro Iuliano, segretario generale FP Cgil. «Non bastano più gli attestati di solidarietà, è arrivato il momento di agire e difendere questi lavoratori, perché, purtroppo, il fenomeno delle aggressioni è in crescita, tanto da diventare un vero e proprio allarme sociale, non solo in relazione alle conseguenze dirette per chi subisce l’aggressione, ma anche perché si tratta di episodi che mettono in discussione la sicurezza e l’organizzazione delle strutture sanitarie. I luoghi maggiormente colpiti dalla violenza sono i pronto soccorso e i servizi di emergenza – urgenza (il servizio di 118), le strutture psichiatriche ospedaliere e territoriali. Tra le cause scatenanti la “violenza” dei pazienti e dei loro familiari vi sono le lunghe attese che, a volte, favoriscono nei pazienti o nei loro familiari uno stato di frustrazione per l’impossibilità di ottenere subito le prestazioni richieste. Come Cgil e come Fp Cgil, da sempre impegnati a ridare dignità e valore al lavoro degli operatori sanitari riteniamo che vadano rimosse alla radice le principali cause che danno origine al fenomeno. Occorre, cioè, prima di tutto agire sulle disfunzioni organizzative che, senza un consistente incremento delle dotazioni organiche del personale, non sono superabili. Si deve necessariamente attivare un piano straordinario per l’occupazione potenziando il personale sanitario e la formazione e, soprattutto, rendere le professioni sanitarie più attrattive, aumentando le retribuzioni e rendendo il luogo di lavoro più sicuro e più vivibile. Bisogna potenziare e migliorare la medicina territoriale per ridurre gli accessi impropri nei reparti di emergenza e urgenza. Oggi sono tanti coloro che si recano in pronto soccorso in assenza di una medicina territoriale degna di questo nome. Bisogna ancora poi porre fine al continuo definanziamento del Servizio Sanitario Nazionale e rilanciare le politiche sociali, i servizi territoriali e far fronte ai nuovi bisogni».
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